DISCORSO DEL
SANTO PADRE FRANCESCO
AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE GESTITE DAI GESUITI IN ITALIA E ALBANIA
AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE GESTITE DAI GESUITI IN ITALIA E ALBANIA
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Aula Paolo VI
Venerdì,
7 giugno 2013
Il Santo Padre all’inizio del suo intervento ha detto che dava per letto il
discorso da Lui preparato e che lo avrebbe consegnato per la pubblicazione; poi
ne ha fatto spontaneamente una breve sintesi e ha intessuto un dialogo con i
partecipanti all’Udienza.
Si riportano di seguito il
discorso preparato dal Santo Padre, la
sintesi da Lui
fatta a braccio durante l’incontro e il dialogo che ne è seguito.
Cari ragazzi, cari giovani!
sono contento di ricevervi con le vostre famiglie, gli educatori e gli amici
della grande famiglia delle Scuole dei Gesuiti italiani e d’Albania. A voi tutti
il mio affettuoso saluto: benvenuti! Con tutti voi mi sento veramente “in
famiglia”. Ed è motivo di particolare gioia la coincidenza di questo nostro
incontro con la solennità del Sacro Cuore di Gesù.
Vorrei dirvi anzitutto una cosa che si riferisce a Sant’Ignazio di Loyola, il
nostro fondatore. Nell’autunno del 1537, andando a Roma con il gruppo dei suoi
primi compagni si chiese: se ci domanderanno chi siamo, che cosa risponderemo?
Venne spontanea la risposta: «Diremo che siamo la “Compagnia di Gesù”!» (Fontes
Narrativi Societatis Iesu, vol. 1, pp. 320-322). Un nome impegnativo,
che voleva indicare un rapporto di strettissima amicizia,
di affetto totale per Gesù di cui volevano seguire le orme. Perché vi ho
raccontato questo fatto? Perché sant’Ignazio e i suoi compagni avevano capito
che Gesù insegnava loro come vivere bene, come realizzare un’esistenza che abbia
un senso profondo, che doni entusiasmo, gioia e speranza; avevano capito che
Gesù è un grande maestro di vita e un modello di vita, e che non solamente
insegnava loro, ma li invitava anche a seguirlo su questa strada.
Cari ragazzi, se adesso vi facessi la domanda: perché andate a scuola, che cosa
mi rispondereste? Probabilmente ci sarebbero molte risposte secondo la
sensibilità di ciascuno. Ma penso che si potrebbe riassumere il tutto dicendo
che la scuola è uno degli ambienti educativi in cui si cresce per imparare a
vivere, per diventare uomini e donne adulti e maturi, capaci di camminare, di
percorrere la strada della vita. Come vi aiuta a crescere la scuola? Vi aiuta
non solo nello sviluppare la vostra intelligenza, ma per una formazione
integrale di tutte le componenti della vostra personalità.
Seguendo ciò che ci insegna sant’Ignazio, nella scuola l’elemento principale è
imparare ad essere magnanimi. La magnanimità: questa virtù del grande e del
piccolo (Non coerceri maximo contineri minimo, divinum est), che ci fa guardare
sempre l’orizzonte. Che cosa vuol dire essere magnanimi?
Vuol dire avere il cuore grande, avere grandezza d’animo, vuol dire avere grandi
ideali, il desiderio di compiere grandi cose per rispondere a ciò che Dio ci
chiede, e proprio per questo compiere bene le cose di ogni giorno, tutte le
azioni quotidiane, gli impegni, gli incontri con le persone; fare le cose
piccole di ogni giorno con un cuore grande aperto a Dio e agli altri. E’
importante allora curare la formazione umana finalizzata alla magnanimità. La scuola non allarga solo la
vostra dimensione intellettuale, ma anche umana. E penso che in modo particolare
le scuole dei Gesuiti sono attente a sviluppare le virtù umane: la lealtà, il
rispetto, la fedeltà, l’impegno. Vorrei fermarmi su due valori fondamentali: la
libertà e il servizio. Anzitutto: siate persone libere! Che cosa voglio dire?
