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martedì 6 novembre 2012

LE ULTIME ORE DI PADRE PUGLISI

LE ULTIME ORE DI PADRE PUGLISI  
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(sul mensile Vita)
 

pubblicata da Lucio Brunelli il giorno Martedì 6 novembre 2012
Che giornata quel 15 settembre. Sarà che cominciava ad invecchiare - 56 anni! - ma non vedeva l'ora di stendersi un po' e riposare nel suo letto. Erano le 20 e 45. Al volante della Uno rossa, l'aveva comprata usata, percorse le poche centinaia di metri che separano la parrocchia di san Gaetano dalle case popolari di piazza Anita Garibaldi, abitazione che i suoi genitori avevano avuto in affitto anni addietro dal Comune. Il padre ciabattino, la madre sarta, una vita vissuta tutta lì, borgata Brancaccio, il Bronx di Palermo.
 Padre Pino era sceso dalla macchina e stava tirando fuori le chiavi di casa dal borsello. Niente scorta, niente protezione perché lo statuto di 'prete antimafia' gli venne riconosciuto dopo. Dopo che l'ammazzarono.
Era il giorno del suo compleanno e fu anche quello della sua morte. Mercoledì 15 settembre 1993. Prete da 33 anni, felice di esserlo. Ne aveva girati di posti, a Palermo e dintorni, ma non gli erano mai toccati i quartieri bene. Vice parroco a Settecannoli; cappellano in un istituto per orfani all'Addura; insegnante di religione all'Istituto professionale Einaudi e al magistrale Santa Macrina; parroco a Godrano dove una faida familiare aveva fatto troppi lutti e gli era riuscito, con tanta pazienza, di riconciliare quelle famiglie; pro-rettore al seminario minore e direttore del Centro diocesano vocazioni... Si sentiva un prete normale. Faceva il suo dovere: servire Cristo e la Chiesa, condividere i bisogni delle persone che gli venivano affidate. Da tre anni era tornato nel suo quartiere natio. Il cardinale Pappalardo non riusciva a trovare sacerdoti disponibili a sacrificarsi in un postaccio come quello: degrado, mafia, tante rogne e poche soddisfazioni. Ho accettato per obbedienza e per amore... D'altronde sono fatto così. Appena mi dicono che in quel posto non vuole andare nessuno, avverto immediatamente l'impulso a precipitarmi proprio lì... “
La sua presenza s'era fatta subito sentire. Brancaccio era il regno dei fratelli Graviano ai quali il cognato di Totò Riina, Leoluca Bagarella, rimproverava di pensare troppo a divertirsi con le femmine e di prestare poca attenzione a quel prete rompiscatole. Come avrebbe testimoniato, più tardi, il pentito Tony Calvaruso: “Il Bagarella ne aveva per tutti e li criticava (i fratelli Graviano) nel senso che c’era questo prete nel loro territorio – che faceva questi discorsi, che faceva le manifestazioni contro la mafia, che prendeva questi bambini cercando di dire loro “non mettetevi con i mafiosi” – e loro praticamente l’avevano ignorato e avevano la testa sempre alle donne”.

Si avvicinava all'uscio di casa, padre Pino, e ripensava a tutte le cose che aveva fatto nel giorno del suo compleanno. Al mattino era andato in Comune per chiedere, ancora!, che avessero la bontà di aprire una scuola media a Brancaccio. Convinto, com'era, che l'unica speranza di un futuro diverso per la borgata fosse nell'educazione dei ragazzini che altrimenti finivano “a mala strada”. “L'evasione scolastica è anche dovuta al fatto che Brancaccio è l'unico quartiere di Palermo in cui non esiste una scuola media. Chi vuole studiare deve sobbarcarsi lunghi spostamenti. Evidentemente questo fa comodo a chi vuole che l'ignoranza continui”.
Da tre anni continuava a bussare a tutte le porte degli uffici competenti. A fine luglio era venuto a trovarlo un cronista de Il Giornale di Sicilia: i soliti ignoti avevano dato fuoco al portone della parrocchia, bruciato un furgone. Padre Pino ne aveva profittato per parlare della scuola: “Lavoriamo da tre anni ed è una battaglia senza risultati. Nelle anticamere di tutti i sindaci, Lo Vasco, Rizzo, Orobello, di tutti gli assessori, del prefetto, prima Jovine poi Muslo, anche alla Usl, anche nella sala d'aspetto dell'amministratore straordinario della 62, Gaspare Cottone, e in quella del provveditore, Mario Barreca. A chiedere almeno una scuola media, un distretto sociosanitario di base e un po' di verde dove giocare e correre. Risultati, finora nessuno”.
Così il giorno del suo compleanno era cominciato con una visita al Comune. Altre promesse, chissà... Poi era tornato in parrocchia, aveva da celebrare due matrimoni. Nel pomeriggio i colloqui con le famiglie per la preparazione al battesimo. E poi, ancora, una riunione con i collaboratori perché la Commissione Antimafia aveva annunciato una visita a Brancaccio il 22 settembre e c'erano molte cosa da preparare. Suor Carolina infine lo tampinava da ore, le suore del Centro Padre Nostro – la sua ultima creatura, la più amata - avevano preparato una torta e almeno un minuto aveva dovuto concederlo anche a loro.
Era stato inaugurato quello stesso anno, a gennaio, il Centro Padre Nostro. C'era tanto da fare, soprattutto con i minori delle zone più degradate; aveva chiesto aiuto a una congregazione religiosa e alla generosità creativa dei suoi parrocchiani: “Una sera una ragazza ha invitato tutti gli amici in parrocchia, ognuno ha portato un panino e ha versato, per il Centro, i soldi che avrebbe speso per una cena al ristorante Arrivarono in 85, ricavato due milioni e mezzo d lire”.

