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domenica 30 giugno 2013

PENSIERI DI MARGHERITA HACH

PENSIERI DI MARGHERITA HACH
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«tanto il credente che il non credente non possono dimostrare
scientificamente l’esistenza o la non esistenza di Dio, si tratta in ambedue di casi di fede».  

«la scienza sviscera le cause piccole e grandi di quello che c’è, non il perché c’è. Non spiega, né potrà
mai spiegare perché c’è l’universo, perché c’è la vita»

 «ateo e credente possono anche dialogare, a patto che ambedue siano “laici”, nel
senso che rispettano le credenze o le fedi dell’altro senza volere imporre le proprie». 

« La scienza non riesce a dare una risposta totale. Quindi il mistero c'è certamente. Se quando morirò dovessi scoprire che c'è la vita eterna, direi a Dio che ho sbagliato. E forse tutto sommato, sarebbe bello essersi sbagliati. Gesù è stato certamente la maggior personalità della storia. Il suo insegnamento, se è resistito per 2000 anni, significa che aveva davvero qualcosa di eccezionale: ha trasmesso valori che sono essenziali anche per un non credente ».

(Margherita Hack, da "Dove nascono le stelle", Sperling & Kupfer, Milano 2004, pag. 198)

Gesù non vuole cristiani «telecomandati»

Gesù non vuole cristiani «telecomandati»
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ANGELUS
Piazza San Pietro Domenica, 30 giugno 2013
 
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di questa domenica (Lc 9,51-62) mostra un passaggio molto importante nella vita di Cristo: il momento in cui – come scrive san Luca – «Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (9,51). Gerusalemme è la meta finale, dove Gesù, nella sua ultima Pasqua, deve morire e risorgere, e così portare a compimento la sua missione di salvezza.
Da quel momento, dopo quella “ferma decisione”, Gesù punta dritto al traguardo, e anche alle persone che incontra e che gli chiedono di seguirlo, dice chiaramente quali sono le condizioni: non avere una dimora stabile; sapersi distaccare dagli affetti umani; non cedere alla nostalgia del passato.
Ma Gesù dice anche ai suoi discepoli, incaricati di precederlo sulla via verso Gerusalemme per annunciare il suo passaggio, di non imporre nulla: se non troveranno disponibilità ad accoglierlo, si proceda oltre, si vada avanti. Gesù non impone mai, Gesù è umile, Gesù invita. Se tu vuoi, vieni. L’umiltà di Gesù è così: Lui invita sempre, non impone.
Tutto questo ci fa pensare. Ci dice, ad esempio, l’importanza che, anche per Gesù, ha avuto la coscienza: l’ascoltare nel suo cuore la voce del Padre e seguirla. Gesù, nella sua esistenza terrena, non era, per così dire, “telecomandato”: era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto uomo, e a un certo punto ha preso la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l’ultima volta; una decisione presa nella sua coscienza, ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui! Ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo della sua volontà. E per questo la decisione era ferma, perché presa insieme con il Padre. E nel Padre Gesù trovava la forza e la luce per il suo cammino. E Gesù era libero, in quella decisione era libero. Gesù vuole noi cristiani liberi come Lui, con quella libertà che viene da questo dialogo con il Padre, da questo dialogo con Dio. Gesù non vuole né cristiani egoisti, che seguono il proprio io, non parlano con Dio; né cristiani deboli, cristiani, che non hanno volontà, cristiani «telecomandati», incapaci di creatività, che cercano sempre di collegarsi con la volontà di un altro e non sono liberi. Gesù ci vuole liberi e questa libertà dove si fa? Si fa nel dialogo con Dio nella propria coscienza. Se un cristiano non sa parlare con Dio, non sa sentire Dio nella propria coscienza, non è libero, non è libero.
Per questo dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza. Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che mi conviene, che mi piace... Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio; è il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele.
Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso. Il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro Padre fa tanto  bene a tutti noi, come un esempio da seguire.
La Madonna, con grande semplicità, ascoltava e meditava nell’intimo di se stessa la Parola di Dio e ciò che accadeva a Gesù. Seguì il suo Figlio con intima convinzione, con ferma speranza. Ci aiuti Maria a diventare sempre più uomini e donne di coscienza, liberi nella coscienza, perché è nella coscienza che si dà dialogo con Dio; uomini e donne, capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione  capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione.

giovedì 27 giugno 2013

Papa: Il vero cristiano non è né superficiale né troppo rigido

Papa: Il vero cristiano non è

 né superficiale né troppo rigido

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Città del Vaticano, 27 giu. (TMNews) – Ci sono persone che “si mascherano da cristiani” e peccano o di eccessiva superficialità o di troppa rigidità, dimenticando che un vero cristiano è un uomo della gioia che poggia la fede sulla roccia di Cristo. E’ stato questo il pensiero di fondo di Papa Francesco alla messa di stamattina in Casa Santa Marta.
Rigidi e tristi. O allegri ma senza avere idea gioia cristiana. Sono due “case”, in certo modo opposte, in cui abitano due categorie di credenti e che in entrambi casi hanno un difetto grave: si fondano su un cristianesimo fatto di parole e non si basano sulla “roccia” della Parola di Cristo. Papa Francesco individua questo duplice gruppo commentando il Vangelo di Matteo del giorno, il celeberrimo brano delle case sulla sabbia e sulla roccia. “Nella storia della Chiesa ci sono state due classi di cristiani: i cristiani di parole – quelli ‘Signore, Signore, Signore’ – e i cristiani di azione, in verità”, ha detto Bergoglio a quanto riportato dalla ‘Radio vaticana’.
Sempre c’è stata la tentazione di vivere il nostro cristianesimo fuori della roccia che è Cristo. L’unico che ci dà la libertà per dire ‘Padre’ a Dio è Cristo o la roccia. E’ l’unico che ci sostiene nei momenti difficili, no? Come dice Gesù: cade la pioggia, straripano i fiumi, soffiano i venti, ma quando è la roccia è sicurezza, quando sono le parole, le parole volano, non servono. Ma è la tentazione di questi cristiani di parole, di un cristianesimo senza Gesù, un cristianesimo senza Cristo. E questo è accaduto e accade oggi nella Chiesa: essere cristiani senza Cristo. Papa Francesco analizza più da vicino questi “cristiani di parole”, rivelando le loro specifiche caratteristiche. C’è un primo tipo – definito “gnostico” – “che invece di amare la roccia, ama le parole belle” e dunque vive galleggiando sulla superficie della vita cristiana. E poi c’è l’altro, che Papa Francesco chiama “pelagiano”, il quale ha uno stile di vita serioso e inamidato. Cristiani, ironizza il Papa, che “guardano il pavimento”: “E questa tentazione oggi c’è. Cristiani superficiali che credono, sì Dio, Cristo, ma troppo ‘diffuso’: non è Gesù Cristo quello che ti dà fondamento. Sono gli gnostici moderni. La tentazione dello gnosticismo. Un cristianesimo ‘liquido’. D’altra parte, sono quelli che credono che la vita cristiana si debba prendere tanto sul serio che finiscono per confondere solidità, fermezza, con rigidità. Sono i rigidi! Questo pensano che per essere cristiano sia necessario mettersi in lutto, sempre”. Il fatto, prosegue Papa Francesco, è che di questi cristiani “ce ne sono tanti”. Ma, obietta, “non sono cristiani, si mascherano da cristiani”. “Non sanno – insiste – cosa sia il Signore, non sanno cosa sia la roccia, non hanno la libertà dei cristiani. E, per dirlo un po’ semplicemente, non hanno gioia”: “I primi hanno una certa ‘allegria’ superficiale. Gli altri vivono in una continua veglia funebre, ma non sanno cosa sia la gioia cristiana. Non sanno godere la vita che Gesù ci dà, perché non sanno parlare con Gesù. Non si sentono su Gesù, con quella fermezza che dà la presenza di Gesù. E non solo non hanno gioia: non hanno libertà. Questi sono schiavi della superficialità, di questa vita diffusa, e questi sono schiavi della rigidità, non sono liberi. Nella loro vita, lo Spirito Santo non trova posto. E’ lo Spirito che ci dà la libertà! Il Signore oggi ci invita a costruire la nostra vita cristiana su Lui, la roccia, quello che ci dà la libertà, quello che ci invia lo Spirito, quello che ti fa andare avanti con la gioia, nel suo cammino, nelle sue proposte”. Con il Pontefice ha concelebrato il cardinale arcivescovo di Aparecida, Raimundo Damasceno Assis assieme ad altri vescovi. Alla messa era presente personale della Direzione di Sanità e Igiene del Vaticano, accompagnato dal dott. Patrizio Polisca.

