Noi preti dobbiamo puzzare di pecora come i pastori
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Tristezza
e dolore sono state le mie prime reazioni alla notizia che tre anziani,
disperati per il dramma economico che stavano passando, si sono tolti
la vita. “Il suicidio come rimedio alla crisi economica”, intitolava un
giornale veneto. Terribile questa affermazione: invece di domandarsi
perché succedono queste tragedie, si sbatte in faccia alla gente la
circostanza più disumana, più violenta che esiste per fuggire da un
serio problema o per risolverlo radicalmente, ponendo fine alla vita.
Viviamo in un mondo nel quale perfino la ragione è scomparsa dalla mappa
umana. Come non chiedersi il perché… Qual è la responsabilità di ognuno
davanti a questi fatti?
Dobbiamo chiederci se è la politica economica la causa di queste
drammatiche decisioni o se c’è qualcosa di più profondo. Non solo, ma
quando cominceranno i preti a interrogarsi sulla propria responsabilità,
invece di continuare a lanciare pietre contro la società o contro gli
uomini politici (senza scusare nessun politico, molte volte preoccupato
solo del potere)? Perché il sacerdote che celebra la funzione funebre
non comincia l’omelia domandandosi: «Ma io cosa ho fatto, cosa sto
facendo per accompagnare queste persone disperate?». Se io sono parroco
non posso non conoscere i miei parrocchiani, le loro necessità e i loro
problemi.
In questo senso occorre scoprire perché papa Francesco, già dal primo
giorno del suo pontificato, ha detto a noi pastori che dobbiamo uscire
in strada per incontrare la gente e non rimanere chiusi nella casa
parrocchiale, magari usando un pc o guardando la tv per collegarci con
il mondo. Il Santo Padre ci ha anche detto che il sacerdote, come il
pastore, deve puzzare di pecora, cioè deve condividere la vita con il
suo gregge. Fa male vedere come molte volte noi pastori scarichiamo la
nostra responsabilità sugli altri. Sembra che un suicidio o un omicidio
sia solo l’occasione per puntare il dito contro un “altro”.
Invece
occorre che ci inginocchiamo davanti a un “altro” sacerdote chiedendo
umilmente perdono per i nostri peccati di omissione. Sempre su quel
giornale ho letto che le autorità politiche e civili hanno messo a
disposizione della gente (specialmente per gli imprenditori costretti a
chiudere le proprie imprese), un numero telefonico al quale poter
ricorrere in un momento di disperazione… Iniziative belle! Ma la Chiesa?
Anche nella Chiesa sono sempre esistite persone o istituzioni che si
sono occupate di queste importanti e gravi questioni. In special modo in
ogni parrocchia, dove è più semplice raggiungere tutte le persone.
Lo affermo per esperienza personale, specialmente in terra di missione,
se non ci occupiamo delle persone, perdiamo tempo nella costruzione di
opere inutili. Mai come in questo momento è necessario affermare che
questo “è il tempo della persona”, perché è la persona che è in crisi e
non l’economia. Tutti parlano di crisi antropologica come origine di
qualunque altra crisi. Ed è profondamente vero perché se l’io umano
viene privato del significato della vita, della coscienza del proprio
destino, è inevitabile che consegni la sua vita al potere, con
l’illusione che questo gli risolva i problemi; mentre in realtà si trova
vuoto ed impotente. Mai come in questi tempi sento mia questa
provocazione: in chi sta la consistenza della mia vita, del mio io?
Negli idoli o nel Mistero che si è fatto carne in Cristo?
La dignità non è l’autonomia
Rispondere a questa domanda è una necessità, perché dalla posizione che assumiamo dipende la possibilità di una resurrezione o di una morte. L’orgoglio ci ha reso ciechi illudendoci che con le nostre capacità e la nostra forza saremmo stati in grado di risolvere i grandi punti interrogativi della vita. Mentre di fatto siamo precipitati nell’abisso del niente, del cinismo; incolpiamo sempre l’altro. Allora da dove riprendere la strada, da dove ricominciare? Occore la Grazia di trovare quell’Uomo che entrò nella storia affermando «Io sono la via, la verità e la vita». Papa Francesco parla della mondanizzazione della fede. Cioè di una fede incapace di incidere, di dare una rotta alla vita. Una fede formale che si adegua al potere di turno, incapace di scuotere la vita dal suo letargo e che non permette alla libertà umana di chiedere: «Vieni Signore Gesù».
