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domenica 22 gennaio 2012

La pseudo compagnia
***
"Si cerca la compagnia, la società niente altro che per sfuggire a se stessi, e così, fuggendo ciascuno da sé, non si incontrano mai gli uomini e parlano fra loro non come uomini, ma come ombre, come miserabili spettri.
 Gli uomini non parlano insieme, non conversano se non nei momenti di debolezza e di abbandono, come vuotandosi allora di sé, ed ecco perché non sono mai più soli di quando sono insieme, né più in compagnia di quando sono separati, divisi gli uni dagli altri"
Miguel de Unamuno: Essayos, vol.VI).

 

Postato da: giacabi a 08:24 | link | commenti
amicizia, unamuno

martedì, 07 agosto 2007
AMICIZIA
***
L'uomo non percepisce mai una esperienza di completezza come nella compagnia, nella amicizia, particolarmente tra uomo e donna. La donna per l'uomo, e viceversa, o l'altro per la persona, costituiscono realmente altro; tutto il resto è assimilabile e dominabile dall'uomo, ma il tu mai. Il tu non è esauribile; è evidente e non "dimostrabile", l'uomo non può rifare tutto il processo che lo costituisce; eppure mai l'uomo percepisce e vive una esperienza di pienezza come di fronte al tu. Qualcosa di diverso, per sua natura diverso da me, qualcosa di altro mi compie più di qualsiasi esperienza di possesso, di dominio, di assimilazione.
Don Giussani  da : Il senso religioso


Postato da: giacabi a 14:31 | link | commenti
amicizia, giussani

martedì, 31 luglio 2007
L’amico
***
 
L'amico è l'unica persona che ti capisce e ti sostiene se tutto il mondo ti volta le spalle. l'amico è lo specchio della propria persona , guardando a lui si esprime la propria crescita e il proprio controllo di se, l'amico permette di rimanere in corrispondenza con se stessi grazie a lui si può domandare e si può rispondere. Chi non ha un amico crolla su se stesso.
Otl Aicher (un amico di Hans Scholl) Rosa Bianca
 
 
 
 

Postato da: giacabi a 21:33 | link | commenti
amicizia, la rosa bianca

venerdì, 27 luglio 2007
L'incontro con Altri
***


" L'incontro con Altri rappresenta immediatamente la mia responsabilità per lui: la responsabilità per il prossimo, che senza dubbio è l'austero nome di ciò che si chiama amore del prossimo, amore senza Eros, carità, amore in cui il momento etico domina il momento passionale, amore senza concupiscenza. Non mi piace molto la parola amore, che viene usata e abusata. Parliamo piuttosto di una presa su di sé del destino altrui. Questa è la "visione " del Volto, e si applica al primo venuto".
 Emmanuel Lévinas, il filosofo
 

Postato da: giacabi a 22:04 | link | commenti
amicizia, levinas

martedì, 17 luglio 2007
L’Amicizia
***


In quel momento apparve la volpe.
"Buon giorno", disse la volpe.

"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.

"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo..."

"Chi sei?" domando' il piccolo principe, "sei molto carino..."

"Sono una volpe", disse la volpe.

"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, sono cosi' triste..."

"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomestica".

"Ah! scusa", fece il piccolo principe.

Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:

"Che cosa vuol dire ?"

"Non sei di queste parti, tu", disse la volpe, "che cosa cerchi?"

"Cerco gli uomini", disse il piccolo principe.

"Che cosa vuol dire ?"

"Gli uomini" disse la volpe, "hanno dei fucili e cacciano. E' molto noioso! Allevano anche delle galline. E' il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?"

"No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire "?"

"E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire ..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro' per te unica al mondo".
"Comincio a capire" disse il piccolo principe. "C'e' un fiore... credo che mi abbia addomesticato..."
"E' possibile", disse la volpe. "Capita di tutto sulla Terra..."

"Oh! non e' sulla Terra", disse il piccolo principe.

La volpe sembrò perplessa:

"Su un altro pianeta?"

"Si".
"Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?"
"No".

"Questo mi interessa. E delle galline?"

"No".

"Non c'e' niente di perfetto", sospirò la volpe. Ma la volpe ritornò alla sua idea:

"La mia vita e' monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio percio'. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sara' illuminata. Conoscero' un rumore di passi che sara' diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi fara' uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiu' in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me e' inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo e' triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sara' meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che e' dorato, mi fara' pensare a te. E amero' il rumore del vento nel grano..."

La volpe tacque e guardo' a lungo il piccolo principe:

"Per favore... addomesticami", disse.

"Volentieri", disse il piccolo principe, "ma non ho molto tempo, pero'. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose".

"Non ci conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe. "Gli uomini non hanno piu' tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose gia' fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno piu' amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!"
"Che cosa bisogna fare?" domando' il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un po' lontano da me, cosi', nell'erba. Io ti guardero' con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' piu' vicino..."

Il piccolo principe ritorno' l'indomani.

"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe.

"Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincero' ad essere felice. Col passare dell'ora aumentera' la mia felicita'. Quando saranno le quattro, incomincero' ad agitarmi e ad inquietarmi; scopriro' il prezzo della felicita'! Ma se tu vieni non si sa quando, io non sapro' mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti".
"Che cos'e' un rito?" disse il piccolo principe.
"Anche questa e' una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe. "E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. C'e' un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedi ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedi e' un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza".
Cosi' il piccolo principe addomestico' la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:

"Ah!" disse la volpe, "... piangero'".