martedì 25 giugno 2013

La carità e la magnanimità sono i segni distintivi del cristiano

 La carità e la magnanimità sono i segni distintivi del cristiano
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La carità e la magnanimità sono i segni distintivi del cristiano». Lo ricorda papa Francesco incontrando i membri dell'Associazione Santi Pietro e Paolo, in udienza in Vaticano.   «Soprattutto la carità, l'attenzione concreta verso gli altri, verso i più poveri, i deboli e i bisognosi - sottolinea Jorge Mario Bergoglio - è un segno distintivo del cristiano. Dare una particolare testimonianza di vita cristiana, servendo la Chiesa e i fratelli senza chiedere nulla in cambio: questo è bello. Servire senza chiedere nulla in cambio».      

Esorta il Papa: «Fate le cose con gratuità. La vostra ricompensa è proprio questa: la gioia di servire il Signore. È bella la virtù cristiana della magnanimità', avere un cuore grande e allargare il cuore, con pazienza e non con quel cuore piccolino, con quelle piccolezze che ci fanno tanto male. In questo modo - conclude Francesco - la testimonianza del cristiano sarà più convincente ed efficace».   
È proprio nel momento in cui ci sentiamo peccatori che il Signore ci ama tanto e come mise il pescatore Pietro a capo della Sua Chiesa, così anche con noi farà qualcosa di buono». Lo ha detto Papa Francesco nell'omelia della messa celebrata questa mattina a Santa Marta con una cinquantina di nunzi apostolici che si trovavano ancora in Vaticano dopo l'incontro di venerdì scorso. «Noi, anche noi, che siamo apostoli e servi del Signore - ha scandito - dobbiamo rispondere al Signore che ci domanda: `Cosa pensi tu di me?´. E lo fa tante volte! Così noi non possiamo far finta si essere come quelli che non capiscono bene».
«Siamo peccatori ma non ipocriti. Gli ipocriti ignorano l'amore di Dio», ha poi riassunto Francesco in un tweet. Nella sua riflessione, il Papa è partito da una domanda del Vangelo di oggi: «Chi dite che io sia?». Una domanda che, ha osservato il Pontefice, «anche duemila anni dopo ci coinvolge, ci mette in crisi: è una prova del nove del nostro cammino di fede». Per Francesco, «a volte si ha vergogna a rispondere a questa domanda perché sappiamo che qualcosa in noi non va, siamo peccatori. Ma è proprio questo - ha assicurato - il momento in cui confidare nel suo amore e rispondere con quel senso di verità, così come Pietro fece sul Lago di Tiberiade. `Signore, tu sai tutto´». Proprio ricordando la risposta di Pietro, che confessa con semplicità la sua fede nel Signore, il Papa ha poi proposto un suo quesito, «quasi» contenuto in questo dialogo con il Maestro sulla riva del Lago, un'altra domanda, cioè, «speculare e altrettanto decisiva: `Chi noi pensiamo di essere per Gesù?´».
«È una domanda - ha precisato - diretta al cuore alla quale rispondere con l'umiltà del peccatore, al di là delle frasi fatte o di convenienza».   Secondo Francesco, infatti, «con Gesù non possiamo parlare come con un personaggio storico: Gesù è vivo davanti a noi». Dunque, ha ripetuto, «questa domanda la fa una persona viva. E noi dobbiamo rispondere, ma dal cuore» «Siamo chiamati ancora oggi da Gesù - ha rilevato il Papa a compiere quella scelta radicale fatta dagli Apostoli, una scelta totale, nella logica del `tutto o niente´, un cammino per compiere il quale dobbiamo essere illuminati da una `grazia speciale´, vivere sempre sulla solida base della venerazione e dell'amore per Gesù». «Venerazione e amore - ha tenuto a far notare - per il Suo Santo Nome. Certezza che Lui ci ha stabiliti su una roccia: la roccia del suo amore. E da questo amore noi diamo la risposta: `io sono stabilito sulla roccia dell'amore di Lui. Lui mi guida. Devo rispondere fermo su quella roccia e sotto la guida di Lui stesso´».
 «Gesù - ha ricordato ancora Bergoglio - è più grande. E quando noi diciamo, dalla venerazione e dall'amore, sentendoci sicuri, sicuri sulla roccia dell'amore e sulla guida di Lui: `Tu sei l'Unto´, questo ci farà tanto bene e ci farà andare avanti con sicurezza e prendere la Croce di ogni giorno, che alle volte è pesante». «Andiamo avanti così, con gioia, e chiedendo questa grazia: dona al Tuo popolo, Padre, di vivere sempre nella venerazione e nell'amore per il Tuo santo nome! E con la certezza che Tu non privi mai della Tua guida coloro che hai stabilito sulla roccia del Tuo amore!», ha infine esortato rivolto ai diplomatici vaticani, che sono tutti arcivescovi.

Il Signore ci aiuti ad accumulare tesori che ci salvano il cuore

Il Signore ci aiuti ad accumulare tesori che ci salvano il cuore

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del .
santamarta56Chiedere a Dio la grazia di un cuore che sappia amare e non si lasci sviare da tesori inutili. È la sostanza dell’omelia tenuta questa mattina da Papa Francesco a Casa S. Marta, durante la Messa concelebrata con il cardinale Francesco Coccopalmerio, il vescovo Juan Ignacio Arrieta e l’ausiliare José Aparecido Gonzalves de Almeida, rispettivamente presidente, segretario e sottosegretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, accompagnati da alcuni collaboratori del dicastero.
Presente alla celebrazione personale della Fabbrica Basilica S. Giovanni in Laterano, guidato da mons. Giacomo Ceretto, oltre a dipendenti della “Domus Sanctae Marthae”.

La caccia all’unico tesoro che si può portare con sé nella vita dopo la vita è la ragion d’essere di un cristiano. È la ragion d’essere che Gesù spiega ai discepoli, nel brano riportato oggi nel Vangelo di Matteo: “Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”. Il problema, spiega Papa Francesco, sta nel non confondere le ricchezze. Ci sono “tesori rischiosi” che seducono “ma che dobbiamo lasciare”, quelli accumulati durante la vita e che la morte vanifica. Constata con lieve ironia il Papa: Io non ho mai visto un camion da trasloco dietro un corteo funebre, mai”. Ma c’è anche un tesoro che “possiamo portare con noi”, un tesoro che nessuno può rapinare, che non è – afferma – “quello che hai risparmiato per te”, ma “quello che hai dato agli altri”:

Quel tesoro che noi abbiamo dato agli altri, quello lo portiamo. E quello sarà il nostro merito – fra virgolette, ma è il nostro ‘merito’ di Gesù Cristo in noi! E quello dobbiamo portarlo. E’ quello che il Signore ci lascia portare. L’amore, la carità, il servizio, la pazienza, la bontà, la tenerezza sono tesori bellissimi: quelli portiamo. Gli altri no”.