Forse si pensa che libertà sia fare tutto ciò che si vuole; oppure avventurarsi
in esperienze-limite per provare l’ebbrezza e vincere la noia. Questa non è
libertà. Libertà vuol dire saper riflettere su quello che facciamo, saper
valutare ciò che è bene e ciò che è male, quelli che sono i comportamenti che
fanno crescere, vuol dire scegliere sempre il bene. Noi siamo liberi per il
bene. E in questo non abbiate paura di andare controcorrente, anche se non è
facile! Essere liberi per scegliere sempre il bene è impegnativo, ma vi renderà
persone che hanno la spina dorsale, che sanno affrontare la vita, persone con
coraggio e pazienza (parresia e ypomoné).
La seconda parola è
servizio. Nelle vostre scuole voi partecipate a varie attività che vi abituano a
non chiudervi in voi stessi o nel vostro piccolo mondo, ma ad aprirvi agli
altri, specialmente ai più poveri e bisognosi, a lavorare per migliorare il
mondo in cui viviamo. Siate uomini e donne con gli altri e per gli altri, dei
veri campioni nel servizio agli altri.
Per essere magnanimi con libertà interiore e spirito di servizio è necessaria la
formazione spirituale. Cari ragazzi, cari giovani, amate sempre di più Gesù
Cristo! La nostra vita è una risposta alla sua chiamata e voi sarete felici e
costruirete bene la vostra vita se saprete rispondere a questa chiamata. Sentite
la presenza del Signore nella vostra vita. Egli è vicino a ognuno di voi come
compagno, come amico, che vi sa aiutare e comprendere, che vi incoraggia nei
momenti difficili e mai vi abbandona. Nella preghiera, nel dialogo con Lui,
nella lettura della Bibbia, scoprirete che Lui vi è veramente vicino. E imparate
anche a leggere i segni di Dio nella vostra vita. Egli ci parla sempre, anche
attraverso i fatti del nostro tempo e della nostra esistenza di ogni giorno; sta
a noi ascoltarlo.
Non voglio essere troppo lungo, ma una parola specifica vorrei rivolgerla anche
agli educatori: ai Gesuiti, agli insegnanti, agli operatori delle vostre scuole
e ai genitori. Non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà che la sfida
educativa presenta! Educare non è un mestiere, ma un atteggiamento, un modo di
essere; per educare bisogna uscire da se stessi e stare in mezzo ai giovani,
accompagnarli nelle tappe della loro crescita mettendosi al loro fianco. Donate
loro speranza, ottimismo per il loro cammino nel mondo. Insegnate a vedere la
bellezza e la bontà della creazione e dell’uomo, che conserva sempre l’impronta
del Creatore. Ma soprattutto siate testimoni con la vostra vita di quello che
comunicate. Un educatore - Gesuita, insegnante, operatore, genitore - trasmette
conoscenze, valori con le sue parole, ma sarà incisivo sui ragazzi se
accompagnerà le parole con la sua testimonianza, con la sua coerenza di vita.
Senza coerenza non è possibile educare! Tutti siete educatori, non ci sono
deleghe in questo campo. La collaborazione allora in spirito di unità e di
comunità tra le diverse componenti educative è essenziale e va favorita e
alimentata. Il collegio può e deve fare da catalizzatore, esser luogo di
incontro e di convergenza dell’intera comunità educante con l’unico obiettivo di
formare, aiutare a crescere come persone mature, semplici, competenti ed oneste,
che sappiano amare con fedeltà, che sappiano vivere la vita come risposta alla
vocazione di Dio, e la futura professione come servizio alla società. Ai Gesuiti
poi vorrei dire che è importante alimentare il loro impegno nel campo educativo.
Le scuole sono uno strumento prezioso per dare un apporto al cammino della
Chiesa e dell’intera società. Il campo educativo, poi, non si limita alla scuola
convenzionale. Incoraggiatevi a cercare nuove forme di educazione non
convenzionali secondo “le necessità dei luoghi, dei tempi e delle persone”.
