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venerdì 6 gennaio 2012


LA COMPAGNIA
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Egli ha concepito il suo Movimento come una vera amicizia, come una preziosa compagnia. È infatti, la compagnia,
l'argomento prezioso con cui Dio ci ha messo su una strada, e se noi la seguiamo con attenzione e con semplicità di cuore, con sincerità, ci fa crescere in questa percezione del destino dell' altro e della necessità di una nostra corrispondenza con i bisogni di tutti.
E qui citava la Regola definitiva dei Frati Minori, curata da Esser, dove si legge che Francesco suggeriva ai suoi frati, pellegrini per le vie del mondo, senza patria e senza fissa dimora, che dovunque essi si trovassero o si incontrassero dovevano comportarsi come«domestici invicem inter se», familiari fra di loro e ognuno familiare con gli altri. E con commozione faceva notare che Esser commenta: «Troveranno la loro casa nell'amore vicendevole». E così concludeva: «Anche se la vostra casa è ben solida, salda e grande, troverete la vostra casa nell'amore vicendevole -che è l'amicizia -, o nell'amore fraterno (un altro sinonimo
Rivelava in quella circostanza, ancora una volta, quella pre-mura affettuosa che fin dagli anni Settanta aveva generato in lui l'idea di Fraternità, quando, constatando che la gente che lo seguiva era divenuta adulta, aveva compreso che ciascuno, proprio per vivere la propria responsabilità personale, aveva bisogno di un luogo dove abitare, di una piccola comunità o di un gruppo di Fraternità:
il movimento ci ha abituato a percepire la metodologia cristiana in ogni avvenimento di impegno e di realizzazione della persona. Ora, il metodo cristiano di avvenimento della persona è quello della comunionalità: è solo se la persona si "traduce", traduce se stessa in una comunione vissuta e perciò in una comunità, che il suo sforzo può essere sostenuto
In seguito ha avuto modo di mettere in guardia la sua gente contro il rischio di vivere la compagnia del Movimento come un'utopia: «uno strumento cui affidare le proprie speranze», come se fosse essa quella «pienezza di vita raggiungibile» in questa terra. La compagnia cristiana -diceva -è tale, invece, perché essa «è una realtà creata dal cambiamento che la persona, incontrando Cristo, realizza in se stessa». È da quel cambiamento che nasce «un altro modo di vedere, di concepire e di giudicare tutto» e una dinamica nuova dei rapporti, «che si spalancano a una capacità di amare impensabile prima, in un
compito che ha un orizzonte infinito di bene».La compagnia cristiana si identifica innanzitutto «per un tipo di affezione
nuova che nasce tra le persone», nella quale «domina su qualunque altro sentimento la stima dell'altro, la disponibilità ad aiutare, un' amorosità disposta a soccorrere l'altro, a condivi- derne sempre il bisogno, nella percezione fisica del tempo e dello spazio come via al destino».
Don Giussani sapeva bene che nell'uomo c'è una debolezza affettiva come «facilità a dimenticare la domanda fondamentale» e poi una distrazione generata abitualmente da «impressioni che diventano più forti che neanche la forza ridestata dal cuore» e infine dal potere che cerca di impedire che l'incontro.fatto diventi storia, perché cerca di «determinare la vita con i suoi progetti, con i suoi paradigmi, per i suoi scopi», in una parola «tende a ridurre il desiderio». Affinché l'energia e l'intelligenza destata dall'incontro possano farsi storia, c'è bisogno di un alveo, che è la Chiesa come «corpo sociale incidente» o «come forza trainante della società». l'opposizione personale al mondo «è resa possibile solo se uno appartiene a questa unità [...]. Se non si fosse insieme non ci sarebbe la forza per uno: uno che ha la forza di opporsi al potere da solo è uno che crea comunità»
Nella compagnia cristiana si leggono in un modo vero i bisogni che si hanno e perciò si determina una «polis parallela». Essa diventa una «umanità parallela» e uno incomincia a capire «cosa voglia dire rapporto con la donna, cosa voglia dire rapporto di amicizia, cosa voglia dire il rapporto con l'uomo come tale, cosa voglia dire il rapporto col tempo, cosa voglia dire il passato, cosa voglia dire l'errore, lo sbaglio, il peccato, cosa voglia dire il perdono. Insomma, incomincia a capire, a capire che prima non capiva, che gli altri non capiscono, e gli viene una compassione per tutti» Si tratta dunque di una compagnia che si oppone a quella della società, di una compagnia che ti sorregge e che ti corregge, che ti libera dalla tua interpretazione soggettiva e mondana della vita.