Dunque, come asserisce il Vangelo, il tesoro che vale agli occhi di Dio è quello che già dalla terra si è accumulato in cielo. Ma Gesù, rileva Papa Francesco, fa un passo oltre: lega il tesoro al “cuore”, crea un “rapporto” fra i due termini. Questo, soggiunge, perché il nostro “è un cuore inquieto”, che il Signore “ha fatto così per cercare Lui”:
“Il Signore ci ha fatto inquieti per cercarlo, per trovarlo, per crescere. Ma se il nostro tesoro è un tesoro che non è vicino al Signore, che non è dal Signore, il nostro cuore diventa inquieto per cose che non vanno, per questi tesori… Tanta gente, anche noi siamo inquieti… Per avere questo, per arrivare a questo alla fine il nostro cuore si stanca, mai è pieno: si stanca, diventa pigro, diventa un cuore senza amore. La stanchezza del cuore. Pensiamo a quello. Io cosa ho: un cuore stanco, che soltanto vuol sistemarsi, tre-quattro cose, un bel conto in banca, questo, quell’altro? O un cuore inquieto, che sempre cerca di più le cose che non può avere, le cose del Signore? Questa inquietudine del cuore bisogna curarla sempre”.

A questo punto, prosegue Papa Francesco, Cristo chiama in causa anche l’“occhio”, che è simbolo “dell’intenzione del cuore” e che si riflette sul corpo: un “cuore che ama” rende il corpo “luminoso”, un “cuore cattivo” lo rende buio. Dal contrasto luce-tenebre, nota il Papa, dipende “il nostro giudizio sulle cose”, come peraltro dimostra il fatto che da un “cuore di pietra”, “attaccato a un tesoro della terra” – a “un tesoro egoista” che può diventare anche un tesoro “dell’odio” – “vengono le guerre…”. Invece, è la preghiera finale del Papa, per intercessione di S. Luigi Gonzaga che oggi la Chiesa ricorda, chiediamo “la grazia di un cuore nuovo”, un “cuore di carne”:
“Tutti questi pezzi di cuore che sono di pietra, il Signore li faccia umani, con quella inquietudine, con quell’ansia buona di andare avanti, cercando Lui e lasciandosi cercare da Lui. Che il Signore ci cambi il cuore! E così ci salverà. Ci salverà dai tesori che non possono aiutarci nell’incontro con Lui, nel servizio agli altri, e anche ci darà la luce per conoscere e giudicare secondo il vero tesoro: la sua verità. Il Signore ci cambi il cuore per cercare il vero tesoro e così diventare persone luminose e non persone delle tenebre”.

(Fonte: Alessandro De Carolis per Radio vaticana del 21 giugno 2013)

i capi scuola della pedofilia

titolo i capiscuola della pedofilia
 
di Bruto Bruti 1
 
vittima della pedofilia
 
Oggi si fà un gran parlare di pedofilia, soprattutto a causa dello scandalo dei preti pedofili (veri o presunti tali). I media hanno talmente amplificato questo fenomeno che molte persone pensano che tutti i sacerdoti cattolici, anzi la Chiesa stessa sia la fonte di questo terribile flagello. Crediamo dunque utile riportare questo articolo breve, ma molto istruttivo che dimostra come i sostenitori di questo vizio immondo siano tutti provenienti dall'area laica.
 
 
  • Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), che può essere considerato il profeta dell'educazione relativista e illuminista, ha cinque figli dalla sua compagna e, poiché questi sono figli reali e non astratti come L'Emilio, egli se ne libera rapidamente depositandoli, dopo ogni nascita, nell'ospizio dei trovatelli. Quest'uomo che crede nella assoluta bontà delle sensazioni e ignora la tendenza umana al piacere disordinato ed egoistico, a Venezia si compra per pochi franchi una bambina di dieci anni per allietare sessualmente le sue serate 2.
  • Dacia Maraini, sulla scia di filosofi illuministi che praticavano sesso anche con i figli, ha sostenuto che l'incesto è una pratica naturale 3.
  • Gerd Koenen (teorico del '68) scrive: «Negli asili infantili più radicali le attività sessuali divennero parte integrante dei giochi» 4.
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Jean-Jacques Rousseau Dacia Maraini Gerd Koenen
  • Daniel Cohn-Bendit, capogruppo dei Verdi al Parlamento Europeo, raccontò addirittura di avere sperimentato e favorito la pedofilia e il sesso coi minori a scuola, come insegnante. Poi, diventato europarlamentare, ha detto che si trattava di un'opera di fantasia. Ma anche fosse stata un'opera di fantasia, qual'era l'obiettivo? Certamente quest'opera non favorisce la condanna della pedofilia 6.
  • Oggi, Aldo Busi, forse il più venduto autore omosessualista italiano, spesso ospite di programmi televisivi e radiofonici, candidato nelle liste radicali, scrive: «È probabile che nella mia omosessualità ci sia una forma di attrazione non verso i maschi, ma verso l'odio che mi suscitano tutti gli uomini, odio che il fare sesso con loro non fà che aumentare». Dopo di che spiega che l'età per rapporti omosessuali che lui ritiene lecita è a partire dai tredici anni, in quanto a questa età un ragazzo, secondo lui, sarebbe adulto, e libero di decidere di avere rapporti con un altro uomo 7.
  • Nichi Vendola, oggi governatore della Puglia, in una intervista del 1985 a Repubblica affermava: «Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia ad esempio, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro, o con gli adulti, e trattarne con chi la sessualità l'ha vista sempre in funzione della famiglia» 8.
daniel cohn-bendit aldo busi nichi vendola
Daniel Cohn-Bendit Aldo Busi Nichi Vendola
  • Il 27 ottobre 1998, i radicali organizzarono un convegno, nelle aule del Senato, la cui presentazione così recitava: «Essere pedofili [...] non può essere considerato un reato; la pedofilia [...] diventa reato nel momento in cui danneggia altre persone» 9. Come dire che la pedofilia è lecita purché il bambino sia consenziente e la legge lo permetta...
  • L'internazionale dei gay e delle lesbiche (ILGA) ha collaborato politicamente e culturalmente con i pedofili americani (NAMBLA: North American Man-Boy Lovers Association) per dieci anni, prima di separarsi da questo movimento 10.
  • Il filosofo omosessualista Mario Mieli (1952-1983) sosteneva la funzione redentiva della pedofilia (la sua opera è considerata la Bibbia dei gay e a lui sono intitolati molti circoli gay). Nell'opera di Mieli vengono considerate esperienze redentive, da promuovere, la pedofilia, la necrofilia e la coprofagia 11.
  • Le associazioni omosessualiste (COC) fondate da Jef Last (1898-1972; pedofilo, omosessuale e amico di André Gide) nei Paesi Bassi hanno voluto e ottenuto la depenalizzazione dei contatti sessuali con giovanetti al di sopra dei dodici anni. Nel 1990, infatti, erano stati depenalizzati, nei Paesi Bassi, i contatti sessuali (etero e omo) con individui sopra i dodici anni: la condizione era il consenso del giovane o della giovane e il nulla osta dei genitori 12.
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ILGA Mario Mieli Jef Last

sabato 22 giugno 2013

La spiritualità secondo Benigni.

