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venerdì 11 ottobre 2013

COME SI FA A VIVERE?

                                    JULIÁN CARRÓN
                               COME SI FA A VIVERE?                      

                                                        ***                                                        
Mentre questa estate preparavo gli Esercizi dei Memores Domini, è capitata la festa di santa Maria Maddalena; la liturgia proponeva due testi nei quali si rendeva trasparente come la Chiesa voleva introdurci a guardare questa donna secondo tutta l’attesa e tutta la tensione che viveva. Il primo era un brano del Cantico dei Cantici, che descrive che cos’era la vita per una persona come Maria: «Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città: “Avete visto l’amore dell’anima mia?”» (Ct 3,1-3). Ascoltandolo, mi dicevo: come mi piacerebbe avere qualcosa di questa passione! Perché Maria ci testimonia il cuore che ciascuno di noi desidererebbe avere nel più profondo del proprio essere, tanto l’io di ciascuno di noi è questa ricerca di un amore che regga davanti alle sfide del vivere.
Nel leggere il testo del Vangelo mi sorprendeva che si potessero rintracciare le due domande che ci eravamo dati per il lavoro di questa estate: «Come si fa a vivere?» e: «Che cosa stiamo a fare al mondo?».
«Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio». Che cosa ha mosso quella donna, al punto di non poter restare a letto e a mettersi in cammino così presto, di buon mattino, quando era ancora buio? «E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”» (Gv 20,1-2).
«Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva [Questa è la vita. Come si fa a vivere? Senza trovare quella presenza, senza trovare quella presenza amata, l’amore dell’anima nostra, ogni mattino è una cosa da piangere. Poi possiamo distrarci lungo la giornata, ma la vita rimane una cosa da piangere, se ciascuno di noi non trova l’amore dell’anima sua, quell’amore che rende piena di significato, di intensità, di calore la vita]. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”. Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?” [Ecco il nesso: «Chi cerchi?». Cerco l’amore dell’anima mia, cerco quella presenza che possa riempire la vita, per questo la Chiesa ci introduce a guardare la Maddalena con questo brano del Cantico dei Cantici, che ci parla di una donna alla ricerca dell’amore dell’anima sua]. Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!” - che significa: “Maestro!”. Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: ‘Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’”. Maria di Màgdala andò [subito] ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e ciò che le aveva detto» (Gv 20,11-18).
In questo brano abbiamo la risposta a entrambe le domande: «Come si fa a vivere?» e: «Che cosa stiamo a fare al mondo?». È soltanto rispondendo alla prima, «Donna, perché piangi? Chi cerchi?», cioè trovando la presenza che cerca e che risponde al suo pianto, che Maria ha avuto qualcosa da comunicare e da andare a dire agli altri: «Ho visto il Signore!».
È una grande consolazione per ciascuno di noi che questo sia accaduto a una persona sconosciuta come Maria Maddalena, perché ci aiuta a capire che non c’è alcuna condizione previa, non c’è bisogno di essere all’altezza di niente, non occorre alcuna dote particolare per cercarLo. Questa ricerca può trovarsi addirittura quasi nascosta nel profondo dell’essere, sotto tutti i detriti del nostro male o della nostra dimenticanza, ma niente può evitarla, così come nessuno può fermare quella donna dal cercare. Per sorprendere in se stessi questa tensione non serve altro che quella «moralità originale», quella apertura totale, quella coincidenza con sé fino in fondo, quella non lontananza da sé che porta a dire: «Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia», «Avete visto l’amore dell’anima mia?». È quella apertura originale che vediamo in altri personaggi del Vangelo, tutti poveracci come noi, ma a cui nessuno può impedire di cercarLo, come Zaccheo, che sale sull’albero tutto curioso di vedere Gesù, o la Samaritana, tutta assetata e desiderosa dell’unica acqua che può soddisfare la sua sete. Davanti a queste figure evangeliche non ci sono alibi: tutti quanti poveracci come noi, ma tutti tesi a cercarLo, definiti dalla ricerca di Lui e dalla passione per Lui che disarma tutte le nostre preoccupazioni, tutte le nostre argomentazioni moralistiche per giustificare il nostro non cercarLo. Nessuno di noi fa fatica a immaginare che cosa sarà successo in loro quando Gesù, piegandosi sul loro niente, li ha chiamati per nome. Come saranno rimasti stupiti! Come si sarà infiammata ancora di più la passione per Lui, la voglia di cercarLo!