 
Per questo non è sufficiente neanche lo studio del testo di Scuola di Comunità, perché il testo "non protesta", e neanche 1 il video "protesta". Puoi fargli dire ciò che vuoi tu. Solo una compagnia reale e vivente, non virtuale, è il luogo della vera conversione. Ciò non toglie affatto importanza al testo o al video, dai quali anzi viene un suggerimento necessario, un criterio di giudizio; ma solo in una serrata convivenza, quel suggerimento e quel criterio divengono realmente punto di orientamento della vita personale.
Può anche diventare equivoca, la compagnia cristiana, ma si rivela assolutamente necessaria. È per questo che la soluzione
non è mai abolirla perché la personalità cristiana si forma solo in essa e, se formata veramente, non può non crearla nella forma voluta dalla sua verità.
La forza del Movimento di don Giussani è scaturita dalla dimensione comunitaria della vita cristiana che egli seppe proporre fin dall'inizio: l'appartenenza a Cristo diviene reale nell'appartenenza ad una compagnia cristiana, sacramento della Sua presenza.
«Segno e mistero coincidono»
affermò poi negli anni della maturità. In forza di questo principio ci ha educati ad una passione per questo grande segno del mistero cristiano che è la nostra amicizia, la quale tende a coincidere con la passione a Cristo e con il senso della totalità dell'esistenza. Per la coscienza di questa coincidenza, l'amicizia che si stabilisce fra di noi, se è
vera, è carica di una tenerezza infinita, nonché di una esigenza assoluta e nello stesso tempo di un rispetto per la libertà di ciascuno, nella quale riconosciamo quella di Dio.
Il Movimento fondato da don Giussani è stato pensato come una "comunione" nella quale si genera una somiglianza che è figliolanza. Il padre è presente nel figlio, nel senso che ne caratterizza la fisionomia, come mentalità e come affezione, e lo
rende in qualche modo un altro se stesso. A questa figliolanza, accolta nella libertà, egli annetteva la partecipazione al suo carisma come volto definitivo di una personalità.
Alla fine degli Esercizi della Fraternità del 1999 ci ha lasciati con una commossa e indimenticabile esortazione:
lo auguro a tutti i capi, a tutti i responsabili delle vostre comunità, ma anche a ognuno di voi, perché ognuno deve essere padre degli amici che ha lì, deve essere madre della gente che ha lì; non dandosi un'aria di superiorità, ma con una carità effettiva. Nessuno, infatti, può essere così fortunato e felice come un uomo e una donna che si sentono fatti dal Signore padri e madri. Padri e madri di tutti coloro che incontrano.
Vi ricordate [...] quando Gesù, andando per i campi con i suoi Apostoli, vide vicino a un paese che si chiamava Nain una donna che piangeva e singhiozzava dietro la bara del figlio morto? E Lui andò là; non le disse: «Ti risuscito il figlio». Ma: «Donna, non piangere», con una tenerezza, affermando una tenerezza e un amore all'essere umano inconfondibili! E infatti, dopo, le diede anche il figlio vivo. Ma non è questo, perché di miracoli possono fame anche altri, ma questo, questa carità, questo amore all'uomo proprio di Cristo non ha nessun paragone in niente! Andiamo.
Don Giussani ha aborrito sempre la riduzione del metodo cristiano a qualcosa di astratto, a una sorta di "modello pastorale" o ad un "discorso". il metodo cristiano -diceva spesso- è quello di Dio, che si rende presente all'uomo attraverso l'uomo, attraverso l'umanità di Cristo e della Chiesa. La bellezza umana e la tenerezza dell'affezione umana sono il veicolo del mistero, perché -come aveva detto ancora Tommaso d'Aquino -nella nostra condizione umana solo «dalle cose visibili veniamo rapiti all'amore e alla conoscenza di quelle invisibili»

