«Mai nella storia un odio così passionale contro la religione»
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ottobre 12, 2013
Vicente Cárcel Ortí
A Tarragona 522 martiri,
erroneamente definiti della “guerra civile spagnola”, saranno
beatificati dal cardinale Angelo Amato. Tra questi figurano molti
religiosi ma anche laici, che sacrificarono la vita pur di non rinnegare
la propria fede
Ma ci furono anche “martiri della persecuzione religiosa”, perché durante la guerra civile, in tutta l’area repubblicana, il culto cattolico fu proibito per quasi tre anni. La Chiesa ufficialmente non esisteva. Gli ecclesiastici e le religiose furono uccisi perché erano uomini o donne di Chiesa, e per lo stesso motivo furono assassinati uomini e donne dell’Azione Cattolica e di altri movimenti ecclesiali, ossia perché erano cattolici praticanti. Ma nessuno di loro fu implicato in lotte politiche o ideologiche, e tanto meno vi prese parte.
La Chiesa li eleva agli onori degli altari con il titolo di martiri perché erano persone che lavoravano pacificamente in parrocchie, scuole, collegi, ospedali, ospizi e così via. Un’opera sociale immensa, mai abbastanza riconosciuta alla Chiesa, interrotta brutalmente da quella persecuzione religiosa, senza precedenti nella storia della Spagna. Quelle persone non persero la vita in azioni di guerra e non furono neppure vittime della repressione politica. Furono semplicemente testimoni di Cristo e quindi “martiri della fede durante la persecuzione religiosa”.
A richiamare l’attenzione è innanzitutto l’età. Per esempio, dei 26 religiosi passionisti di Daimiel, 15 erano studenti tra i 18 e i 21 anni. Lo stesso vale per i Fratelli di San Giovanni di Dio, i claretiani di Barbastro, i Fratelli delle Scuole Cristiane di Turón e di Almería, gli agostiniani di El Escorial, i francescani, i domenicani, i trinitari, i carmelitani, gli scolopi, i claretiani salesiani, i maristi e così via. I più giovani furono l’aspirante salesiano Federico Cobo e lo studente carmelitano Pedro Tomás Prati, entrambi sedicenni.
Questi dati sono impressionanti, ma lo sono ancora di più le opinioni di alcuni responsabili della tragedia. Alla fine dell’agosto del 1936, un alto dirigente catalano, alla domanda di una redattrice del giornale francese «L’Oeuvre» sulla possibilità di riavviare il culto cattolico in Spagna rispose: «Oh, il problema non si pone neppure, perché tutte le chiese sono state distrutte». Andrés Nin, capo del Partito operaio di unificazione marxista, in un discorso pronunciato a Barcellona l’8 agosto 1936, non esitò a dichiarare: «C’erano molti problemi in Spagna (…) Il problema della Chiesa lo abbiamo risolto completamente, andando alla radice: abbiamo soppresso i sacerdoti, le chiese e il culto». José Díaz, segretario generale della sezione spagnola della III Internazionale, il 5 marzo 1937 disse a Valencia: «Nelle province in cui dominiamo, la Chiesa non esiste più. La Spagna ha superato di molto l’opera dei Soviet, perché la Chiesa, in Spagna, è ora completamente annientata».
Gabriele Ranzato, che si propone di smontare molte leggende che avvolgono ancora il conflitto spagnolo del 1936, afferma che l’errore più drammatico commesso dalla sinistra spagnola fu il suo atteggiamento verso la Chiesa, e nelle sue monografie L’eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini (1931-1939) (Torino, Bollati Boringhieri, 2004), e La Grande paura del 1936. Come la Spagna precipitò nella guerra civile (Bari-Roma, Laterza, 2011), documenta come le sinistre spagnole scatenarono contro di essa «una vera e propria persecuzione religiosa».
Quando scoppiò la guerra civile già erano state date alle fiamme 239 chiese, erano state distrutte numerose opere d’arte, erano stati violati tabernacoli, gettate per terra ostie consacrate poi calpestate, disseppellite salme di vescovi e monache, imposte tasse ai funerali cattolici, impendendo in molti casi la loro celebrazione, proibiti i simboli cattolici sulle tombe, equiparata la settimana santa a una riunione clandestina, con i conseguenti arresti, impedite le prime comunioni dei bambini, lasciati liberi per le strade cani con una croce appesa al collare.
Nei suoi libri Ranzato non mostra mai simpatia per la causa e l’opera del vincitore della guerra civile, ma conclude la sua importante ricerca definendo «discutibile» il perpetuarsi dell’immagine della Spagna della primavera del 1936 come «un Paese di democrazia liberale, capace di tenere il suo sistema politico-economico al riparo da qualsiasi sollevazione rivoluzionaria e che fu condotto alla guerra civile solo da una sollevazione militare reazionaria e fascista». Queste poche e misurate parole ci fanno pensare che la storia della Spagna degli anni che precedettero la seconda guerra mondiale, e che in parte la determinarono, inizia a essere scritta solo ora alla luce di nuovi documenti.
L’atteggiamento conciliante e aperto al negoziato della Chiesa dinanzi alla Repubblica, sin dal primo momento, è ampiamente dimostrato dalla documentazione vaticana che sto sistematicamente pubblicando (La ii República y la Guerra Civil en el Archivo Secreto Vaticano, Madrid, Bac, 2011-2012, 3 volumi). Pio XI la riconobbe subito, nell’aprile del 1931, e mantenne le relazioni diplomatiche fino alla metà del 1938. Domandò ai vescovi, ai sacerdoti e ai cattolici di accettarla e di collaborare con essa per il bene comune. Ma i governanti repubblicani scatenarono molto presto quell’attacco frontale che finì in tragedia.
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