Lo scrittore maledetto che si arrese alla Bellezza della Chiesa: K.J. Huysmans
Lo scrittore che passò la vita nel torbido, scavando nel fango e cibandosi di tutte le corruzioni umane. Sino a precipitare nell’oscurità del satanismo e del sacrilegio. Toccato quel fondo, non gli rimase altra scelta che risalire, verso la luce che, da laggiù, intravedeva in alto. Era un uomo ancora privo di fede, Huysmans, ma aveva intuito che laddove è la Bellezza lì c’è Dio e, non a caso, è proprio la bellezza dell’arte cattolica ad avvicinare des Esseints – il protagonista di Á rebours – alla religione: «poiché la Chiesa è stata la sola a custodire l’arte, la forma perduta dei secoli». Così lo scrittore maledetto non solo si convertì al cattolicesimo, ma ne divenne, alla fine della sua vita, un apologeta.
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di Matteo Carnieletto
L’Ottocento, in letteratura, è
stato forse uno dei secoli più tormentati. Decapitati i valori
tradizionali dalla Rivoluzione francese, l’uomo ottocentesco si trova a
dover cercare nuovi riferimenti politici, religiosi e sociali. È il
secolo del tormento, dove uomini sinceramente in ricerca hanno toccato
l’abisso, per abbandonarsi infine alla Croce.
Il XIX secolo è stato il secolo del decadentismo,
dell’amore per l’effimero e dell’attrazione per il male. Il positivismo
– assieme al suo risvolto ideologico, lo scientismo – aveva ridotto la
vita e l’esperienza dell’uomo a scienza. Il Romanticismo aveva esaltato
il sentimento. Entrambi questi fenomeni, però, erano incompleti.
Mutilati.
È in questo contesto travagliato che nasce Joris Karl Huysmans, forse il massimo rappresentante del decadentismo. Nonostante fosse stato educato alla Fede
cattolica, comincia ben presto a frequentare attrici e prostitute.
Frequenta anche Zola e, pur essendo «ateo, anarchico, amante di magia,
spiritismo e misticismo selvaggio», stringe un legame di amicizia
sincera con il cattolico Leon Bloy.
Nel 1884, Huysmans pubblica la sua opera più importante: Á rebours,
controcorrente. È il racconto di «un uomo finito», per usare
un’espressione di Papini. Per scrivere questo testo, Huysmans si mette a
«studiare la Chiesa sotto molti aspetti» e si rende conto che «Essa
reggeva tutto, che l’arte esisteva solo in Essa e grazie ad Essa», come
scriverà vent’anni più tardi, dopo la conversione.
Era un uomo ancora privo di fede,
Huysmans, ma aveva intuito che laddove è la Bellezza lì c’è Dio e, non a
caso, è proprio la bellezza dell’arte cattolica ad avvicinare des
Esseints – il protagonista di Á rebours – alla religione: «poiché
la Chiesa è stata la sola a custodire l’arte, la forma perduta dei
secoli. Infatti ha mantenuto inalterata, persino nelle copie di scarso
valore che si fanno oggi, la lunea squisita della produzione orafa; ha
conservato l’incanto dei calici slanciati come petunie, dei cibori dai
contorni eleganti; ha tramandato persino nell’alluminio, nei falsi
smalti, nei vetri colorati, la grazia e le fogge di un tempo».
Non avrebbe mai pensato Huysmans
che, cent’anni dopo, i cristiani avrebbero rinunciato a dedicare a Dio
le cose più belle. Non avrebbe mai pensato che l’uomo avrebbe rinunciato
a lavorare bene, come scriverà Peguy: «un tempo gli operai non erano
servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un
onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era
inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il
salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta
per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone.
Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una
tradizione venuta, risalita da profondo della razza, una storia, un
assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E
ogni parte della sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che
non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si
vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali. E sono solo io —
io ormai così imbastardito — a farla adesso tanto lunga. Per loro, in
loro non c’era neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là.
Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti.
Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto».
La conversione di Huysmans
sarebbe venuta molti anni dopo, ma egli aveva già compreso che la
Rivoluzione francese era stata compiuta in odio alla Chiesa, e che era
stata guidata da persone che non avevano affatto a cuore il
miglioramento dell’uomo e delle cose belle, che dilettano l’anima: «in
definitiva, la maggior parte degli oggetti preziosi conservati al museo
di Cluny e miracolosamente sfuggiti all’ignobile brutalità dei
sanculotti, provengono dalle antiche abbazie francesi; e come la Chiesa
durante il Medio Evo ha preservato dalla barbarie la filosofia, la
storia e la letteratura, così ha salvato l’arte plastica, facendo
arrivare fino ai giorni nostri quei meravigliosi modelli di tessuti e di
oggetti preziosi che i fabbricanti di arredi sacri rovinano più che
possono, senza tuttavia riuscire ad alterarne la mirabile forma
originale». Era stata la Chiesa, «il luogo dove tutte le verità si danno
appuntamento», che aveva salvato nel corso dei secoli l’arte, il vero
progresso. In definitiva, la Chiesa aveva salvato l’uomo da se stesso.
Il protagonista Á rebours si sofferma
poi a ragionare sul gregoriano, forse la forma più alta di canto
concepita dall’uomo e che oggi, ahinoi, è caduto in disuso nella Chiesa
stessa: «questo canto, considerato oggi come una forma caduca e gotica
della liturgia cristiana, come una curiosità archeologica, come una
reliquia dei tempi andati, era il verbo dell’antica Chiesa, l’anima del
Medio Evo; era la preghiera eterna cantata e modulata secondo gli slanci
dell’anima, l’inno perpetuo innalzato da secoli all’Altissimo. Questa
melodia tradizionale era la sola che, con il suo potente unisono, le sue
armonie solenni e massicce come pietre da taglio, potesse armonizzarsi
con le vecchie basiliche e riempire le volte romaniche, di cui sembrava
l’emanazione e la voce stessa».
Dopo essere andato controcorrente, Huysmans si spinse fin giù nell’abisso, pubblicando nel 1891 Là-bas,
il più oscuro dei suoi romanzi. In esso, l’autore descrive il mondo
cupo del satanismo e dello spiritismo. Celebre è la descrizione della
Messa nera celebrata dal canonico Docre: sopra l’altare, di fronte al
quale stavano nobildonne, omosessuali e uomini dell’aristocrazia,
«s’ergeva un Cristo derisorio e infame. Gli avevano rialzato la testa,
allungato il collo e rughe dipinte sulle gote mutavano il suo volto
doloroso in un ceffo sfigurato da un riso ignobile. Era nudo, e al posto
del panno che gli cingeva i fianchi, le parti immonde maschili in
erezione fuoriuscivano da un fagotto di crine». Il canonico celebra la
Messa e, alla fine, esorta i presenti ad unirsi ad un’orgia: «Vorremmo
piantare ancor più i tuoi chiodi, configgere le tue spine, far
sanguinare di nuovo e dolorosamente le tue piaghe disseccate!».
Huysmans era andato controcorrente,
era sprofondato nell’abisso, riconoscendo il proprio nulla. Scriverà
anni dopo: «la Provvidenza mi fu misericordiosa e la Vergine benevola.
Mi sono limitato a non contrastarle quando dimostravano le loro
intenzioni; ho semplicemente obbedito; sono stato condotto alla
redenzione per quelle che vengono chiamate “le vie straordinarie”; se
c’è uno che può avere la certezza del nulla che sarebbe senza l’aiuto di
Dio, quello sono io». Non aveva fatto nulla. O forse era riuscito a
fare ciò che in molti – io stesso in primis – non riescono a fare:
pronunciare le parole più difficili del Padre Nostro: fiat voluntas tua. Sia fatta la tua volontà, si faccia di me ciò che Tu vuoi.
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