Stava per aprire il portoncino della sua palazzina quando Gaspare Spatuzza gli sbarrò la strada e gli prese il borsello. “Padre, questa è una rapina” sussurrò. Padre Puglisi lo guardò. “Me l'aspettavo” disse. E sorrise. Sapeva del rischio che correva. Aveva ricevuto minacce, per telefono e per lettera. Dei picciotti in moto avevano bloccato Tony, un ragazzo della parrocchia: "Dicci 'o parrinu chinn'havi a fari travagghiari in paci" (Digli al prete che ci deve lasciare lavorare in pace). Un giorno aveva trovato le gomme della Uno bucate da un punteruolo. Un altro giorno s'era presentato in parrocchia con un labbro spaccato e a chi, spaventato, gli chiedeva cosa fosse successo, aveva risposto con un sorriso: “sarà un herpes”. Lo stesso sorriso che rivolgeva ora ai suoi killer. Salvatore Grigoli estrasse la pistola e sparò. Un colpo solo, alla nuca. Era il suo 46esimo omicidio. Ma fu diverso da tutti gli altri. “Quello che posso dire è che c’era una specie di luce in quel sorriso… Io già ne avevo uccisi parecchi, però non avevo ancora provato nulla del genere. Me lo ricordo sempre quel sorriso, anche se faccio fatica persino a tenermi impressi i volti dei miei parenti”.
Sia Gaspare Spatuzza sia Salvatore Gregoli furono catturati e processati per omicidio. Entrambi accettarono di collaborare con gli inquirenti indicando nei fratelli Graviano i mandanti. Entrambi confidarono ai cappellani in carcere di aver iniziato un cammino di 'conversione'.
Era la prima volta che la mafia uccideva un prete. Forse pesò una volontà di 'rappresaglia' contro la Chiesa: appena quattro mesi prima, nella valle dei templi ad Agrigento, era risuonato il grido di Giovanni Paolo II: “Convertitevi.. Un giorno verrà il Giudizio di Dio..”. Soprattutto i boss trovarono insopportabile quel piccolo prete che sottraeva potenziali reclute alla cosche e si rifiutava di onorare i codici della mafia.
Che giornata sarà, per padre Puglisi, il 25 maggio 2013! Da lassù, dove riposa in pace, assisterà ad una cerimonia di beatificazione senza precedenti nella sua Palermo. Ucciso in 'odium fidei” recita il decreto di Benedetto XVI. Ratzinger è un papa attentissimo alle parole della tradizione e della dottrina cristiana. Per altri santi moderni, come padre Kolbe, giustiziato in un lager nazista, papa Wojtyla aveva introdotto un nuovo attributo: 'martiri della carità', per distinguerli dagli antichi 'martiri della fede', vittime di persecuzioni apertamente anticristiane. Benedetto XVI ha stabilito invece che anche il parroco di Brancaccio, assassinato da un'organizzazione che spesso si ammanta di simbologie religiose, rientrasse nella schiera dei martiri uccisi 'in odio alla fede'. Radicale 'scomunica' della mafia. Ma più ancora il rispetto delle motivazioni della testimonianza di padre Puglisi. Odiando quel che era e quel che faceva i mafiosi odiavano, di fatto, la sua fede in Gesù Cristo.


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