JULIÁN CARRÓN
COME SI FA A VIVERE?
***
Mentre questa estate preparavo gli Esercizi dei Memores Domini,
è capitata la festa di santa Maria Maddalena; la liturgia proponeva due
testi nei quali si rendeva trasparente come la Chiesa voleva introdurci
a guardare questa donna secondo tutta l’attesa e tutta la tensione che
viveva. Il primo era un brano del Cantico dei Cantici, che
descrive che cos’era la vita per una persona come Maria: «Sul mio letto,
lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non
l’ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per
le piazze; voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato, ma non
l’ho trovato. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in
città: “Avete visto l’amore dell’anima mia?”» (Ct 3,1-3).
Ascoltandolo, mi dicevo: come mi piacerebbe avere qualcosa di questa
passione! Perché Maria ci testimonia il cuore che ciascuno di noi
desidererebbe avere nel più profondo del proprio essere, tanto l’io di
ciascuno di noi è questa ricerca di un amore che regga davanti alle
sfide del vivere.
Nel leggere il testo del Vangelo mi sorprendeva che
si potessero rintracciare le due domande che ci eravamo dati per il
lavoro di questa estate: «Come si fa a vivere?» e: «Che cosa stiamo a
fare al mondo?».
«Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala
si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio». Che cosa ha
mosso quella donna, al punto di non poter restare a letto e a mettersi
in cammino così presto, di buon mattino, quando era ancora buio? «E vide
che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da
Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse
loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove
l’hanno posto!”» (Gv 20,1-2).
«Maria stava all’esterno,
vicino al sepolcro, e piangeva [Questa è la vita. Come si fa a vivere?
Senza trovare quella presenza, senza trovare quella presenza amata,
l’amore dell’anima nostra, ogni mattino è una cosa da piangere. Poi
possiamo distrarci lungo la giornata, ma la vita rimane una cosa da
piangere, se ciascuno di noi non trova l’amore dell’anima sua,
quell’amore che rende piena di significato, di intensità, di calore la
vita]. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in
bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi,
dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna,
perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non
so dove l’hanno posto”. Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in
piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: “Donna, perché
piangi? Chi cerchi?” [Ecco il nesso: «Chi cerchi?». Cerco l’amore
dell’anima mia, cerco quella presenza che possa riempire la vita, per
questo la Chiesa ci introduce a guardare la Maddalena con questo brano
del Cantico dei Cantici, che ci parla di una donna alla ricerca
dell’amore dell’anima sua]. Ella, pensando che fosse il custode del
giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai
posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e
gli disse in ebraico: “Rabbunì!” - che significa: “Maestro!”. Gesù le
disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma
va’ dai miei fratelli e di’ loro: ‘Salgo al Padre mio e Padre vostro,
Dio mio e Dio vostro’”. Maria di Màgdala andò [subito] ad annunciare ai
discepoli: “Ho visto il Signore!” e ciò che le aveva detto» (Gv 20,11-18).
In
questo brano abbiamo la risposta a entrambe le domande: «Come si fa a
vivere?» e: «Che cosa stiamo a fare al mondo?». È soltanto rispondendo
alla prima, «Donna, perché piangi? Chi cerchi?», cioè trovando la
presenza che cerca e che risponde al suo pianto, che Maria ha avuto
qualcosa da comunicare e da andare a dire agli altri: «Ho visto il
Signore!».
