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mercoledì 29 marzo 2023

Perché i ciellini sono così affascinati dai “corsari” Pasolini e Testori

 Lettere al direttore

Perché i ciellini sono così affascinati dai “corsari” Pasolini e Testori

Peppino Zola 28/03/2023 - 7:00

Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini durante le riprese del film Teorema, Milano, 1968 (foto Ansa)


Caro direttore, nel 2022 si è celebrato il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini; nel 2023 si sta ricordando il centenario della nascita di Giovanni Testori. In questi giorni alcuni begli articoli hanno sottolineato il parallelismo tra i due grandi personaggi della cultura italiana, accomunati dal fatto che prima Pasolini e poi Testori hanno scritto memorabili articoli sul Corriere della Sera negli anni ’70 e ’80. Lo spunto è stato dato dal libro Testori corsaro, il cui titolo riferisce anche a Testori una definizione che aveva già caratterizzato Pasolini: “corsaro”. Entrambi “corsari”, dunque, ed a ragione, perché entrambi non si sono rassegnati al conformismo culturale e sociale che dominava (e domina) il nostro Paese e, con diverse voci, hanno attaccato, senza mezzi termini, le distorsioni che vedevano dilagare senza ritegno. Penso che il termine usato nei loro confronti sia giusto, perché hanno messo a nudo in modo impertinente perversioni che ora, purtroppo, sono divenute pane quotidiano della nostra convivenza e delle nostre polemiche. Entrambi, sono stati non solo corsari, ma anche profeti, che hanno visto in anticipo ciò che sarebbe accaduto cinquanta anni dopo.



Entrambi questi “corsari” sono stati affascinati e apprezzati calorosamente dagli aderenti al movimento di Cl, anche se essi provenivano da esperienze che avevano le radici in riferimenti culturali e anche politici molto diversi. Alcuni passaggi di Pasolini venivano comunemente citati in discorsi e scritti, soprattutto quando si voleva sottolineare la deriva opprimente favorito dal potere. Nella sua poderosa Vita di don Giussani (pag. 535-537), Alberto Savorana ci riferisce che don Giussani stesso rimase impressionato da un articolo di Pasolini del 1974, intitolato “Il potere senza volto”, nel quale l’intellettuale friulano elencava alcuni aspetti di questo potere: «La sua decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e, soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “Sviluppo”: produrre e consumare». Savorana annota che Pasolini «terminava l’articolo osservando che il fine del nuovo potere è ‘l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo“». Don Giussani avrebbe usato molte volte, in seguito, la parola “omologazione” per indicare il vero disagio vissuto da un intero popolo, cui di fatto è impedito di affrontare con positività il cammino della vita, anche se viene assicurata una libertà che finisce con l’essere solo formale.



Il movimento fece spesso riferimento agli scritti di Pasolini, anche se non ebbe mai modo di incontrarlo.


Diverso e ben più profondo fu il rapporto con il “corsaro” Testori, che iniziò con la visita che gli fecero alcuni universitari del Clu dopo avere letto con entusiasmo l’articolo con cui lo scrittore commentava il delitto Moro. Il rapporto con Testori fu di immediata simpatia; gli studenti del Clu gli fecero incontrare don Giussani, con il quale si sviluppò una enorme sintonia circa le tematiche antropologiche che incontriamo in questi tempi e circa la riscoperta della fede in Cristo come unica fonte di speranza e di salvezza dal nostro nulla. Anche questo intenso rapporto tra i due grandi lombardi viene descritto in modo molto efficace da Savorana.


Mi chiedo. Ma perché i ciellini sono stati così affascinati da due “corsari”, Pasolini e Testori, «ribelli in una società, intesa anche come società della cultura, di cui anteleggevano la crisi prima di tutto antropologica» come li ha ben descritti Maurizio Crippa sul Foglio? Perché l’ammirazione di un movimento cattolico verso due scomodi (sotto tanti profili) personaggi che descrivevano una “società sempre meno libera”? Vorrei tentare di dare qualche risposta, che spero oggettiva, data la mia lunga appartenenza al movimento stesso.