Infine un saluto a tutti gli ex-alunni presenti, ai rappresentanti delle scuole
italiane della Rete di Fe y Alegria, che conosco bene per il grande
lavoro che compie in Sud America, specialmente tra i ceti più poveri. E un
saluto particolare alla delegazione del Collegio albanese di Scutari, che
dopo i lunghi anni di repressione delle istituzioni religiose, dal 1994 ha
ripreso la sua attività, accogliendo ed educando ragazzi cattolici, ortodossi,
musulmani e anche alcuni alunni nati in contesti familiari agnostici. Così la
scuola diventa un luogo di dialogo e di sereno confronto, per promuovere
atteggiamenti di rispetto, ascolto, amicizia e spirito di collaborazione.
Cari amici, vi ringrazio tutti per questo incontro. Vi affido alla materna
intercessione di Maria e vi accompagno con la mia benedizione: il Signore vi è
sempre vicino, vi rialza dalle cadute e vi spinge a crescere e a compiere scelte
sempre più alte “con grande ánimo y liberalidad”, con magnanimità. Ad
Maiorem Dei Gloriam.
Io ho preparato questo discorso per dirvi… ma, sono cinque pagine! Un po’
noioso… Facciamo una cosa: io farò un piccolo riassunto e poi consegnerò questo,
per iscritto, al Padre Provinciale, lo darò anche al Padre Lombardi, perché
tutti voi lo abbiate per iscritto. E poi, c’è la possibilità che alcuni di voi
facciano una domanda e possiamo fare un piccolo dialogo. Ci piace questo, o no?
Sì? Bene. Andiamo su questa strada.
Primo punto di questo scritto è che nell’educazione che diamo ai Gesuiti il
punto chiave è - per il nostro sviluppo di persona - la magnanimità. Noi
dobbiamo essere magnanimi, con il cuore grande, senza paura. Scommettere sempre
sui grandi ideali. Ma anche magnanimità con le cose piccole, con le cose
quotidiane. Il cuore largo, il cuore grande. E questa magnanimità è importante
trovarla con Gesù, nella contemplazione di Gesù. Gesù è quello che ci apre le
finestre all’orizzonte. Magnanimità significa camminare con Gesù, con il cuore
attento a quello che Gesù ci dice. Su questa strada vorrei dire qualcosa agli
educatori, agli operatori nelle scuole, e ai genitori. Educare. Nell’educare c’è
un equilibrio da tenere, bilanciare bene i passi: un passo fermo sulla cornice
della sicurezza, ma l’altro andando nella zona a rischio. E quando quel rischio
diventa sicurezza, l’altro passo cerca un’altra zona di rischio. Non si può
educare soltanto nella zona di sicurezza: no. Questo è impedire che le
personalità crescano. Ma neppure si può educare soltanto nella zona di rischio:
questo è troppo pericoloso. Questo bilanciamento dei passi, ricordatelo bene.
Siamo arrivati all’ultima pagina. E a voi, educatori, voglio anche incoraggiarvi
a cercare nuove forme di educazione non convenzionali, secondo la necessità dei
luoghi, dei tempi e delle persone. Questo è importante, nella nostra
spiritualità ignaziana: andare sempre “di più”, e non essere tranquilli con le
cose convenzionali. Cercare nuove forme secondo i luoghi, i tempi e le persone.
Vi incoraggio su questo.
E adesso, sono disposto a rispondere ad alcune
domande che voi volete fare: i
ragazzi, gli educatori. Sono a disposizione. Ho detto al Padre provinciale che
mi aiuti in questo.
Padre Provinciale: Santità, le domande non erano preparate, quindi le prende così come vengono?
Ok. Per sapere, ecco…
Un ragazzo: Sono Francesco Bassani, dell’Istituto Leone XIII. Io sono un ragazzo che, come
ho scritto nella mia lettera a te, Papa, che cerca di credere. Io cerco…
cerco, sì, di essere fedele. Però, ho delle difficoltà. A volte mi vengono dei
dubbi. E credo che questo sia assolutamente normale alla mia età. Dato che tu
sei il Papa che credo avrò più a lungo nel cuore, nella mia vita, perché ti
incontro nella mia fase dell’adolescenza, della crescita, ti volevo chiedere
qualche parola per sostenermi in questa crescita e sostenere tutti i ragazzi
come me.
