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domenica 13 ottobre 2013

Il cristianesimo ha cambiato e cambia il mondo

                Il cristianesimo ha cambiato e cambia il mondo





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GIOVANNI FIGHERA


Nella tradizione giudaico-cristiana Dio ha creato il mondo. Perciò, ogni cosa creata è buona, come recita la Bibbia. Dio stesso ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Ciò significa che l’uomo porta impresso in sé il desiderio di Dio, che alberga nel cuore e che si esprime con una brama di felicità, di amore, di bene, di verità infinite. Questo desiderio e questo ardore possono trovare soddisfazione solo nell’incontro con Dio come scrive sant’Agostino nelle Confessioni rivolgendosi al Signore: «Ci hai fatti per te, e senza requie è il cuor nostro, finché non abbia requie in te». Chiaramente la dignità dell’uomo è nobilitata proprio dal fatto che è stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza. Da quando Dio si è fatto carne ed è diventato uomo nel figlio Gesù, non c’è più aspetto della vita, non c’è sofferenza, non c’è «capello del capo» che vadano perduti o che non abbiano senso. Se i Greci arrivarono a credere nell’immortalità dell’anima, non riuscirono a concepire la resurrezione dei corpi. Per il cristianesimo non solo l’anima è immortale, ma si ricongiungerà con il corpo dopo il Giudizio universale. Quest’affermazione sarà scandalosa per la cultura e la filosofia greche che concepivano il corpo in maniera negativa, come carcere dell’anima. Solo il cristianesimo consacra questa valorizzazione dell’uomo come unità di anima e corpo, sia nel tempo qui sulla Terra, sia per l’eternità quando finirà il tempo. È bene ricordare che, se da un lato nella tradizione giudaica e in quella cristiana è ribadita la superiorità dell’uomo sulle altre creature, dall’altro è, però, affermato sempre il rispetto per tutto il creato. La materia e il creato non sono, infatti, trattati come insignificanti, perché portano impresso il sigillo di Dio, che il Creatore vi ha collocato un po’ ovunque e così sono segno di Dio. Nel contempo, la materia, la natura e la realtà sono ben distinti da Dio. Non c’è il rischio di confondere la materia e la natura con la divinità, come avveniva spesso nelle culture e nelle civiltà precristiane e come, del resto, accade oggi spesso nelle culture neopagane contemporanee. Così, l’avvento di Cristo porta ad una valorizzazione del creato e della persona fino a prima sconosciuti senza sconfinare nel rischio dell’idolatria, della divinizzazione della natura o dell’uomo. L’uomo è, nel contempo, percepito come superiore alla natura. Un solo uomo vale più dell’intero universo. Per questo nessun uomo deve essere perduto. Questa consapevolezza del valore della «persona» era sconosciuta alla cultura e alla filosofia greche, che consideravano, invece, il cosmo e gli astri del cielo ben più divini e superiori rispetto all’uomo.


Pensiamo, poi, alla portata straordinaria che ebbe l’apparizione di Cristo, una volta risorto, alle donne prima che agli Apostoli o allo sguardo pietoso che Cristo ebbe per le prostitute (come del resto per tutti gli altri peccatori) e all’assoluta dignità con cui trattò tutti, uomini e donne indistintamente, anche coloro di cui nessuno si curava e che erano considerati un rifiuto della società. Non c’era (come non c’è ora) umanità di cui Gesù non si interessasse.

Non solo la concezione della donna muta nell’era cristiana, ma con essa anche la percezione del matrimonio. In epoca cristiana la convinzione è che non è solo l’anima o il corpo che ama, ma la persona intera, che è unità inscindibile di anima e corpo. Moglie e marito sono equiparati e condividono le gioie e i dolori.

All’immagine del  Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa misura dell’amore umano.

Per questo l’attacco al matrimonio cristiano sferrato negli ultimi decenni da una cultura imperante attraverso le armi del diritto è, in realtà, un attacco alla civiltà che rischia di demolirne le fondamenta e la stessa possibilità di sopravvivenza.
Con l’avvento di Cristo l’amore è potenziato e acquista il carattere della esclusività, rivolto solo ad una persona e per sempre.

L’amore diventa cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione nell’ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell’amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.

È il cristianesimo a modificare la percezione dell’amore da eros ad agapè, da un amore acquisitivo che è forza, fisicità, bisogno dell’altro ad un amore che è sacrificio, condivisione, offerta e dono di sé per l’altro sull’esempio di Cristo senza annullare la fisicità del rapporto, ma al contrario esaltandola. Dio stesso è amore e l’ha mostrato facendosi uomo e condividendo la nostra condizione umana. Se per Platone l’amore è tanto più grande quanto più è elevato l’oggetto dell’amore, nel cristianesimo, sarà s. Agostino a sottolinearlo, al contrario l’amore è tanto più elevato quanto è più piccola la cosa che ami, proprio perché Gesù ci ha amato e si è commosso per il nostro niente, ha amato gli uomini da tutti considerati più insignificanti o peccatori. Dirà sempre s. Agostino nel commento alla I Lettera di san Giovanni (7,7-8):

Ama e fa’ quello che vuoi. Sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene. In questo sta l’amore. In ciò si è manifestato l’amore di Dio in noi: che Dio mandò il Figlio suo Unigenito in questo mondo, affinché noi viviamo per mezzo suo. In questo è l’amore, non nel fatto che noi abbiamo amato, ma nel fatto che lui stesso ci ha amato.

Nel contempo, però, se l’uomo non ama Dio, non potrà neanche amare se stesso. Per il grande filosofo di Tagaste, infatti,  se vuoi sapere chi sei devi chiederti quello che ami e, così, lo scoprirai. La novità dell’amore inteso come agapè rivelato da Cristo non investe solo la forma del matrimonio, ma coinvolge con la sua forza innovatrice tutti gli ambiti dell’esistenza. Gli antichi non conobbero quella speranza che è certezza a partire da una misericordia sperimentata al presente, caratteristica precipua e unica del cristianesimo. Gli antichi non conobbero la consolante percezione di una redenzione che è entrata nel mondo e che l’ha rigenerato, modificando già la vita concreta delle persone.
Molte realtà assistenziali non esistevano nell’antichità così come le concepiamo noi oggi, ma sono state introdotte in quel Medioevo cristiano tanto disprezzato nelle epoche successive.

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