È una grande consolazione per ciascuno di noi che questo
sia accaduto a una persona sconosciuta come Maria Maddalena, perché ci
aiuta a capire che non c’è alcuna condizione previa, non c’è bisogno di
essere all’altezza di niente, non occorre alcuna dote particolare per
cercarLo. Questa ricerca può trovarsi addirittura quasi nascosta nel
profondo dell’essere, sotto tutti i detriti del nostro male o della
nostra dimenticanza, ma niente può evitarla, così come nessuno può
fermare quella donna dal cercare. Per sorprendere in se stessi questa
tensione non serve altro che quella «moralità originale», quella
apertura totale, quella coincidenza con sé fino in fondo, quella non
lontananza da sé che porta a dire: «Sul mio letto, lungo la notte, ho
cercato l’amore dell’anima mia», «Avete visto l’amore dell’anima mia?». È
quella apertura originale che vediamo in altri personaggi del Vangelo,
tutti poveracci come noi, ma a cui nessuno può impedire di cercarLo,
come Zaccheo, che sale sull’albero tutto curioso di vedere Gesù, o la
Samaritana, tutta assetata e desiderosa dell’unica acqua che può
soddisfare la sua sete. Davanti a queste figure evangeliche non ci sono
alibi: tutti quanti poveracci come noi, ma tutti tesi a cercarLo,
definiti dalla ricerca di Lui e dalla passione per Lui che disarma tutte
le nostre preoccupazioni, tutte le nostre argomentazioni moralistiche
per giustificare il nostro non cercarLo. Nessuno di noi fa fatica a
immaginare che cosa sarà successo in loro quando Gesù, piegandosi sul
loro niente, li ha chiamati per nome. Come saranno rimasti stupiti! Come
si sarà infiammata ancora di più la passione per Lui, la voglia di
cercarLo!
«Maria!». Come sarà vibrata tutta l’umanità di Gesù per
poter dire il suo nome con un tono, con un accento, con un’intensità,
con una familiarità tali che la Maddalena subito Lo ha riconosciuto,
quando solo un istante prima Lo aveva confuso con il custode del
giardino. «Maria!». È come se tutta la tenerezza del Mistero arrivasse a
quella donna attraverso la vibrazione dell’umanità di Gesù risorto,
adesso senza veli, ma non per questo meno intensa, anzi, con tutta
l’umanità di Gesù risorto vibrante del fatto che quella donna ci sia.
«Maria!». Allora si capisce come mai in quel momento lei ha capito chi
era. Ha potuto capire chi era perché Lui ha fatto vibrare tutto il suo
umano fino a farle sentire una tale intensità, pienezza, sovrabbondanza
che non aveva potuto mai immaginare prima, e che poteva raggiungere solo
nel rapporto con Lui. Senza di Lui non avrebbe mai saputo chi era né
che cosa poteva essere e diventare la vita, che intensità di pienezza
poteva raggiungere la vita.
Cos’è il cristianesimo se non quella
presenza tutta vibrante per il destino di una donna sconosciuta, che le
fa capire che cosa Lui ha portato, che cosa è Lui per la vita? Che razza
di novità è entrata nella storia attraverso la modalità con cui Cristo
lo comunica! Gesù ci ha fatto capire che cosa è il cristianesimo dicendo
a una donna: «Maria!». È questa comunicazione dell’essere, di «più
essere», di «più Maria» che svela a quella donna chi è Gesù. Non è una
teoria o un discorso o una spiegazione, ma è un avvenimento che ha
sconvolto tutti coloro che sono entrati, in un modo o in un altro, in
rapporto con Lui e che i Vangeli, nella loro semplicità disarmante,
comunicano nel modo più ingenuo, più semplice che ci possa essere,
semplicemente pronunciando il nome: «Maria!», «Zaccheo!», «Matteo!».
«Donna, non piangere!». Che comunicazione di Sé deve essere accaduta in
loro per segnare così potentemente la loro vita, fino al punto che non
potevano rivolgersi più a niente, non potevano più guardare la realtà,
guardare se stessi, se non investiti da quella Presenza, da quella voce,
da quella intensità con cui era stato pronunciato il loro nome.
Si
capisce lo sconvolgimento che percorre ogni pagina del Vangelo davanti a
una esperienza come questa. Purtroppo noi ci siamo già abituati e non
accusiamo più, tante volte, il contraccolpo; è già tutto scontato, tutto
saputo! Ma che non sia necessariamente così lo vediamo quando un uomo
come papa Francesco ci testimonia il suo stupore oggi: «La sintesi
migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è
proprio questa: “Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”.
[...] Io sono uno che è guardato dal Signore» («Intervista a Papa
Francesco», a cura di Antonio Spadaro, La Civiltà Cattolica, III/2013, p. 451).