Santo Padre: Camminare è un’arte, perché, se camminiamo sempre in fretta, ci stanchiamo e
non possiamo arrivare alla fine, alla fine del cammino. Invece, se ci fermiamo e
non camminiamo, neppure arriviamo alla fine. Camminare è proprio l’arte di
guardare l’orizzonte, pensare dove io voglio andare, ma anche sopportare
la stanchezza del cammino. E tante volte, il cammino è difficile, non è facile.
“Io voglio restare fedele a questo cammino, ma non è facile, senti: c’è il buio,
ci sono giornate di buio, anche giornate di fallimento, anche qualche giornata
di caduta… uno cade, cade…”. Ma pensate sempre a questo: non avere paura dei
fallimenti; non avere paura delle cadute. Nell’arte di camminare, quello che
importa non è di non cadere, ma di non “rimanere caduti”. Alzarsi presto,
subito, e continuare ad andare. E questo è bello: questo è lavorare tutti i
giorni, questo è camminare umanamente. Ma anche: è brutto camminare da soli,
brutto e noioso. Camminare in comunità, con gli amici, con quelli che ci
vogliono bene: questo ci aiuta, ci aiuta ad arrivare proprio alla meta a cui noi
dobbiamo arrivare. Io non so se ho risposto alla tua domanda. Ci sei? Non avrai
paura del cammino? Grazie.
Una ragazza: Allora… io sono Sofia Grattarola dell’Istituto Massimiliano Massimo. E volevo
chiederLe, dato che Lei, come tutti i bambini, quando eravate alle elementari,
avevate degli amici, no? E dato che quest’oggi Lei è Papa, se li vede ancora
questi amici…
Santo Padre: Io sono Papa da due mesi e mezzo. I miei amici sono a 14 ore di aereo da qui,
sono lontani. Ma voglio dirti una cosa: ne sono venuti tre di loro a trovarmi e
a salutarmi, e li vedo e mi scrivono, e voglio loro tanto bene. Non si può
vivere senza amici: questo è importante, è importante.
Una bambina [Teresa]: Ma volevi fare il Papa? Francesco, ma volevi fare il Papa?
Santo Padre: Tu sai che cosa significa che una persona non voglia tanto bene a se stessa?
Una persona che vuole, che ha voglia di fare il Papa non vuole bene a se stessa.
Dio non lo benedice. No, io non ho voluto fare il Papa. Sta bene? Vieni, vieni,
vieni…
Una signora: Santità, noi siamo Monica e Antonella della corale degli Alunni del Cielo
dell’Istituto Sociale di Torino. Volevamo chiederLe: siccome noi, che siamo
stati educati alle scuole dei Gesuiti, siamo sovente invitati a riflettere sulla
spiritualità di sant’Ignazio, volevamo chiederLe: nel momento in cui ha scelto
la vita consacrata, che cosa l’ha spinta ad essere Gesuita piuttosto che
sacerdote diocesano o di un altro ordine? Grazie.
Santo Padre: Io ho alloggiato parecchie volte al Sociale di Torino. Lo conosco bene. Quello
che più mi è piaciuto della Compagnia è la missionarietà, e volevo diventare
missionario. E quando studiavo filosofia, ho scritto al Generale – no, la
teologia – ho scritto al Generale, che era il Padre Arrupe, perché mi mandasse,
mi inviasse in Giappone o in un’altra parte. Ma lui ha pensato bene, e mi ha
detto, con tanta carità: “Ma Lei ha avuto una malattia al polmone, quello non è
tanto buono per un lavoro tanto forte”, e sono rimasto a Buenos Aires. Ma è
stato tanto buono, il Padre Arrupe, perché non ha detto: “Ma, Lei non è tanto
santo per diventare missionario”: era buono, aveva carità. E quello che mi ha
dato tanta forza per diventare Gesuita è la missionarietà: andare fuori, andare
alle missioni ad annunziare Gesù Cristo. Credo che questo sia proprio della
nostra spiritualità: andare fuori, uscire, uscire sempre per annunziare Gesù
Cristo, e non rimanere un po’ chiusi nelle nostre strutture, tante volte
strutture caduche. E’ quello che mi ha mosso. Grazie.