La spiritualità secondo Benigni. Il comico che non ti aspetti...
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Dopo gli ultimi successi televisivi e teatrali, rileggiamo i discorsi e le meditazioni che in questi anni l'attore e comico italiano ha donato sull’amore di Dio e sulla Madonna.

'Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio'. Versi immortali tratti dalla Divina Commedia che descrivono colei che mai è morta, la Madre della Vita. Siamo a Maggio, mese dedicato alla Madonna ed a Lei ci vogliamo accostare attraverso Roberto Benigni, uno dei suoi più grandi cantori contemporanei. Si vede lontano un miglio che Benigni è innamorato. Sua moglie è la splendida e bravissima Nicoletta Braschi, ma anzitutto Lui è innamorato follemente della Vita e di colei che l’ha fatta nascere nel mondo: la Madonna. Ed è bellissimo gustare i discorsi e le meditazioni che il nostro toscanaccio ci ha ultimamente donato sull’Amore di Dio e sulla Vergine Santa. Naturalmente in questo modo perderemo l’umorismo dell’esposizione, ma potremo cogliere meglio la grandiosità e la profondità delle sue affermazioni. So bene che mi prendo una grande responsabilità nel mettere insieme brani diversi e meditazioni così profonde, ma credo valga la pena correre qualche rischio per valorizzare e condividere delle perle tanto preziose che rischiano di perdersi nel calderone televisivo. Ed allora cominciamo … dall’inizio.

'Io sono nato in un paesino che si chiama Misericordia ed il mio babbo era poverissimo ma aveva una grande particolarità: era l’ultimo degli uomini. Quando siamo bambini noi siamo come Dio e per Dio gli ultimi sono i primi e il mio babbo era il primo, non s’è mai inchinato a nessuno perché non aveva nulla e nessuno a cui inchinarsi. Mio padre aveva un amore grandissimo per la mia mamma. Un giorno andò in guerra senza neanche sapere di cosa si trattasse; lo presero prigioniero e ne moriva uno al giorno. Quando è tornato dal campo di prigionia era uno scheletro ed appena arrivato è svenuto andando in coma totale. La mia mamma non aveva i soldi per le medicine e portò tutto quello che aveva, cioè quattro anatroccoli bianchi, alla Madonna di Castiglione: entrò in chiesa e le disse «Fai te». Dopo quattro giorni il mio babbo uscì dal coma. Siamo meravigliosi ed unici! Abbiamo una vita meravigliosa, ed ognuno di noi non deve dimenticarsi né perdere la propria unicità'.

Ecco dunque che viene fuori il valore dell’espressione di se stessi attraverso la propria creatività.

'L’arte è il grande lusso di trasmettere la vita. Ci sono pochi nella storia dell’arte e della letteratura che hanno il coraggio e la potenza di andare fino in fondo, ed a queste persone bisogna essere grati. L’unica cosa che abbiamo è il fatto di vivere, e dobbiamo essere consapevoli della bellezza della vita, del miracolo che abbiamo ricevuto. È proprio il fatto di essere vivi che è inspiegabile, e dobbiamo impegnarci per far trionfare sempre la vita'.

Risalta quindi l’importanza di essere consapevoli che da molti secoli siamo travolti da una cultura fondata solo sulla mente, con il risultato che oggi abbiamo molte difficoltà a vivere il rapporto con noi stessi e con Dio.

'Il cervello non è lo strumento adatto per dimostrare l'esistenza di Dio: è come voler sentire il sapore del sale col naso. Non c'è riuscito Lui stesso mandando Suo figlio in terra, figurati noi! Di Dio se ne può parlare solo tornando bambini e l’unico linguaggio possibile sarebbe quello di un neonato. Non si può parlare di Dio, ma a Dio sì, gli si può parlare. Chi ci crede e chi non ci crede non fa tanta differenza, tanto anche chi non ci crede deve credere a talmente tanti miracoli che non sono meno degli altri. Vi ho dato tanti insegnamenti, dice Dio, ma ce n’è uno che li racchiude tutti ed è quello che scrisse sant’Agostino: ama e fai ciò che vuoi. Ma si deve amare con grandezza e continuamente: l’amore che s’accende e si spenge, si fulmina. L’amore è l’unica limitazione della libertà che ci rende più liberi'.

Amore, una parola usata ed abusata. Ma che sarà mai quest’amore?

'L’Amore è nato quando è arrivato Gesù Cristo, che è l’inventore dell’amore. Gesù, ne ha fatte veramente di cose straordinarie, da volergli bene, da inchinarsi sul serio. Cristo, prima di tutto è diventato uomo perché l’uomo diventasse Dio, così in Lui siamo diventati la seconda persona della Trinità. Era uno che non poteva peccare e ha trasportato tutti i peccati del mondo, non poteva morire e si è fatto ammazzare. E poi ha inventato la carità, l’amore disinteressato che prima di Gesù Cristo semplicemente non c’era. Nessuno può superare l’Amore di Gesù, che ci ha fatto proprio maturare, andare avanti milioni di anni. Come ad esempio quando nei Vangeli arriva la famiglia e lui dice: la mia vera famiglia è quella dei miei discepoli: perché ad un certo punto bisogna crescere, lasciare la famiglia. Ci ha insegnato che l’amore è tutto, è la risposta ad ogni domanda'.

Pensiamo un po’ quante domande ci facciamo ogni giorno incapaci di darci una risposta. Invece la soluzione è lì, a portata di mano, dentro di noi, nella nostra anima, nella nostra natura, creata ad immagine e somiglianza di Dio, che è Amore. Ma tutte le ferite subite per mancanza d’amore ed i compromessi con i quali abbiamo, anche inconsciamente, rinunciato alla nostra identità, ci fanno stare nella confusione e così la nostra sessualità s’allontana dall’Amore, i nervi ne risentono, il corpo si ammala e la mente diventa nostra nemica. Abbiamo bisogno di pulizia e di luce. Ma dove trovarle se non in colei che è piena di Grazia, in Maria?

'Forse Dio non esiste, ma la Vergine Maria è la Sua mamma di sicuro! Quello che ha fatto Madonna, noi non lo possiamo immaginare. La donna è l’apice della creazione, è l’ultima cosa che Dio ha fatto, la più alta; quando le donne chiedono la parità sembra che si vogliano limitare. Durante tutta l’antichità le donne sono state trattate in una maniera tremenda, ma improvvisamente, nel 1100, quando ancora c’era un Dio del Vecchio Testamento ed anche a Gesù del tu non si poteva dare, apparve il culto della Madonna. Lo sapete che è successo? Le donne sono diventate le prime, tante poesie, è nata la cavalleria e l’epoca moderna'.

Il nostro Benigni condivide con il suo conterraneo Dante Alighieri la venerazione per Maria: di questa comunione spirituale ci ha reso spesso partecipi donandoci delle entusiasmanti interpretazioni di diversi canti della Divina Commedia, soprattutto di quelli che si riferiscono al Paradiso.

