Il cristianesimo ha cambiato e cambia il mondo |
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GIOVANNI FIGHERA | ||||
Pensiamo, poi, alla portata straordinaria che ebbe l’apparizione di Cristo, una volta risorto, alle donne prima che agli Apostoli o allo sguardo pietoso che Cristo ebbe per le prostitute (come del resto per tutti gli altri peccatori) e all’assoluta dignità con cui trattò tutti, uomini e donne indistintamente, anche coloro di cui nessuno si curava e che erano considerati un rifiuto della società. Non c’era (come non c’è ora) umanità di cui Gesù non si interessasse.
Non solo la concezione della donna muta nell’era cristiana, ma con essa anche la percezione del matrimonio. In epoca cristiana la convinzione è che non è solo l’anima o il corpo che ama, ma la persona intera, che è unità inscindibile di anima e corpo. Moglie e marito sono equiparati e condividono le gioie e i dolori.
All’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa misura dell’amore umano.
Per questo l’attacco al matrimonio cristiano sferrato negli ultimi decenni da una cultura imperante attraverso le armi del diritto è, in realtà, un attacco alla civiltà che rischia di demolirne le fondamenta e la stessa possibilità di sopravvivenza.
Con l’avvento di Cristo l’amore è potenziato e acquista il carattere della esclusività, rivolto solo ad una persona e per sempre.
L’amore diventa cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione nell’ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell’amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.
È il cristianesimo a modificare la percezione dell’amore da eros ad agapè, da un amore acquisitivo che è forza, fisicità, bisogno dell’altro ad un amore che è sacrificio, condivisione, offerta e dono di sé per l’altro sull’esempio di Cristo senza annullare la fisicità del rapporto, ma al contrario esaltandola. Dio stesso è amore e l’ha mostrato facendosi uomo e condividendo la nostra condizione umana. Se per Platone l’amore è tanto più grande quanto più è elevato l’oggetto dell’amore, nel cristianesimo, sarà s. Agostino a sottolinearlo, al contrario l’amore è tanto più elevato quanto è più piccola la cosa che ami, proprio perché Gesù ci ha amato e si è commosso per il nostro niente, ha amato gli uomini da tutti considerati più insignificanti o peccatori. Dirà sempre s. Agostino nel commento alla I Lettera di san Giovanni (7,7-8):
Ama e fa’ quello che vuoi. Sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene. In questo sta l’amore. In ciò si è manifestato l’amore di Dio in noi: che Dio mandò il Figlio suo Unigenito in questo mondo, affinché noi viviamo per mezzo suo. In questo è l’amore, non nel fatto che noi abbiamo amato, ma nel fatto che lui stesso ci ha amato.
Nel contempo, però, se l’uomo non ama Dio, non potrà neanche amare se stesso. Per il grande filosofo di Tagaste, infatti, se vuoi sapere chi sei devi chiederti quello che ami e, così, lo scoprirai. La novità dell’amore inteso come agapè rivelato da Cristo non investe solo la forma del matrimonio, ma coinvolge con la sua forza innovatrice tutti gli ambiti dell’esistenza. Gli antichi non conobbero quella speranza che è certezza a partire da una misericordia sperimentata al presente, caratteristica precipua e unica del cristianesimo. Gli antichi non conobbero la consolante percezione di una redenzione che è entrata nel mondo e che l’ha rigenerato, modificando già la vita concreta delle persone.
Molte realtà assistenziali non esistevano nell’antichità così come le concepiamo noi oggi, ma sono state introdotte in quel Medioevo cristiano tanto disprezzato nelle epoche successive.
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