Tutto
quell’avvenimento, quella modalità unica di rapportarsi all’altro, di
un «Io», Gesù, che entra in rapporto con un «tu», Maria, facendola
diventare se stessa, quel: «Maria!» che sconvolge quella donna, lo
struggimento che l’ha percossa, si vede nella modalità con cui lei
risponde: «Rabbunì! Maestro!». E nella sobrietà del Vangelo, san
Giovanni commenta: «Ella si voltò» sentendo il nome. Questa è la
conversione, altro che moralismo! La conversione è un riconoscimento:
«Maestro!». È la risposta all’amore di Uno che, dicendo il nostro nome
con una intensità affettiva mai vista prima, ci fa scoprire di essere
noi stessi. RiconoscerLo è la risposta a questa passione di Uno per lei
che ridesta tutta la capacità affettiva di quella donna, perché Uno l’ha
chiamata per nome fino al punto di generare quel rapporto nuovo con le
cose che si chiama «verginità»: «Non trattenermi», dice Gesù alla
Maddalena, non ne hai bisogno. Qualsiasi altra cosa è niente rispetto a
un istante di questa intensità affettiva che Maria ha vissuto con Gesù.
È
sotto la pressione di questa commozione che lei può rivolgersi a Gesù
con quella passione con cui dice: «Rabbunì! Maestro!». Infatti, la
risposta di Maria è tutta frutto di quella modalità con cui si è sentita
chiamare per nome, è tutta scaturita da quello sconvolgimento unico che
Gesù ha provocato in lei. Altro che moralismo! Non ce lo sogneremmo
neanche! È solo sotto la pressione della commozione per la comunicazione
dell’essere attraverso Gesù, che Maria non ha potuto evitare di dire:
«Maestro!» con tutta la sua affezione.
L’AVVENIMENTO CHE OGNI UOMO INCONSAPEVOLMENTE ATTENDE
Questo
struggimento che si è sentita addosso quella donna, che c’era prima
nell’umanità di Gesù tutta vibrante di passione per quella donna, e che è
diventato carne per comunicarsi attraverso la Sua carne, attraverso la
Sua commozione, attraverso il Suo sguardo, attraverso la Sua modalità di
parlare, attraverso il tono della Sua voce, questa è la novità che è
entrata nella storia e che oggi, come ieri, l’uomo, ciascuno di noi,
aspetta. «L’uomo di oggi», diceva don Giussani al Sinodo sui laici del
1987, «attende forse inconsapevolmente l’esperienza dell’incontro con
persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così presente che la
vita loro è cambiata. È un impatto umano che può scuotere l’uomo di
oggi: un avvenimento che sia eco dell’avvenimento iniziale, quando Gesù
alzò gli occhi e disse: “Zaccheo, scendi subito, vengo a casa tua”» (L.
Giussani, L’avvenimento cristiano, Bur, Milano 2003, p. 24).
È
questo avvenimento che ha investito anche noi. Attraverso la persona di
don Giussani questo avvenimento, l’eco dell’avvenimento iniziale, ci ha
raggiunto, attraverso la sua umanità e la sua vibrazione per Cristo di
cui noi siamo testimoni, tanto è vero che tanti di noi non saremmo qui
se non l’avessimo toccato, se non fossimo stati travolti dal modo con
cui lui ci ha comunicato Cristo. Diventeremo più consapevoli di cosa ci è
accaduto nell’incontro con don Giussani, leggendo la sua biografia, che
adesso è a nostra disposizione. È lui che ha fatto arrivare a noi,
oggi, la vibrazione che raggiunse Maria, la stessa di allora, non «come»
quella di allora, ma «quella» di allora, la stessa di allora, quello
stesso avvenimento che raggiunse Maria. E ciascuno deve guardare la
propria esperienza, deve riandare all’origine di quella sua mossa
iniziale per vedere sorgere proprio da lì il primo albore, il primo
desiderio dell’appartenenza a Cristo. Non c’è altra sorgente
dell’appartenenza se non l’esperienza del cristianesimo vissuto come
avvenimento ora. E solo questo è bastato perché ci venisse una voglia
matta di essere «Suoi».
Come sempre, è il don Gius che ci aiuta a
prendere consapevolezza della portata di tutto quello che ci è capitato;
infatti, «che cos’è il cristianesimo se non l’avvenimento di un uomo
nuovo che per sua natura diventa un protagonista nuovo sulla scena del
mondo?» (Ibidem, p. 23), perché la questione fondamentale è
l’accadere di questa creatura nuova, di questa nuova creazione, di
questa nascita nuova. - La Pagina Uno di "Tracce" di ottobre,
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