'La Divina Commedia è la cosa più scandalosamente bella che sia stata scritta da un uomo. Dante scrive che è arrivato fino al Paradiso dove ci sono le scie di angeli ed i beati che irradiano tanta luce; è fatto come una rosa dove ci sono tutti bambini e su, nella cima, c’è lei, Maria, la donna più straordinaria. La bellezza di avere una donna così, da pensarci, da volerle bene, anche soltanto da salutarla: Ave Maria! A Dio piace quella donna, è innamorato di Maria, ed in più è la madre di Cristo, che nello stesso tempo è anche suo Padre. Essendo però il Figlio, le somiglia un po’, come tutti i bambini somigliano alle loro madri: dunque Maria somiglia un po’ a suo figlio e nel volto di Maria c’è un po’ dell’immagine del Cristo, di Dio. E’ una cosa spettacolare, di vertiginosa bellezza. La Madonna è il punto d’arrivo, il momento nella storia dell’umanità a cui tutti sempre dobbiamo guardare per ricordarci chi siamo e dove andiamo. Dio ha creato Maria talmente bella, l’amava talmente tanto che … decise di farsi fare da Lei. Incredibile, pensate che ci deve essere negli occhi di Maria. Mi piace pensare che Gesù è nato dentro di lei, si sente che c’è proprio un corpo, una donna come noi: pensa essere nel ventre di una donna al caldo eterno'.

Ogni essere umano ha dentro di sé il desiderio insopprimibile di rivivere la qualità e l’intensità sperimentate nel grembo della propria madre nei primi trenta giorni dal concepimento, quando ha vissuto totalmente libero, pieno della sua potenzialità ed unito completamente a Dio. Come non sobbalzare rendendoci conto che, attraverso la relazione profonda con Maria, quest’esperienza la possiamo rinnovare ogni momento, in eterno, rivivendo la pienezza della nostra natura in collegamento con l’Amore del Padre!

'Per noi Maria è fontana vivace, uno zampillio di speranza. E’ una cosa che mi rinfresca, ed io voglio stare sempre sotto questa fontana! Se uno vuole qualcosa deve rivolgersi a Maria, alla Vergine Madre, sennò la speranza non vola. Almeno una volta al giorno bisognerebbe dire: grazie Maria; non si sa perché, però qualcosa ce l’ha data, anche se non l’abbiamo chiesta. Solo gli occhi di Maria possono guardare Dio, me lo sogno la notte, di quando Maria guarda Dio: roba da andare al manicomio. Lui è la Verità, non c’è niente oltre Dio, ed è scritto che un giorno tutti noi vedremo la Verità. Di più: sono certo che ognuno di noi sarà la Verità, sarà Dio'.

Di fronte a tanto splendore quasi viene meno il respiro. Ma non possiamo fermarci alle emozioni; quello che conta è tornare liberi, ritornare alla Vita, liberarci da tutti i condizionamenti e… amare.

'Dell’amore ci s’innamora e questo ci trasforma: dobbiamo entrare in relazione con l’amore fatto Persona e cambiare. Dentro Dio ognuno vede se stesso: ecco, l’uomo creato ad immagine e somiglianza del Creatore. Dio è vivo, è più vivo di tutti noi, come noi, e respira. E cos’è questo respiro? E’ l’amore del Padre per il Figlio, della madre per il Figlio, è l’Amore. Il Santo Spirito è la respirazione di Dio ed è l’Amore. Non esiste amore sprecato perché se lo diamo lo riceveremo di nuovo. Tutti noi desideriamo amare ed essere amati, e lo Spirito Santo è il desiderio di amore fra un essere ed un altro. Che è irresistibile e fa sì che tutto stia insieme, è il respiro dell’amore'.

Grazie Padre che mi hai creato, grazie Madre che mi hai donato la Vita. E grazie anche a te Roberto che mi sproni a vivere per quello che veramente sono: un figlio di Dio.


N.b.: I brani sono liberamente tratti da interventi pubblici e partecipazioni televisive che Benigni ha realizzato dal 2002 al 2006 
da:
 

La tenerezza

La tenerezza !!!
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La permanenza della tenerezza e quindi della letizia che ne nasce – la tenerezza è il crepuscolo del possesso, il crepuscolo del mattino o il crepuscolo della sera –, la permanenza della tenerezza esige che sia una tenerezza vera; deve essere proprio una tenerezza vera per resistere, per permanere. Per essere una tenerezza vera deve amare in modo vero l’oggetto e l’oggetto deve essere percepito per quello che veramente è. Come faresti tu ad avere tenerezza verso un essere che ti dà la vita come tua madre e poi ti abbandonasse, perché a un certo punto muore? È una tenerezza oggi che, se ci pensi, annega già da oggi in un bidone di tristezza. Tu vuoi bene particolarmente a una persona, ma come fai a voler bene particolarmente a una persona, a sentirne tenerezza, pensando che domani non la vedi più, che domani muore o che domani va nel Kamciatka, che è in fondo, a est della Russia? Come faresti? Solo se tu percepisci l’eternità della compagnia con questa persona, solo se tu percepisci che il rapporto con questa persona, ciò che essa suscita in te, è segno del tuo rapporto con l’eterno, allora il rapporto con questa persona è un rapporto eterno, l’amore per questa persona è un amore eterno.

L.Giussani - Si può vivere così?


Abbiamo fame di tenerezza,

in un mondo dove tutto abbonda

siamo poveri di questo sentimento

che è come una carezza

per il nostro cuore

abbiamo bisogno di questi piccoli gesti

che ci fanno stare bene,

la tenerezza

è un amore disinteressato e generoso,

che non chiede nient’altro

che essere compreso e apprezzato.

(Alda Merini)

giovedì 20 giugno 2013

Asia Bibi: «L’unico dono dell’isolamento: ho imparato a leggere. E ho la Bibbia»

Asia Bibi: «L’unico dono dell’isolamento: ho imparato a leggere. E ho la Bibbia»
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«Sono in prigione dal 16 giugno del 2009. Gesù mi ha sempre concesso una buona salute. Ma dal punto di vista psicologico a volte sto male: succede quando mi sento sola. Mi manca la mia famiglia. Allora mi indebolisco». Asia Bibi non parla quasi con nessuno. Nel carcere di Sheikhupura – dove è rimasta per tutto questo tempo, prima del trasferimento a Multan – ha sempre avuto contatti limitatissimi, anche se una delle guardie femminili le ha fatto un “dono”: le ha insegnato a leggere. Da un po’ di tempo riesce a sfogliare e comprendere da sola la Bibbia.

Fra le poche persone che l’hanno visitata costantemente a Sheikhupura – oltre ai familiari – ci sono anche i rappresentanti di una piccola Ong di ispirazione cristiana, la “Renaissance Education Foundation”, dedicata al campo dell’istruzione: sono loro ad averci riferito le parole di Asia Bibi raccolte durante uno degli incontri, poco tempo fa. La voce di questa donna – madre di cinque figli — è la tenace testimonianza di fede di una minoranza coraggiosa, minacciata dall’intolleranza e dalla rabbia di chi ha abbracciato il fanatismo.
In cella di isolamento da anni, la donna ripensava i suoi cari, lamentando una dolorosa lontananza: «Possono venire a farmi visita una volta al mese. Io qui ho una loro fotografia».

Le condizioni della vita in carcere sono dure. Molto dure. L’isolamento venne imposto per motivi di sicurezza, così come la telecamera che la osservava giorno e notte e la particolare attenzione relativa al cibo: «Mi cucino da sola». Alla detenuta, infatti, le autorità penitenziarie hanno sempre fornito gli ingredienti crudi, per evitare qualsiasi rischio di avvelenamento. «Non ho paura della morte», dice. Ma il timore riguarda l’incolumità dei suoi cari, della sua famiglia.

