“Per me la vita è stata bella perchè l’ho pagata cara”
***
di MARIA DI LORENZO
«Quando il cielo baciò la terra nacque Maria.
Che vuol dire la semplice,
la buona, la colma di grazia.
Maria è il respiro dell’anima,
è l’ultimo soffio dell’uomo.
Maria discende in noi,
è come l’acqua che si diffonde
in tutte le membra e le anima,
e da carne inerte che siamo noi
diventiamo viva potenza».
Versi potenti, e al tempo stesso semplici, di una grande poetessa italiana, Alda Merini, che alla Madonna dedicò molte pagine della sua ricca produzione e, in particolare, uno splendido libro uscito nel 2002 per l’editore Frassinelli: Magnificat. Un incontro con Maria.
«Sei la povertà e la ricchezza – scrive rivolgendosi alla Madre di Dio –
il sogno e la contraddizione,
la volontà di Dio e la volontà dell’uomo,
che tu educhi alla contemplazione.
Il dolore è la tua casa, è la casa del mondo,
eppure tu sei la regina degli angeli,
la regina nostra, la regina di tutti i tempi».
Una grande voce del Novecento. Alda
Merini era nata a Milano il 21 marzo 1931 («Sono nata il ventuno a
primavera / ma non sapevo che nascere folle, / aprire le zolle / potesse
scatenar tempesta…»). Aveva iniziato a comporre le prime liriche a
quindici anni e non ne aveva ancora venti quando, nel 1950, Giacinto
Spagnoletti aveva pubblicato nell’antologia Poesia italiana contemporanea 1909-1949 le liriche Il gobbo e Luce. L’anno successivo, queste liriche insieme ad altri due componimenti verranno incluse da Vanni Scheiwiller nel volume Poetesse del Novecento,
su consiglio di Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani. Già da questi
primi versi si intuiscono i motivi ricorrenti della sua poesia:
l’intreccio di temi mistici e sensuali, di luce e di ombra, il tutto
però amalgamato da una concentrazione stilistica notevole, che nell’arco
degli anni lascerà spazio a una poesia più immediata, intuitiva.
Nel ’53 sposa Ettore Carniti (da cui avrà quattro
figlie: Emanuela, Flavia, Simona, Barbara) e lo stesso anno esce la
prima raccolta poetica La presenza di Orfeo, seguita nel ’55 da Paura di Dio e Nozze romane. Dopo la silloge Tu sei Pietro,
edita nel ’61 da Scheiwiller, segue un silenzio durato circa vent’anni,
durante i quali la Merini viene ricoverata per disturbi mentali
nell’ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano («Per me è stato un
miracolo di Dio essere uscita viva da lì. Ho visto morire tanti ragazzi.
Mi ha salvata mio marito che veniva a trovarmi, perché chi non aveva
nessuno scompariva all’improvviso nel nulla»). Nel ’79 il lungo silenzio
editoriale è rotto e la Merini inizia a lavorare su quello che è
considerato il suo capolavoro: La Terra Santa, vincitrice del premio Montale nel ’93.
La Terra Santa segna l’inizio di una poetica
diversa, impregnata della devastante esperienza manicomiale («Il
manicomio è il monte Sinai, / maledetto, su cui tu ricevi / le tavole di
una legge / agli uomini sconosciuta»). Si tratta di liriche di
un’intensità potente, dove la realtà lascia il posto all’idea stessa del
reale, sublimata e deformata dal delirio della follia. La prima
proposta di stampa dell’opera fu accolta da una totale indifferenza da
parte degli editori. Solo Paola Mauri accetta di pubblicare trenta
liriche, scelte su un dattiloscritto di oltre un centinaio di testi
composti dalla Merini durante l’internamento, sul n. 4 della rivista Il cavallo di Troia,
nel 1982. Due anni dopo Schweiller riprende le trenta liriche e, con
l’aggiunta di altre dieci, dà alle stampe la prima edizione de La Terra Santa, decretando la fine dell’ostracismo dell’artista.