Credo che Comunione e Liberazione abbia amato questi due “corsari” perché, innanzi tutto, esso stesso è un movimento “corsaro” sotto molti profili. All’inizio degli anni ’70 era stato solo Cl a rilanciare in Italia una drammatica “Lettera ai cristiani d’Occidente” scritta da un teologo religioso perseguitato in Cecoslovacchia, Josef Zverina, che rimproverava duramente i cristiani del mondo libero, ammonendoli con le parole di San Paolo: «Non conformatevi, perciò alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto». Valorizzando Zverina, eravamo anche noi un po’ “corsari”, rispetto al sentire di molti cristiani, i quali, per questo, si accodavano al mondo laicista nell’accusarci, assurdamente, di essere “integralisti”. Corsari, non integralisti e come tali partecipammo nel 1974 alle campagna referendaria sul divorzio, indicandola come “una riforma borghese” e poi, nel 1981, alla campagna referendaria sull’aborto difendendo coraggiosamente la sacralità della vita. Oggi tanti si stanno accorgendo che i corsari avevano ragione.


A noi piacciono i “corsari” perché non hanno paura di dire e affrontare la verità e l’autenticità delle cose e delle circostanze. Partendo dal criterio nuovo imparato da Cristo e dalla Sua comunità, siamo stati educati a vedere anche il minimo di verità intuito e proclamato da chiunque come anche a non nascondere sotto il tappeto le storture che minacciano l’umano, prima ancora che il cristiano (anche se le due cose coincidono). Per rafforzare le ragioni cristiane del vivere, spesso don Giussani citava autori fuori regola (anch’essi “corsari”) come Leopardi (sopra tutti) e Cesare Pavese e tanti altri. A noi i “corsari” piacevano e piacciono (quando ci sono) perché non si rassegnano alla menzogna (da qualunque parte arrivi) ed alla ipocrisia, il sommo dei peccati. Gesù era buono, ma non “buonista” e non perdeva occasione per arrabbiarsi con una categoria specifica, quella degli ipocriti, sia nella loro versione laica (gli scribi, cioè gli intellettuali, i giornalisti, etc.) che nella loro versione clericale (i farisei). Guardava con tenerezza i peccatori professi (Maddalena, Zaccheo, Samaritana, Matteo, etc) ma non gli ipocriti.



Ecco, i nostri “corsari” sono stati tutto tranne che ipocriti e per questo ci sono piaciuti, in polemica con i perbenisti. Ancora Savorana, a pagina 633, racconta che don Giussani presentò così Testori agli universitari di Cl: «Giovanni Testori nella nostra situazione, sull’orizzonte nostro di oggi è come un avamposto della nostra battaglia, e noi abbiamo un po’ di rimorso perché rimaniamo troppo facilmente ancora protetti dalla trincea di fronte all’impeto della sua battaglia». Testori, cioè, esempio da seguire nella nostra presenza di fronte a noi stessi e di fronte al mondo che nega Cristo. E ancora don Giussani così ricordava Testori alla sua morte: «È stato, oltre che un maestro, come un impeto di vita che si comunicava. Era appassionato alla vita, una passione che suscitava, specialmente nei giovani, una volontà di fare, una volontà di impegno, una volontà creativa» (pag. 873).


I “corsari” ci sono piaciuti perché ci hanno confermato nel desiderio di rendere presente la verità incontrata in Cristo in ogni circostanza ed in ogni luogo, in ogni ambiente.


Non posso non concludere questa breve annotazione senza ricordare che il “corsaro” Testori, alla fine, ha trovato una casa, anzi è tornato alla casa edificata da Cristo, aiutato, penso, anche dalla compagnia nata con l’esperienza del Movimento. Una casa che ha reso ancora più ardente e piena di speranza la sua battaglia per difendere un popolo intero dall’attacco alla verità che gli viene sferrato sempre più senza ritegno. Sarebbe delittuoso, anche per questo, non fare memoria di questo grande amico

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