La solitudine pesa gravemente sul suo stato d’animo, nonostante la forza che ha dimostrato in questi ultimi anni: una forza inversamente proporzionale alla sua piccola e apparentemente fragile figura femminile. Le giornate a Sheikhupura sono sempre state tutte uguali: «Mi sveglio presto la mattina, dico le mie preghiere, leggo la Bibbia e poi mi preparo la colazione».

«La maggior parte del tempo – ha aggiunto – lo trascorro pregando. Mi rende più forte». Un’attesa infinita. Dell’iter giudiziario del suo caso non sa praticamente nulla: «La prima udienza del primo processo è stata il 16 giugno 2009 e io sono stata condannata a morte. Ora, grazie alle pressioni internazionali sul caso, sono viva. Altrimenti potrei già essere stata impiccata». Ma dell’appello non ha notizie. Del resto – ha sempre ripetuto – la difesa legale è costosa e i mezzi sono scarsi.

La colonna su cui Asia Bibi si appoggia è la sua fede. «Sono una donna innocente», ha ribadito ai membri della Ong: lo ha sottolineato più volte, vuole ricordarcelo. «Ho sacrificato la mia vita per la mia religione, per seguire Gesù Cristo. Mi hanno detto che sono diventata una sorta di simbolo di fede per le giovani generazioni», ha detto alla “Renaissance Education Foundation”.

«Credo in Dio e nel suo grande amore e sono orgogliosa di sacrificarmi». Asia Bibi dice di essere disposta a «passare la sua vita in prigione, come cristiana» piuttosto che «convertirsi a un’altra religione in cambio della libertà«. È la stessa ferrea risposta che offrì al giudice che tempo fa le propose la scarcerazione, se avesse abbracciato l’islam. Lo raccontò lei stessa in una lettera che pubblicò <+corsivo>Avvenire<+tondo> lo scorso dicembre: «Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui», disse allora.

La forza di Asia Bibi non si limita alla resistenza. Va oltre. Nei confronti di coloro che l’hanno gettata nel pozzo carcerario, in questa angosciante storia di ingiustizia, non ha parole di astio. «Gesù Cristo nostro Signore ci ha dato molti esempi di perdono», ha detto, dunque «secondo l’insegnamento cristiano io li ho perdonati».

Michela Coricelli

l’insulto

 l’insulto
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Ricordando San Giovanni che a proposito di chi esprime risentimento e odio verso il fratello in realtà, nel suo cuore, già lo uccide, il Papa ha sottolineato la necessità di entrare nella logica del perfezionamento, quella cioè «di rivedere la nostra condotta». Evidentemente, ha detto rivolgendosi ai fedeli in lingua spagnola, si richiama il tema «dello screditare il fratello a partire dalle nostre passioni interiori. È in pratica il tema dell’insulto». D’altra parte, il Pontefice ha fatto notare ironicamente, quanto sia diffuso «nella tradizione latina» il ricorso all’insulto, con «una creatività meravigliosa, perché ne inventiamo uno dopo l’altro».
Finché «l’epiteto è amichevole, passi pure» ha ammesso il Papa. Ma «il problema è quando c’è un altro epiteto» più offensivo. «Allora, ha detto, andiamo a qualificarlo con una serie di definizioni che non sono esattamente evangeliche». In pratica, ha spiegato, l’insulto è un modo per sminuire l’altro. Infatti «non c’è bisogno di andare dallo psicologo per sapere che quando uno sminuisce l’altro è perché non può crescere, ha bisogno che l’altro vada più in basso per sentirsi qualcuno. Sono meccanismi brutti». Al contrario, ha ricordato il Papa, Gesù con tutta semplicità dice: «Non parlate male degli altri, non sminuitevi, non squalificatevi. In fondo tutti stiamo procedendo per lo stesso cammino». 

PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Anche la lingua può uccidere
Giovedì, 13 giugno 2013

mercoledì 19 giugno 2013

E’ più facile restare a casa, con quell’unica pecorella! E’ più facile con quella pecorella, pettinarla, accarezzarla

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO ECCLESIALE DELLA DIOCESI DI ROMA

Aula Paolo VI
Lunedì
, 17 giugno 2013

 
"Io non mi vergogno del Vangelo"