Una signora: Allora, io sono Caterina De Marchis dell’Istituto Leone XIII e mi domandavo:
perché Lei – cioè tu – hai rinunciato a tutte le ricchezze di un Papa, come un
appartamento lussuoso, oppure una macchina enorme, e invece sei andato in un
piccolo appartamento nelle vicinanze, oppure hai preso l’autobus dei Vescovi.
Come mai ha rinunciato alla ricchezza?
Santo Padre: Ma, credo che non sia soltanto una cosa di ricchezza. Per me è un problema di
personalità: è questo. Io ho necessità di vivere fra la gente, e se io vivessi
solo, forse un po’ isolato, non mi farebbe bene. Questa domanda me l’ha fatta un
professore: “Ma perché Lei non va ad abitare là?”. Io ho risposto: “Ma, mi
senta, professore: per motivi psichiatrici”. E’ la mia personalità. Anche
l’appartamento, quello [del Palazzo Pontificio] non è tanto lussuoso,
tranquilla… Ma non posso vivere da solo, capisci? E poi, credo, che sì: i tempi
ci parlano di tanta povertà nel mondo, e questo è uno scandalo. La povertà del
mondo è uno scandalo. In un mondo dove ci sono tante, tante ricchezze, tante
risorse per dare da mangiare a tutti, non si può capire come ci siano tanti
bambini affamati, ci siano tanti bambini senza educazione, tanti poveri! La
povertà, oggi, è un grido. Tutti noi dobbiamo pensare se possiamo diventare un
po’ più poveri: anche questo, tutti lo dobbiamo fare. Come io posso diventare un
po’ più povero per assomigliare meglio a Gesù, che era il Maestro povero. Questa
è la cosa. Ma non è un problema di virtù mia personale, è soltanto che io non
posso vivere da solo, e anche quello della macchina, quello che tu dici: non
avere tante cose e diventare un po’ più povero. E’ questo.
Un ragazzo: Io mi chiamo Eugenio Serafini, sono dell’Istituto Cei, Centro educativo
ignaziano. Le volevo fare una domanda breve: ma come ha fatto quando ha deciso
di diventare non Papa, ma parroco, diventare Gesuita? Come ha fatto? Non Le è
stato difficile abbandonare o lasciare la famiglia, gli amici, non Le è stato
difficile?
Santo Padre: Senti, sempre è difficile: sempre. Per me è stato difficile. Non è facile. Ci
sono momenti belli, e Gesù ti aiuta, ti da un po’ di gioia. Ma ci sono momenti
difficili, dove tu ti senti solo, ti senti arido, senza gioia interiore. Ci sono
momenti oscuri, di buio interiore. Ci sono difficoltà. Ma è tanto bello seguire
Gesù, andare sulla strada di Gesù, che tu poi bilanci e vai avanti. E poi
arrivano momenti più belli. Ma nessuno deve pensare che nella vita non ci
saranno le difficoltà. Anch’io vorrei fare una domanda adesso: come pensate voi
di andare avanti con le difficoltà? Non è facile. Ma dobbiamo andare avanti con
forza e con fiducia nel Signore, con il Signore, tutto si può.
Una giovane: Salve, mi chiamo Federica Iaccarino e vengo dall’Istituto Pontano di Napoli.
Volevo chiedere una parola per i giovani di oggi, per il futuro dei giovani di
oggi, dato che l’Italia si trova in una posizione di grande difficoltà. E vorrei
chiedere un aiuto per poter portarla a migliorare, un aiuto per noi, per poter
portare avanti questi ragazzi, noi ragazzi.