don Ciccio Venturino
da:Luigi Giussani La virtù dell'amicizia ed.Marietti


Postato da: giacabi a 14:51 | link | commenti (1)
amicizia, giussani, ventorino


martedì, 03 gennaio 2012

Una sola anima in due corpi.
Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo.


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Eravamo ad Atene, partiti dalla stessa patria, divisi, come il corso di un fiume, in diverse regioni per brama d’imparare, e di nuovo insieme, come per on accordo, ma in realtà per disposizione divina.
Allora non solo io mi sentivo preso da venerazione verso il mio grande Basilio per la serietà dei suoi costumi e per la maturità e saggezza dei suoi discorsi inducevo a fare altrettanto anche altri che ancora non lo conoscevano. Molti però già lo stimavano grandemente, avendolo ben conosciuto e ascoltato in precedenza. 
Che cosa ne seguiva? Che quasi lui solo, fra tutti coloro che per studio arrivavano ad Atene, era considerato fuori dell’ordine comune, avendo raggiunto una stima che lo metteva ben al di sopra dei semplici discepoli. Questo l’inizio della nostra amicizia; di qui l’incentivo al nostro stretto rapporto; così ci sentimmo presi da mutuo affetto.
Quando, con il passare del tempo, ci manifestammo vicendevolmente le nostre intenzioni e capimmo che l’amore della sapienza era ciò che ambedue cercavamo, allora diventammo tutti e due l’uno per l’altro: compagni, commensali, fratelli. Aspiravamo a un medesimo bene e coltivavamo ogni giorno più fervidamente e intimamente il nostro comune ideale.
Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice d’invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l’emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo.
Sembrava che avessimo un’unica anima in due corpi. Se non si deve assolutamente prestar fede a coloro che affermano che tutto è in tutti, a noi si deve credere senza esitazione, perché realmente l’uno era nell’altro e con l’altro.
L’occupazione e la brama unica per ambedue era la virtù, e vivere tesi alle future speranze e comportarci come se fossimo esuli da questo mondo, prima ancora d’essere usciti dalla presente vita. Tale era il nostro sogno. Ecco perché indirizzavamo la nostra vita e la nostra condotta sulla via dei comandamenti divini e ci animavamo a vicenda all’amore della virtù. E non ci si addebiti a presunzione se dico che eravamo l’uno all’altro norma e regola per distinguere il bene dal male. 
E mentre altri ricevono i loro titoli dai genitori, o se li procurano essi stessi dalle attività e imprese della loro vita, per noi invece era grande realtà e grande onore essere e chiamarci cristiani.
GRAZIE a:
Maria Noproblem

Postato da: giacabi a 20:44 | link | commenti
amicizia, sbasilio, gregorio nanzianzeno

Caffarra:
"L'aborto è un delitto abominevole"

L'omelia del Cardinale

Festa della Sacra Famiglia in via Irma Bandiera
Il cardinale Carlo Caffarra ha presieduto la Messa nonostante una lieve indisposizione
Il cardinale Carlo Caffarra ha presieduto la Messa nonostante una lieve indisposizione
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Bologna, 30 dicembre 2011 - Ecco l'omelia completa del cardinale Carlo Caffarra in occasione dellaFesta della Sacra Famiglia nella parrocchia della Sacra Famiglia di via Irma Bandiera a Bologna.