Buonasera a tutti, cari fratelli e sorelle!
L’Apostolo Paolo finiva questo brano della sua lettera ai nostri antenati con queste parole: non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia. E questa è la nostra vita: camminare sotto la grazia, perché il Signore ci ha voluto bene, ci ha salvati, ci ha perdonati. Tutto ha fatto il Signore, e questa è la grazia, la grazia di Dio. Noi siamo in cammino sotto la grazia di Dio, che è venuta da noi, in Gesù Cristo che ci ha salvati. Ma questo ci apre verso un orizzonte grande, e questo è per noi gioia. “Voi non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia”. Ma cosa significa, questo “vivere sotto la grazia”? Cercheremo di spiegare qualcosa di che cosa significa vivere sotto la grazia. E’ la nostra gioia, è la nostra libertà. Noi siamo liberi. Perché? Perché viviamo sotto la grazia. Noi non siamo più schiavi della Legge: siamo liberi perché Gesù Cristo ci ha liberati, ci ha dato la libertà, quella piena libertà di figli di Dio, che viviamo sotto la grazia. Questo è un tesoro. Cercherò di spiegare un po’ questo mistero tanto bello, tanto grande: vivere sotto la grazia.
Quest’anno avete lavorato tanto sul Battesimo e anche sul rinnovamento della pastorale post-battesimale. Il Battesimo, questo passare da “sotto la Legge” a “sotto la grazia”, è una rivoluzione. Sono tanti i rivoluzionari nella storia, sono stati tanti. Ma nessuno ha avuto la forza di questa rivoluzione che ci ha portato Gesù: una rivoluzione per trasformare la storia, una rivoluzione che cambia in profondità il cuore dell’uomo. Le rivoluzioni della storia hanno cambiato i sistemi politici, economici, ma nessuna di esse ha veramente modificato il cuore dell’uomo. La vera rivoluzione, quella che trasforma radicalmente la vita, l’ha compiuta Gesù Cristo attraverso la sua Risurrezione: la Croce e la Risurrezione. E Benedetto XVI diceva, di questa rivoluzione, che “è la più grande mutazione della storia dell’umanità. Ma pensiamo a questo: è la più grande mutazione della storia dell’umanità, è una vera rivoluzione e noi siamo rivoluzionarie e rivoluzionari di questa rivoluzione, perché noi andiamo per questa strada della più grande mutazione della storia dell’umanità. Un cristiano, se non è rivoluzionario, in questo tempo, non è cristiano! Deve essere rivoluzionario per la grazia! Proprio la grazia che il Padre ci dà attraverso Gesù Cristo crocifisso, morto e risorto fa di noi rivoluzionari, perché – e cito nuovamente Benedetto – “è la più grande mutazione della storia dell’umanità”. Perché cambia il cuore. Il profeta Ezechiele lo diceva: “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”. E questa è l’esperienza che vive l’Apostolo Paolo: dopo avere incontrato Gesù sulla via di Damasco, cambia radicalmente la sua prospettiva di vita e riceve il Battesimo. Dio trasforma il suo cuore! Ma pensate: un persecutore, uno che inseguiva la Chiesa e i cristiani, diventa un santo, un cristiano fino alle ossa, proprio un cristiano vero! Prima è un violento persecutore, ora diventa un apostolo, un testimone coraggioso di Gesù Cristo, al punto di non aver paura di subire il martirio. Quel Saulo che voleva uccidere chi annunziava il Vangelo, alla fine dona la sua vita per annunciare il Vangelo. E’ questo il mutamento, il più grande mutamento del quale ci parlava Papa Benedetto. Ti cambia il cuore, da peccatore – da peccatore: tutti siamo peccatori – ti trasforma in santo. Qualcuno di noi non è peccatore? Se ci fosse qualcuno, alzi la mano! Tutti siamo peccatori, tutti! Tutti siamo peccatori! Ma la grazia di Gesù Cristo ci salva dal peccato: ci salva! Tutti, se noi accogliamo la grazia di Gesù Cristo, Lui cambia il nostro cuore e da peccatori ci fa santi. Per diventare santi non è necessario girare gli occhi e guardare là, o avere un po’ una faccia da immaginetta! No, no, non è necessario questo! Una sola cosa è necessaria per diventare santi: accogliere la grazia che il Padre ci da in Gesù Cristo. Ecco, questa grazia cambia il nostro cuore. Noi continuiamo ad essere peccatori, perché tutti siamo deboli, ma anche con questa grazia che ci fa sentire che il Signore è buono, che il Signore è misericordioso, che il Signore ci aspetta, che il Signore ci perdona, questa grazia grande, che cambia il nostro cuore.
E, diceva il profeta Ezechiele, che da un cuore di pietra lo cambia in un cuore di carne. Cosa vuol dire, questo? Un cuore che ama, un cuore che soffre, un cuore che gioisce con gli altri, un cuore colmo di tenerezza per chi, portando impresse le ferite della vita, si sente alla periferia della società. L’amore è la più grande forza di trasformazione della realtà, perché abbatte i muri dell’egoismo e colma i fossati che ci tengono lontani gli uni dagli altri. E questo è l’amore che viene da un cuore mutato, da un cuore di pietra che è trasformato in un cuore di carne, un cuore umano. E questo lo fa la grazia, la grazia di Gesù Cristo che noi tutti abbiamo ricevuto. Qualcuno di voi sa quanto costa la grazia? Dove si vende la grazia? Dove posso comprare la grazia? Nessuno sa dirlo: no. Vado a comprarla dalla segretaria parrocchiale, forse lei la vende, la grazia? Qualche prete la vende, la grazia? Ascoltate bene questo: la grazia non si compra e non si vende; è un regalo di Dio in Gesù Cristo. Gesù Cristo ci dà la grazia. E’ l’unico che ci dà la grazia. E’ un regalo: ce lo offre, a noi. Prendiamola. E’ bello questo. L’amore di Gesù è così: ci dà la grazia gratuitamente, gratuitamente. E noi dobbiamo darla ai fratelli, alle sorelle, gratuitamente. E’ un po’ triste quando uno incontra alcuni che vendono la grazia: nella storia della Chiesa alcune volte è accaduto questo, e ha fatto tanto male, tanto male. Ma la grazia non si può vendere: la ricevi gratuitamente e la dai gratuitamente. E questa è la grazia di Gesù Cristo.
In mezzo a tanti dolori, a tanti problemi che ci sono qui, a Roma, c’è gente che vive senza speranza. Ciascuno di noi può pensare, in silenzio, alle persone che vivono senza speranza, e sono immerse in una profonda tristezza da cui cercano di uscire credendo di trovare la felicità nell’alcol, nella droga, nel gioco d’azzardo, nel potere del denaro, nella sessualità senza regole … Ma si ritrovano ancora più delusi e talvolta sfogano la loro rabbia verso la vita con comportamenti violenti e indegni dell’uomo. Quante persone tristi, quante persone tristi, senza speranza! Pensate anche a tanti giovani che, dopo aver sperimentato tante cose, non trovano senso alla vita e cercano il suicidio, come soluzione. Voi sapete quanti suicidi di giovani ci sono oggi nel mondo? La cifra è alta! Perché? Non hanno speranza. Hanno provato tante cose e la società, che è crudele – è crudele! – non ti può dare speranza. La speranza è come la grazia: non si può comprare, è un dono di Dio. E noi dobbiamo offrire la speranza cristiana con la nostra testimonianza, con la nostra libertà, con la nostra gioia. Il regalo che ci fa Dio della grazia, porta la speranza. Noi, che abbiamo la gioia di accorgerci che non siamo orfani, che abbiamo un Padre, possiamo essere indifferenti verso questa città che ci chiede, forse anche inconsapevolmente, senza saperlo, una speranza che l’aiuti a guardare il futuro con maggiore fiducia e serenità? Noi non possiamo essere indifferenti. Ma come possiamo fare questo? Come possiamo andare avanti e offrire la speranza? Andare per la strada dicendo: “Io ho la speranza”? No! Con la vostra testimonianza, con il vostro sorriso, dire: “Io credo che ho un Padre”. L’annunzio del Vangelo è questo: con la mia parola, con la mia testimonianza dire: “Io ho un Padre. Non siamo orfani. Abbiamo un Padre”, e condividere questa filiazione con il Padre e con tutti gli altri. “Padre, adesso capisco: si tratta di convincere gli altri, di fare proseliti!”. No: niente di questo. Il Vangelo è come il seme: tu lo semini, lo semini con la tua parola e con la tua testimonianza. E poi, non fai la statistica di come è andato questo: la fa Dio. Lui fa crescere questo seme; ma dobbiamo seminare con quella certezza che l’acqua la dà Lui, la crescita la dà Lui. E noi non facciamo la raccolta: la farà un altro prete, un altro laico, un’altra laica, un altro la farà. Ma la gioia di seminare con la testimonianza, perché con la parola solo non basta, non basta. La parola senza la testimonianza è aria. Le parole non bastano. La vera testimonianza che dice Paolo.
