28 marzo 2022
«Ricordati che polvere sei e polvere ritornerai», così si è aperto il periodo dell’anno in cui ci troviamo, la Quaresima, i quaranta giorni che culminano nella Pasqua, la Resurrezione. Credenti o meno, in questo cammino c’è la verità di come la vita avanza: morti e resurrezioni continue. È infatti grazie alle prime tombe che nel Paleolitico compare qualcosa di «nuovo». L’archeologia e l’antropologia quando scoprono un animale che restituisce la polvere alla polvere, componendola «con cura» (inumare, da in più humus, terra, significa infatti in-terrare), sono costrette a dire «qui c’è l’uomo», un animale per il quale la polvere non è solo polvere. Proust lo dice così in Alla ricerca del tempo perduto: «I miei ricordi, i miei difetti, il mio carattere non si rassegnavano all’idea di non esistere più e non volevano saperne, per me, né del nulla, né di un’eternità da cui rimanessero esclusi». Sono nulla o vita eterna già adesso? Questa domanda ci raggiunge in momenti drammatici, quando, spogliati dalle certezze delle abitudini quotidiane e dalle maschere dei ruoli che ci rendono riconoscibili agli altri, siamo nudi di fronte al destino. Non dimenticherò mai il momento in cui ho toccato questa dolorosa nudità in una persona: un pianto disperato al telefono, nel cuore della notte, mi portò a rivestirmi e a uscire, per abbracciare un corpo che, scosso dai singhiozzi, ripeteva: «Ma a me chi mi ama?». La polvere ha paura di essere solo polvere. Ma è anche altro?
Chi sa di essere polvere amata e amante ride di sé, invece chi cerca il potere non ride mai: è sempre «teso»… a conquistare la vita eterna con le sue sole forze. La gioia è sul viso degli amati e degli amanti, la serietà è invece il volto del potere. Per questo «ricordati che polvere sei e polvere ritornerai» non è un triste monito ma un promemoria salutare: sono fatto per essere amato e per amare. Il resto è tempo perduto — come ricorda il titolo del capolavoro di Proust — a cercare di costruire una corazza di terra, a fare un guerriero d’argilla, ma Adamo, terra fertile, non è chiamato alla guerra ma a dar frutto nella cura ricevuta e data, come recita, in Giardino della gioia, una poesia di Maria Grazia Calandrone intitolata «Come si dice amore nella tua lingua» nella quale, quasi come in un saggio filosofico-poetico, ripercorre la parola amore in molteplici lingue per poi tradurla in modo universale: «“Le lingue non hanno confini, i confini sono solo politici” “Esiste una lingua invisibile alla quale attingiamo tutti” “Ogni scrittura è traduzione di un mondo” “Io attraverso le lingue che conosco in cerca della lingua universale”. Questa è la vera avanguardia, la vera profezia per il futuro della specie. // Fekrì, hubùn, dashùri/ sirèl, bhalabasa, agàpi/ uthàndo, ài, jeclahày/ süyüü, obichàm, aròha/ lyubòv’, hkyithkyinnmayttàr/ khairtài, cariàd, upéndo/ amour, is bràe, snehàm/ maxabbàt, szerelém, rudo,/ adaràya, fitiavàna/ liebe, evîn, miq’vàrs. // Continuate in settenari chiari / con questi suoni, nuovi come il mondo / che dicono da prati / e da foreste, igloo, capanne / e palafitte, grattacieli e canoe: / io, questo niente / caduto nel sogno della materia, avrò cura di te / fino alla fine del mondo». Vien allora da dire: polvere sei e solo in amore ritornerai
Nessun commento:
Posta un commento