"Cari fratelli e sorelle, un solo grande insegnamento percorre le tre pagine della S. Scrittura che abbiamo appena ascoltato: la vita dell’uomo è dono di Dio. La Scrittura ci dona questa certezza attraverso la vicenda di Abramo e Sara, e l’offerta che Maria e Giuseppe fanno del bambino Gesù al tempio.
«Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia». E nella seconda lettura si ribadisce la stessa verità colle seguenti parole: «per fede anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso».
Questa certezza che la vita trasmessa dai genitori ha la sua origine in Dio, appartiene alla rivelazione biblica ed è stata costantemente insegnata dalla Chiesa.
«Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo; prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» [Ger 1, 5], dice il Signore al suo profeta Geremia. È profondamente commovente la parola che una madre di sette figli dice a loro per confortarli nella fedeltà alla Legge di Dio: «Non so come siete apparsi nel mio grembo; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore del mondo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti … » [2 Mac 7, 22-23]. Non siamo dunque frutto del caso o il risultato fortuito di leggi biologiche. All’origine di ciascuno di noi, dell’esserci di ciascuno di noi sta un atto d’amore di Dio creatore; fin dal grembo materno ciascuno di noi è stato il termine personalissimo dell’amorosa e paterna Provvidenza divina.

Cari fratelli e sorelle, questa verità che oggi la parola di Dio ci dona, ci fa comprendere e la grande dignità di ogni persona umana e la sublime dignità dell’amore coniugale. Ogni persona umana è in un rapporto diretto ed immediato con Dio creatore. Essa non è proprietà di nessuno, e di essa nessuno può disporre.
È per questo che l’aborto, cioè l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, chirurgicamente o chimicamente, di una persona umana già concepita e non ancora nata, è, come lo definisce il Concilio Vaticano II, un «delitto abominevole»[Cost. past. Gaudium et spes 51]. La vita umana, in qualunque stadio, è sacra ed inviolabile; in essa si rispecchia la stessa inviolabilità del Creatore.
Ma il fatto che all’origine di ogni persona umana ci sia un atto creativo di Dio, getta anche una luce particolare sull’amore coniugale. Esso è il tempio in cui Dio celebra la liturgia del suo amore creativo. Come dunque esso deve essere splendente di santità! È per questo che il divino Redentore ha elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento: perché gli sposi fossero santi nel corpo e nello spirito.
2. La grande verità che oggi la Parola di Dio ci insegna e la conseguenza etica derivante da essa – ogni vita umana è un bene che non è a disposizione di nessuno – possono essere accolte anche dalla ragione retta. Ed infatti esse hanno costituito uno dei pilastri portanti della nostra civiltà occidentale: il pilastro della dignità incommensurabile di ogni persona.
Ora la nostra civiltà si è ammalata e mortalmente. Perché si è verificato questo? Perché essa si è distaccata dalla piena verità sull’uomo; ha perso la vera misura del valore incondizionato di ogni persona umana.
Alcuni sintomi di questa grave malattia: la distinzione fra vita degna e vita indegna di essere vissuta; la negazione del carattere di persona all’embrione; la progressiva legittimazione del suicidio e quindi dell’assistenza ad esso; il cambiamento sostanziale della definizione della professione medica, non più univocamente orientata alla vita.
 

Cari amici, come credenti e come persone ragionevoli non possiamo rassegnarci a questa deriva. Non si fa luce in una stanza piombata nel buio discutendo sulla natura fisica della luce, ma riaccendendola.
La Chiesa oggi prega per ogni famiglia perché sia questa luce: luce che mostri la verità e la bellezza del vero amore".