«Maria!». Come sarà vibrata tutta l’umanità di Gesù per poter dire il suo nome con un tono, con un accento, con un’intensità, con una familiarità tali che la Maddalena subito Lo ha riconosciuto, quando solo un istante prima Lo aveva confuso con il custode del giardino. «Maria!». È come se tutta la tenerezza del Mistero arrivasse a quella donna attraverso la vibrazione dell’umanità di Gesù risorto, adesso senza veli, ma non per questo meno intensa, anzi, con tutta l’umanità di Gesù risorto vibrante del fatto che quella donna ci sia. «Maria!». Allora si capisce come mai in quel momento lei ha capito chi era. Ha potuto capire chi era perché Lui ha fatto vibrare tutto il suo umano fino a farle sentire una tale intensità, pienezza, sovrabbondanza che non aveva potuto mai immaginare prima, e che poteva raggiungere solo nel rapporto con Lui. Senza di Lui non avrebbe mai saputo chi era né che cosa poteva essere e diventare la vita, che intensità di pienezza poteva raggiungere la vita.
Cos’è il cristianesimo se non quella presenza tutta vibrante per il destino di una donna sconosciuta, che le fa capire che cosa Lui ha portato, che cosa è Lui per la vita? Che razza di novità è entrata nella storia attraverso la modalità con cui Cristo lo comunica! Gesù ci ha fatto capire che cosa è il cristianesimo dicendo a una donna: «Maria!».
È questa comunicazione dell’essere, di «più essere», di «più Maria» che svela a quella donna chi è Gesù. Non è una teoria o un discorso o una spiegazione, ma è un avvenimento che ha sconvolto tutti coloro che sono entrati, in un modo o in un altro, in rapporto con Lui e che i Vangeli, nella loro semplicità disarmante, comunicano nel modo più ingenuo, più semplice che ci possa essere, semplicemente pronunciando il nome: «Maria!», «Zaccheo!», «Matteo!». «Donna, non piangere!». Che comunicazione di Sé deve essere accaduta in loro per segnare così potentemente la loro vita, fino al punto che non potevano rivolgersi più a niente, non potevano più guardare la realtà, guardare se stessi, se non investiti da quella Presenza, da quella voce, da quella intensità con cui era stato pronunciato il loro nome.
Si capisce lo sconvolgimento che percorre ogni pagina del Vangelo davanti a una esperienza come questa. Purtroppo noi ci siamo già abituati e non accusiamo più, tante volte, il contraccolpo; è già tutto scontato, tutto saputo! Ma che non sia necessariamente così lo vediamo quando un uomo come papa Francesco ci testimonia il suo stupore oggi: «La sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: “Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”. [...] Io sono uno che è guardato dal Signore» («Intervista a Papa Francesco», a cura di Antonio Spadaro, La Civiltà Cattolica, III/2013, p. 451).
Tutto quell’avvenimento, quella modalità unica di rapportarsi all’altro, di un «Io», Gesù, che entra in rapporto con un «tu», Maria, facendola diventare se stessa, quel: «Maria!» che sconvolge quella donna, lo struggimento che l’ha percossa, si vede nella modalità con cui lei risponde: «Rabbunì! Maestro!». E nella sobrietà del Vangelo, san Giovanni commenta: «Ella si voltò» sentendo il nome. Questa è la conversione, altro che moralismo! La conversione è un riconoscimento: «Maestro!». È la risposta all’amore di Uno che, dicendo il nostro nome con una intensità affettiva mai vista prima, ci fa scoprire di essere noi stessi. RiconoscerLo è la risposta a questa passione di Uno per lei che ridesta tutta la capacità affettiva di quella donna, perché Uno l’ha chiamata per nome fino al punto di generare quel rapporto nuovo con le cose che si chiama «verginità»: «Non trattenermi», dice Gesù alla Maddalena, non ne hai bisogno. Qualsiasi altra cosa è niente rispetto a un istante di questa intensità affettiva che Maria ha vissuto con Gesù.
È sotto la pressione di questa commozione che lei può rivolgersi a Gesù con quella passione con cui dice: «Rabbunì! Maestro!». Infatti, la risposta di Maria è tutta frutto di quella modalità con cui si è sentita chiamare per nome, è tutta scaturita da quello sconvolgimento unico che Gesù ha provocato in lei. Altro che moralismo! Non ce lo sogneremmo neanche! È solo sotto la pressione della commozione per la comunicazione dell’essere attraverso Gesù, che Maria non ha potuto evitare di dire: «Maestro!» con tutta la sua affezione.