Santo Padre: Tu dici che l’Italia è in un momento difficile. Sì, c’è una crisi. Ma io ti
dirò: non solo l’Italia. Tutto il mondo, in questo momento, è in un momento in
crisi. E la crisi, la crisi non è una cosa brutta. E’ vero che la crisi ci fa
soffrire, ma dobbiamo – e voi giovani, principalmente – dobbiamo saper leggere
la crisi. Questa crisi, cosa significa? Che cosa devo fare io per aiutare a
uscire dalla crisi? La crisi che noi in questo momento stiamo vivendo è una
crisi umana. Si dice: ma, è una crisi economica, è una crisi del lavoro. Sì, è
vero. Ma perché? Perché questo problema del lavoro, questo problema
nell’economia, sono conseguenze del grande problema umano. Quello che è in crisi
è il valore della persona umana, e noi dobbiamo difendere la persona umana. In
questo momento… ma, io ho raccontato questo già tre volte, ma lo farò una
quarta. Ho letto, una volta, un racconto di un rabbino medievale, dell’anno
1200. Questo rabbino spiegava agli Ebrei di quel tempo la storia della Torre di
Babele. Costruire la Torre di Babele non era facile: dovevano farsi i mattoni; e
il mattone come si fa? Cercare il fango, la paglia, mescolarli, portarli al
forno: era un grande lavoro. E dopo questo lavoro, un mattone diventava un vero
tesoro! Poi portavano i mattoni in alto, per la costruzione della Torre di
Babele. Se un mattone cadeva, era una tragedia; punivano l’operaio che l’aveva
fatto cadere, era una tragedia! Ma se cadeva un uomo, non succedeva niente!
Questa è la crisi che oggi stiamo vivendo, questa: è la crisi della persona.
Oggi non conta la persona, contano i soldi, conta il denaro. E Gesù, Dio ha dato
il mondo, tutto il creato, l’ha dato alla persona, all’uomo e alla donna, perché
lo portassero avanti, non al denaro. E’ una crisi, la persona è in crisi perché
la persona oggi - ascoltate bene, questo è vero - è schiava! E noi dobbiamo
liberarci di queste strutture economiche e sociali che ci schiavizzano. E questo
è il vostro compito.
Un bambino: Ciao, sono Francesco Vin, e vengo dal Collegio Sant’Ignazio di Messina. Ti
volevo chiedere se sei mai stato in Sicilia.
Santo Padre: No. Posso dire due cose. No, o ancora no.
Il bambino: Se vieni, ti aspettiamo!
Il Santo Padre: Ma ti dico una cosa: della Sicilia conosco un film bellissimo, che ho visto
dieci anni fa, che si chiama Kaos, con la “k”: Kaos. E’ un film
fatto su quattro racconti di Pirandello, ed è tanto bello questo film. Ho potuto
guardare tutte le bellezze della Sicilia. Questa è l’unica cosa che conosco
della Sicilia. Ma è bella!
Un professore: Santo Padre, sono il
professor Jesús Maria Martínez… [in questo momento vi sono stati
applausi, che, comunque, hanno caratterizzato
vari momenti del dialogo tra il Santo Padre e i partecipanti
all’udienza]
Il Santo Padre: Ma, hai tifosi!
Il professore: Sono insegnante di spagnolo perché sono spagnolo: sono di San Sebastian.
Insegnante anche di religione, e posso dire che gli insegnanti, i professori, Le
vogliamo tanto bene: questo è sicuro. Non parlo a nome di nessuno, ma vedendo
tanti ex-allievi, anche tante personalità, e anche noi adulti, insegnanti,
educati dai Gesuiti, mi interrogo sul nostro impegno politico, sociale, nella
società, come adulti nelle scuole gesuitiche. Ci dica qualche parola: come il
nostro impegno, il nostro lavoro oggi, in Italia, nel mondo, può essere
gesuitico, può essere evangelico.
Il Santo Padre: Benissimo. Coinvolgersi nella politica è un obbligo per un cristiano. Noi
cristiani non possiamo “giocare da Pilato”, lavarci le mani: non possiamo.