Postato da: giacabi a 20:08 | link | commenti
aborto, caffarra

L'amicizia
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L'amicizia, infatti, «esprime in suprema forma la grandezza dell'uomo: l'imitazione di Dio, che è l'uomo, cui è chiamato l'uomo». Ora Dio, il mistero che fa tutte le cose, come ci viene rivelato attraverso il Figlio di Dio fatto uomo, è amore. «Se la natura dell'Essere è amore -incalzava don Giussani -,allora nell'uomo, che è la creatura fatta a Sua immagine e somiglianza, la virtù suprema sarà questa caritas, questo amore» La carità,- scriveva Tommaso d'Aquino -è la perfezione dell'amore, in quanto ciò che si ama «magni pretii aestimatur», come dice lo stesso nome .
Ma l'amicizia cosa apporta alla parola amore? In che senso è distinguibile dall'amore? E qui, rifacendosi ancora a Tommaso
d'Aquino, don Giussani rispondeva che
«l'amicizia è un amore reciproco; senza reciprocità non c'è amicizia». L'amicizia,infatti, secondo l'Aquinate, aggiunge all'amare un riamarsi scambievole. Pertanto non è possibile avere amicizia con qualcuno, «se non si crede e non si spera di avere con lui condivisione di vita e scambio famiIiare». Perché ci sia amicizia vera si richiede, dunque, «l'amore scambievole: poiché un amico è amico per l'amico{amicus est amico amicus ».
Ma allora l'amicizia è un calcolo?Don Giussanirisponde in modo sorprendente: non può essere un calcolo questa«abolizione della estraneità tra un uomo e l'altro uomo» perché essa è un miracolo, «il miracolo umanamente più affascinante e persuasivo del fatto cristiano». Essa implica, infatti, una «gratuità totale, assoluta, senza alcun calcolo: puro, nudo e crudo amore». Si ama l'altro «perché è», per il mistero che si affaccia in lui, appunto il per il suo destino, «come la prospettiva inesorabile di ogni cosa che si vede».
L'amicizia, dunque, implica questo saper stare di fronte all'altro con la gratuità e la stabilità che l'amore al suo destino richiede. «Non può esserci amicizia tra di noi, non possiamo dirci amici, se non amiamo il destino dell'altro sopra ogni cosa, al di là di qualsiasi tornaconto».
In queste parole, riecheggiano anche quelle di Tommaso d'Aquino, secondo cui quando si ama di un amore che è amicizia, si ama l'altro per se stesso, per il suo bene, e per la connaturalità o compiacenza che si stabilisce con l'altro, l'altro diviene in qualche modo il proprio bene e gli si vuol bene come a se stessi. L'amico diviene, dunque, per l'amico un alter ipse, o come diceva sant' Agostino, dimidium animae suae. Nell'amore di amicizia, per conseguenza, l'amante è in qualche modo nell'amato in quanto reputa il bene e il male dell'amico come propri, come se egli stesso nell'amico gioisse e soffrisse, e così viene fatto come una sola cosa con l'amato.
L'amicizia è un amore corrisposto, ma questo non è mai vero amore, né veramente corrisposto se «il destino dell' altro non mi domina, obbligandomi tante volte anche a dimenticare lo scopo contingente che ci ha messo insieme, perché è più importante quello di qualsiasi altra cosa». Qualsiasi altra ragione mutilerebbe la corrispondenza, perché mutila innanzitutto l'amore: non ci sarebbe né amore, né tanto meno corrispondenza. Giussani raggiungeva la radicalità ultima della parola amicizia quando la definiva«la parola più vicina alla parola Ti adoro». Infatti l'amicizia vera adora l'altro, non perché ha un bel muso, non perché è capace di cantare, ma perché è: perché è. E noi sappiamo cosa vuoI dire per un uomo, a livello umano essere: vuoI dire avere una sete di felicità, continuamente inappagata da qualsiasi cosa noi accostassimo.

don Ciccio Venturino
da:Luigi Giussani La virtù dell'amicizia ed.Marietti

Postato da: giacabi a 20:01 | link | commenti

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