L’AVVENIMENTO CHE OGNI UOMO INCONSAPEVOLMENTE ATTENDE
Questo struggimento che si è sentita addosso quella donna, che c’era prima nell’umanità di Gesù tutta vibrante di passione per quella donna, e che è diventato carne per comunicarsi attraverso la Sua carne, attraverso la Sua commozione, attraverso il Suo sguardo, attraverso la Sua modalità di parlare, attraverso il tono della Sua voce, questa è la novità che è entrata nella storia e che oggi, come ieri, l’uomo, ciascuno di noi, aspetta. «L’uomo di oggi», diceva don Giussani al Sinodo sui laici del 1987, «attende forse inconsapevolmente l’esperienza dell’incontro con persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così presente che la vita loro è cambiata. È un impatto umano che può scuotere l’uomo di oggi: un avvenimento che sia eco dell’avvenimento iniziale, quando Gesù alzò gli occhi e disse: “Zaccheo, scendi subito, vengo a casa tua”» (L. Giussani, L’avvenimento cristiano, Bur, Milano 2003, p. 24).
È questo avvenimento che ha investito anche noi. Attraverso la persona di don Giussani questo avvenimento, l’eco dell’avvenimento iniziale, ci ha raggiunto, attraverso la sua umanità e la sua vibrazione per Cristo di cui noi siamo testimoni, tanto è vero che tanti di noi non saremmo qui se non l’avessimo toccato, se non fossimo stati travolti dal modo con cui lui ci ha comunicato Cristo. Diventeremo più consapevoli di cosa ci è accaduto nell’incontro con don Giussani, leggendo la sua biografia, che adesso è a nostra disposizione. È lui che ha fatto arrivare a noi, oggi, la vibrazione che raggiunse Maria, la stessa di allora, non «come» quella di allora, ma «quella» di allora, la stessa di allora, quello stesso avvenimento che raggiunse Maria. E ciascuno deve guardare la propria esperienza, deve riandare all’origine di quella sua mossa iniziale per vedere sorgere proprio da lì il primo albore, il primo desiderio dell’appartenenza a Cristo. Non c’è altra sorgente dell’appartenenza se non l’esperienza del cristianesimo vissuto come avvenimento ora. E solo questo è bastato perché ci venisse una voglia matta di essere «Suoi».
Come sempre, è il don Gius che ci aiuta a prendere consapevolezza della portata di tutto quello che ci è capitato; infatti, «che cos’è il cristianesimo se non l’avvenimento di un uomo nuovo che per sua natura diventa un protagonista nuovo sulla scena del mondo?» (Ibidem, p. 23), perché la questione fondamentale è l’accadere di questa creatura nuova, di questa nuova creazione, di questa nascita nuova.
- La Pagina Uno di "Tracce" di ottobre,

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