Dobbiamo coinvolgerci nella politica, perché la politica è una delle forme più
alte della carità, perché cerca il bene comune. E i laici cristiani devono
lavorare in politica. Lei mi dirà: “Ma non è facile!”. Ma neppure è facile
diventare prete. Non ci sono cose facili nella vita. Non è facile, la politica
si è troppo sporcata; ma io mi domando: si è sporcata, perché? Perché i
cristiani non si sono coinvolti in politica con lo spirito evangelico? Con una
domanda che ti lascio: è facile dire “la colpa è di quello”. Ma io, cosa faccio?
E’ un dovere! Lavorare per il bene comune, è un dovere di un cristiano! E tante
volte la strada per lavorare è la politica. Ci sono altre strade: professore,
per esempio, è un’altra strada. Ma l’attività politica per il bene comune è una
delle strade. Questo è chiaro.
Un giovane: Padre, io mi chiamo Giacomo. In realtà, non sono da solo qui, oggi, ma porto
un gran numero di ragazzi, che sono i ragazzi della Lega Missionaria Studenti.
E’ un movimento un po’ trasversale, quindi un po’ da tutti i collegi abbiamo un
po’ di Lega Missionaria Studenti. Dunque, Padre, innanzitutto il mio
ringraziamento e quindi di tutti i ragazzi che ho sentito anche in questi
giorni, perché finalmente con Lei abbiamo trovato quel messaggio di speranza che
prima ci sentivamo costretti a ritrovare in giro per il mondo. Adesso, poterlo
sentire a casa nostra è qualcosa che per noi è potentissimo. Soprattutto, Padre,
mi permetta di dire, da un posto, da un luogo, questa luce si è accesa in questo
posto in cui noi giovani incominciavamo realmente a perdere la speranza. Quindi,
grazie, perché è arrivato veramente in fondo. La mia domanda è questa, Padre:
noi, come Lei ben sa dalla sua esperienza, abbiamo imparato a sperimentare, a
convivere con molte tipologie di povertà, che sono la povertà materiale – penso
alla povertà del nostro gemellaggio in Kenya -; che sono la povertà spirituale -
penso alla Romania, penso alle piaghe delle vicissitudini politiche, penso
all’alcolismo. Quindi, Padre, io Le voglio chiedere: come possiamo noi giovani
convivere con questa povertà? Come dobbiamo comportarci?
Il Santo Padre: Prima di tutto, vorrei dire una cosa, a tutti voi giovani: non lasciatevi
rubare la speranza! Per favore, non lasciatevela rubare! E chi ti ruba la
speranza? Lo spirito del mondo, le ricchezze, lo spirito della vanità, la
superbia, l’orgoglio. Tutte queste cose ti rubano la speranza. Dove trovo la
speranza? In Gesù povero, Gesù che si è fatto povero per noi. E tu hai parlato
di povertà. La povertà ci chiama a seminare speranza, per avere anch’io più
speranza. Questo sembra un po’ difficile da capire, ma ricordo che Padre Arrupe,
una volta, ha scritto una lettera buona ai Centri di ricerche sociali, ai Centri
sociali della Compagnia. Lui parlava di come si deve studiare il problema
sociale. Ma alla fine ci diceva, diceva a tutti noi: “Guardate, non si può
parlare di povertà senza avere l’esperienza con i poveri”. Tu hai parlato del
gemellaggio con il Kenya: l’esperienza con i poveri. Non si può parlare di
povertà, di povertà astratta, quella non esiste! La povertà è la carne di Gesù
povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle
strutture sociali che sono ingiuste. Andare, guardare laggiù la carne di Gesù.
Ma non lasciatevi rubare la speranza dal benessere, dallo spirito del benessere
che, alla fine, ti porta a diventare un niente nella vita! Il giovane deve
scommettere su alti ideali: questo è il consiglio. Ma la speranza, dove la
trovo? Nella carne di Gesù sofferente e nella vera povertà. C’è un collegamento
tra i due. Grazie.
Adesso do a tutti, a tutti voi, alle vostre famiglie, a tutti, la Benedizione
del Signore.
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