Rispondere a questa domanda è una necessità, perché dalla posizione che assumiamo dipende la possibilità di una resurrezione o di una morte. L’orgoglio ci ha reso ciechi illudendoci che con le nostre capacità e la nostra forza saremmo stati in grado di risolvere i grandi punti interrogativi della vita. Mentre di fatto siamo precipitati nell’abisso del niente, del cinismo; incolpiamo sempre l’altro. Allora da dove riprendere la strada, da dove ricominciare? Occore la Grazia di trovare quell’Uomo che entrò nella storia affermando «Io sono la via, la verità e la vita». Papa Francesco parla della mondanizzazione della fede. Cioè di una fede incapace di incidere, di dare una rotta alla vita. Una fede formale che si adegua al potere di turno, incapace di scuotere la vita dal suo letargo e che non permette alla libertà umana di chiedere: «Vieni Signore Gesù».
Una delle cose più tristi di questa condizione esistenziale è che si è
arrivati fino al punto di scambiare il chiedere aiuto con la mancanza di
dignità. È quello che si è affermato a proposito di alcuni anziani che
si sono tolti la vita. Ci hanno fatto credere che la dignità dell’uomo
coincide con l’autonomia, con il “fai da te”. Mentre la dignità suprema
dell’uomo consiste nella libertà di chiedere, di mendicare. Affermava
don Giussani: «Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore
dell’uomo mendicante di Cristo». Instancabilmente papa Francesco ci
ricorda che mentre Dio non si stanca di perdonare, l’uomo si stanca di
chiedere perdono. «Io posso», pretesa di autorealizzazione prescindendo
dalla relazione col Mistero, è diventato la forma più diabolica
dell’orgoglio. Mentre l’uomo è relazione, è una domanda, è un fascio di
domande . Quale essere umano, afferma Gesù, può allungare la sua vita di
un solo minuto?
Troppo facile parlare dal pulpito
Davanti a questi fatti terribili che colpiscono sia giovani sia adulti, incolpiamo migliaia di fattori estranei alla nostra vita, essendo sleali con essa. Don Giussani ci diceva che l’uomo può arrivare anche a togliersi la vita, ma seguendo l’impeto del proprio cuore. Tutte le altre cause hanno sempre come origine un problema affettivo: in cosa ha consistenza il nostro cuore? E la risposta non ce la dà né lo psichiatra, né lo psicoanalista, nemmeno gli psicofarmaci. Non esiste rimedio, non esiste farmaco che possa risolvere il dramma del senso della vita. Tutta la nostra forza, tutta la nostra volontà non può impedire il “finire” della vita. Leggiamo cosa si afferma nel Piccolo signor Friedemann di Thomas Mann: «Che alla fine della storia personale ognuno, come nuovi Prometei, pretende di raggiungere il cielo con le proprie mani» (Storie di Thomas Mann ne Il Senso Religioso).
Davanti a questi fatti terribili che colpiscono sia giovani sia adulti, incolpiamo migliaia di fattori estranei alla nostra vita, essendo sleali con essa. Don Giussani ci diceva che l’uomo può arrivare anche a togliersi la vita, ma seguendo l’impeto del proprio cuore. Tutte le altre cause hanno sempre come origine un problema affettivo: in cosa ha consistenza il nostro cuore? E la risposta non ce la dà né lo psichiatra, né lo psicoanalista, nemmeno gli psicofarmaci. Non esiste rimedio, non esiste farmaco che possa risolvere il dramma del senso della vita. Tutta la nostra forza, tutta la nostra volontà non può impedire il “finire” della vita. Leggiamo cosa si afferma nel Piccolo signor Friedemann di Thomas Mann: «Che alla fine della storia personale ognuno, come nuovi Prometei, pretende di raggiungere il cielo con le proprie mani» (Storie di Thomas Mann ne Il Senso Religioso).
Solo prendendo sul serio il nostro cuore, aiutato dalla compagnia della
Chiesa, questa crisi, compresa quella economica, troverà l’inizio di una
soluzione. Altrimenti i politici continueranno a discutere per niente,
mantenendo solo la loro vuota loquacità in televisione e i preti
continueranno a incolpare “altri”, approfittando del potere dell’omelia,
accusando i politici di essere i responsabili di questi suicidi che
avvengono come risposta alla crisi. Tanto gli uni quanto gli altri senza
mai domandarsi: «La mia responsabilità personale dove è?». È arrivata
l’ora, come afferma papa Francesco, di uscire in strada annunciando
Cristo Gesù, l’unica risposta alla sete e fame di felicità, amore,
giustizia, verità, del cuore umano.
paldo.trento@gmail.com
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