Intanto, dopo la morte del marito, Alda Merini
conosce il poeta Michele Pierri che sposa nell’83 trasferendosi a
Taranto; qui però si riaffacciano i problemi mentali e nell’86 la Merini
torna definitivamente a vivere a Milano, sulle rive dell’amato
Naviglio, in una casa piena di libri, quadri e fotografie, in Ripa di
Porta Ticinese 47. Lì ricomincia a scrivere con continuità, alternando
versi e prosa. Sono anni assai fecondi, dove si contano sempre maggiori
pubblicazioni ed interventi pubblici e in cui le vengono assegnati
diversi premi letterari e una laurea honoris causa dall’Università di
Messina.
Nell’89 esce Delirio amoroso e nel ’92 Ipotenusa d’amore, cui l’anno dopo fa seguito il volume in prosa La pazza della porta accanto. Nel ’95 viene data alle stampe la raccolta Ballate non pagate
e nel ’96 le viene aggiudicato il premio Viareggio per la poesia. Nello
stesso anno Alda Merini viene proposta per il Nobel per la letteratura
dall’Academie française.
Del ’97 è la raccolta La volpe e il sipario,
la più alta dimostrazione dello stile poetico dell’artista: una poesia
che nasce dall’emozione, improvvisa e violenta, mai ritoccata, riletta.
Una scrittura nata di getto, sull’onda del pensiero che si fa man mano
sempre più astratto e simbolico. E nel 2002 esce per Frassinelli Magnificat. Un incontro con Maria,
dove la Merini evoca la Vergine Madre indagandone soprattutto l’aspetto
umano e femminile, opera che, nel settembre dello stesso anno, le vale
il premio Dessì per la poesia.
«Se Tu sei la mia mano, / il mio dito, /
la mia voce, / se Tu sei il vento / che mi scompiglia i capelli, / se Tu
sei la mia adolescenza / io ho il diritto di servirti / e il dovere, /
perché l’adolescenza / non ha mai chiesto nulla / alle sue stagioni. /
Tu mi hai presa / perché io non ero una donna / ma solo una bambina. / E
le bambine si accolgono / e si avvolgono di mistero. / Tu mi hai resa
donna, Signore, / e la donna è soltanto / un pugno di dolore. / Ma
questo pugno / io non lo batterò / verso il mio petto, / lo allargherò
verso di Te / come una mano / che chiede misericordia…».
Un destino mai tradito. I testi di
Alda Merini sono tra le maggiori espressioni liriche del Novecento. La
colpa e la grazia, l’inferno e la gloria, la tenebra e la luce sono
stati i poli della sua ricerca poetica («Le più belle poesie / si
scrivono sopra le pietre / coi ginocchi piagati / e le menti aguzzate
dal mistero. / Le più belle poesie si scrivono / davanti a un altare
vuoto, / accerchiati da agenti / della divina follia»). Un destino di
poesia, il suo, «mai tradito», come scrive Maria Corti nella prefazione a
Fiore di Poesia (Einaudi 1998), ma anche il destino di una donna capace di rinascere mille volte dalle proprie ceneri.
Alda Merini si è spenta il 1° novembre 2009
all’ospedale San Paolo di Milano, in seguito ad un tumore. Aveva detto:
«Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come
tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto
dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio
manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita».
Aveva 78 anni la «piccola ape furibonda » che, con la sua vita difficile
e la sua opera sofferta, ha segnato la storia culturale italiana. La
donna che per dodici anni era stata rinchiusa in manicomio, cui avevano
allontanato le figlie, il cui cervello avevano folgorato con 37
elettrochoc. Nata il primo giorno di primavera e morta il giorno di
tutti i Santi. Un’artista che ha saputo fondere vita e arte in un’unica,
inscindibile forma. E che ha lasciato scritto, quasi un testamento: «Io
la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di quello che vanno dicendo sul
manicomio. Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della
vita e la vita è spesso un inferno… Per me la vita è stata bella perché
l’ho pagata cara».
(c) Maria Di Lorenzo – all rights reserved
Articolo pubblicato sul mensile “Madre di Dio” – gennaio 2011
Nessun commento:
Posta un commento