L’annunzio del Vangelo è destinato innanzitutto ai poveri, a quanti mancano spesso del necessario per condurre una vita dignitosa. A loro è annunciato per primi il lieto messaggio che Dio li ama con predilezione e viene a visitarli attraverso le opere di carità che i discepoli di Cristo compiono in suo nome. Prima di tutto, andare ai poveri: questo è il primo. Nel momento del Giudizio finale, possiamo leggere in Matteo 25, tutti saremo giudicati su questo. Ma alcuni, poi, pensano che il messaggio di Gesù sia destinato a coloro che non hanno una preparazione culturale. No! No! L’Apostolo afferma con forza che il Vangelo è per tutti, anche per i dotti. La sapienza, che deriva dalla Risurrezione, non si oppone a quella umana ma, al contrario, la purifica e la eleva. La Chiesa è sempre stata presente nei luoghi dove si elabora la cultura. Ma il primo passo è sempre la priorità ai poveri. Ma anche dobbiamo andare alle frontiere dell’intelletto, della cultura, nell’altezza del dialogo, del dialogo che fa la pace, del dialogo intellettuale, del dialogo ragionevole. E’ per tutti, il Vangelo! Questo di andare verso i poveri non significa che noi dobbiamo diventare pauperisti, o una sorta di “barboni spirituali”! No, no, non significa questo! Significa che dobbiamo andare verso la carne di Gesù che soffre, ma anche soffre la carne di Gesù di quelli che non lo conoscono con il loro studio, con la loro intelligenza, con la loro cultura. Dobbiamo andare là! Perciò, a me piace usare l’espressione “andare verso le periferie”, le periferie esistenziali. Tutti, tutti quelli, dalla povertà fisica e reale alla povertà intellettuale, che è reale, pure. Tutte le periferie, tutti gli incroci dei cammini: andare là. E là, seminare il seme del Vangelo, con la parola e con la testimonianza.
E questo significa che noi dobbiamo avere coraggio. Paolo VI diceva che lui non capiva i cristiani scoraggiati: non li capiva. Questi cristiani tristi, ansiosi, questi cristiani dei quali uno pensa se credono in Cristo o nella “dea lamentela”: non si sa mai. Tutti i giorni si lamentano, si lamentano; e come va il mondo, guarda, che calamità, le calamità. Ma, pensate: il mondo non è peggiore di cinque secoli fa! Il mondo è il mondo; è sempre stato il mondo. E quando uno si lamenta: e va così, non si può fare niente, ah la gioventù… Vi faccio una domanda: voi conoscete cristiani così? Ce ne sono, ce ne sono! Ma, il cristiano deve essere coraggioso e davanti al problema, davanti ad una crisi sociale, religiosa deve avere il coraggio di andare avanti, andare avanti con coraggio. E quando non si può far niente, con pazienza: sopportando. Sopportare. Coraggio e pazienza, queste due virtù di Paolo. Coraggio: andare avanti, fare le cose, dare testimonianza forte; avanti! Sopportare: portare sulle spalle le cose che non si possono cambiare ancora. Ma andare avanti con questa pazienza, con questa pazienza che ci dà la grazia. Ma, cosa dobbiamo fare con il coraggio e con la pazienza? Uscire da noi stessi: uscire da noi stessi. Uscire dalle nostre comunità, per andare lì dove gli uomini e le donne vivono, lavorano e soffrono e annunciare loro la misericordia del Padre che si è fatta conoscere agli uomini in Gesù Cristo di Nazareth. Annunciare questa grazia che ci è stata regalata da Gesù. Se ai sacerdoti, Giovedì Santo, ho chiesto di essere pastori con l’odore delle pecore, a voi, cari fratelli e sorelle, dico: siate ovunque portatori della Parola di vita nei nostri quartieri, nei luoghi di lavoro e dovunque le persone si ritrovino e sviluppino relazioni. Voi dovete andare fuori. Io non capisco le comunità cristiane che sono chiuse, in parrocchia. Voglio dirvi una cosa. Nel Vangelo è bello quel brano che ci parla del pastore che, quando torna all’ovile, si accorge che manca una pecora, lascia le 99 e va a cercarla, a cercarne una. Ma, fratelli e sorelle, noi ne abbiamo una; ci mancano le 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo andare da loro! In questa cultura - diciamoci la verità - ne abbiamo soltanto una, siamo minoranza! E noi sentiamo il fervore, lo zelo apostolico di andare e uscire e trovare le altre 99? Questa è una responsabilità grande, e dobbiamo chiedere al Signore la grazia della generosità e il coraggio e la pazienza per  uscire, per uscire ad annunziare il Vangelo. Ah, questo è difficile. E’ più facile restare a casa, con quell’unica pecorella! E’ più facile con quella pecorella, pettinarla, accarezzarla… ma noi preti, anche voi cristiani, tutti: il Signore ci vuole pastori, non pettinatori di pecorelle; pastori! E quando una comunità è chiusa, sempre tra le stesse persone che parlano, questa comunità non è una comunità che dà vita. E’ una comunità sterile, non è feconda. La fecondità del Vangelo viene per la grazia di Gesù Cristo, ma attraverso noi, la nostra predicazione, il nostro coraggio, la nostra pazienza.
Viene un po’ lunga la cosa, vero? Ma non è facile! Dobbiamo dirci la verità: il lavoro di evangelizzare, di portare avanti la grazia gratuitamente non è facile, perché non siamo noi soli con Gesù Cristo; c’è anche un avversario, un nemico che vuole tenere gli uomini separati da Dio. E per questo instilla nei cuori la delusione, quando noi non vediamo ricompensato subito il nostro impegno apostolico. Il diavolo ogni giorno getta nei nostri cuori semi di pessimismo e di amarezza, e uno si scoraggia, noi ci scoraggiamo. “Non va! Abbiamo fatto questo, non va; abbiamo fatto quell’altro e non va! E guarda quella religione come attira tanta gente e noi no!”. E’ il diavolo che mette questo. Dobbiamo prepararci alla lotta spirituale. Questo è importante. Non si può predicare il Vangelo senza questa lotta spirituale: una lotta di tutti i giorni contro la tristezza, contro l’amarezza, contro il pessimismo; una lotta di tutti i giorni! Seminare non è facile. E’ più bello raccogliere, ma seminare non è facile, e questa è la lotta di tutti i giorni dei cristiani.
Paolo diceva che lui aveva l’urgenza di predicare e lui aveva l’esperienza di questa lotta spirituale, quando diceva: “Ho nella mia carne una spina di satana e tutti i giorni la sento”. Anche noi abbiamo spine di satana che ci fanno soffrire e ci fanno andare con difficoltà e tante volte ci scoraggiano. Prepararci alla lotta spirituale: l’evangelizzazione chiede da noi un vero coraggio anche per questa lotta interiore, nel nostro cuore, per dire con la preghiera, con la mortificazione, con la voglia di seguire Gesù, con i Sacramenti che sono un incontro con Gesù, dire a Gesù: grazie, grazie per la tua grazia. Voglio portarla agli altri. Ma questo è lavoro: questo è lavoro. Questo si chiama – non vi spaventate – si chiama martirio. Il martirio è questo: fare la lotta, tutti i giorni, per testimoniare. Questo è martirio. E ad alcuni il Signore chiede il martirio della vita, ma c’è il martirio di tutti i giorni, di tutte le ore: la testimonianza contro lo spirito del male che non vuole che noi siamo evangelizzatori.
E adesso, vorrei finire pensando una cosa. In questo tempo, in cui la gratuità sembra affievolirsi nelle relazioni interpersonali perché tutto si vende e tutto si compra, e la gratuità è difficile trovarla, noi cristiani annunciamo un Dio che per essere nostro amico non chiede nulla se non di essere accolto. L’unica cosa che chiede Gesù: essere accolto. Pensiamo a quanti vivono nella disperazione perché non hanno mai incontrato qualcuno che abbia loro mostrato attenzione, li abbia consolati, li abbia fatti sentire preziosi e importanti. Noi, discepoli del Crocifisso, possiamo rifiutarci di andare in quei luoghi dove nessuno vuole andare per la paura di comprometterci e del giudizio altrui, e così negare a questi nostri fratelli l’annuncio della Parola di Dio? La gratuità! Noi abbiamo ricevuto questa gratuità, questa grazia, gratuitamente; dobbiamo darla, gratuitamente. E questo è quello che, alla fine, voglio dirvi. Non avere paura, non avere paura. Non avere paura dell’amore, dell’amore di Dio, nostro Padre. Non avere paura. Non avere paura di ricevere la grazia di Gesù Cristo, non avere paura della nostra libertà che viene data dalla grazia di Gesù Cristo o, come diceva Paolo: “Non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia”. Non avere paura della grazia, non avere paura di uscire da noi stessi, non avere paura di uscire dalle nostre comunità cristiane per andare a trovare le 99 che non sono a casa. E andare a dialogare con loro, e dire loro che cosa pensiamo, andare a mostrare il nostro amore che è l’amore di Dio.
Cari, cari fratelli e sorelle: non abbiamo paura! Andiamo avanti per dire ai nostri fratelli e alle nostre sorelle che noi siamo sotto la grazia, che Gesù ci dà la grazia e questo non costa niente: soltanto, riceverla. Avanti!