"La colpa e' tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"E' vero", disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".
Poi soggiunse:
"Va' a rivedere le rose. Capirai che la tua e' unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalero' un segreto".
Il piccolo principe se ne ando' a rivedere le rose.

"Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora e' per me unica al mondo".
E le rose erano a disagio.
"Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si puo' morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, e' piu' importante di tutte voi, perche' e' lei che ho innaffiata. Perche' e' lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perche' e' lei che ho riparata col paravento. Perche' su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perche' e' lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perche' e' la mia rosa".
E ritorno' dalla volpe.

"Addio", disse. "Addio", disse la volpe. "
Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale e' invisibile agli occhi".
"L'essenziale e' invisibile agli occhi", ripete' il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa cosi' importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurro' il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verita'. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripete' il piccolo principe per ricordarselo.
Antoine de Saint-Exupéry  Il Piccolo Principe -
 

Postato da: giacabi a 15:50 | link | commenti
amicizia, saintexupery

lunedì, 16 luglio 2007
L’amicizia
***
«Un po' di sere fa, pensando, ho scoperto che l'unico amico mio eri tu: non per sterile esclusivismo: [ma perché] quella vibrazione ineffabile e totale nel mio essere di fronte alle "cose" o alle "persone" non riesco a captarla se non nel tuo modo di reagire»
Don Giussani Lettere di fede e di amicizia ad Angelo Maio San Paolo
 

Postato da: giacabi a 20:25 | link | commenti
amicizia, giussani

domenica, 15 luglio 2007
L’Amicizia

***
"Anche in questa vita i buoni ci arrecano non piccoli conforti. Se, infatti, ci angustiasse la povertà, se ci addolorasse il lutto, ci rendesse inquieti un malanno fisico, ci rattristasse l'esilio, ci tormentasse qualche calamità ma ci fossero vicine delle persone buone che sapessero non solo godere con quelli che godono, ma anche piangere con quelli che piangono, che sapessero rivolgere parole di sollievo e conversare amabilmente, allora verrebbero lenite in grandissima parte le amarezze, alleviati gli affanni, superate le avversità. Questo affetto è prodotto in essi e per mezzo di essi da Colui che li rese buoni con suo spirito." (Ep.130)


In questa umana convivenza assai colma di errori e di sofferenze, ci confortano solo la fede non simulata e la solidarietà di veri e buoni amici." (De.Civ. Dei 19,8)              S. Agostino
 

Postato da: giacabi a 05:37 | link | commenti
amicizia, sagostino

martedì, 10 luglio 2007
GLI UOMINI FINESTRA
***

Quando costeggi i muri
trovi un giorno degli uomini-porta
uomini-finestra
per i quali vedi il mondo
il paesaggio e gli altri uomini
così volte all'infinito.
Mettendoti dietro di loro
Va a finire che seguirai
Senza saperlo in cammino
In fondo al quale pure tu
Forse ti aprirai.
(Jean-Pierre Lemaire)
a P.
 

Postato da: giacabi a 11:14 | link | commenti
amicizia

Ciò che occorre è un uomo
***
"Ciò che occorre è un uomo
non occorre la saggezza,
ciò che occorre è un uomo
in spirito e verità; non un paese, non le cose
ciò che
occorre è un uomo
un passo sicuro e tanto salda
la mano che porge, che tutti
possano afferrarla e camminare
liberi e salvarsi

(Carlo Batocchi da "Dal definitivo istante").
 

Postato da: giacabi a 10:44 | link | commenti
amicizia, betocchi

lunedì, 16 aprile 2007
            Sull'Amicizia
***
E un adolescente disse: Parlaci dell'Amicizia.
   E lui rispose dicendo:
   Il vostro amico è il vostro bisogno saziato.
   E' il campo che seminate con amore e mietete con riconoscenza.
   E' la vostra mensa e il vostro focolare.
   Poiché, affamati, vi rifugiate in lui e lo ricercate per la vostra pace.

   Quando l'amico vi confida il suo pensiero, non negategli la vostra approvazione, né abbiate paura di contraddirlo.
   E quando tace, il vostro cuore non smetta di ascoltare il suo cuore:
   Nell'amicizia ogni pensiero, ogni desiderio, ogni attesa nasce in silenzio e viene condiviso con inesprimibile gioia.
   Quando vi separate dall'amico non rattristatevi:
   La sua assenza può chiarirvi ciò che in lui più amate, come allo scalatore la montagna è più chiara della pianura.
   E non vi sia nell'amicizia altro scopo che l'approfondimento dello spirito.
   Poiché l'amore che non cerca in tutti i modi lo schiudersi del proprio mistero non è amore, ma una rete lanciata in avanti e che afferra solo ciò che è vano.

   E il meglio di voi sia per l'amico vostro.
   Se lui dovrà conoscere il riflusso della vostra marea, fate che ne conosca anche la piena.
   Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte?
   Cercatelo sempre nelle ore di vita.
   Poiché lui può colmare ogni vostro bisogno, ma non il vostro vuoto.
   E condividete i piaceri sorridendo nella dolcezza dell'amicizia.
   Poiché nella rugiada delle piccole cose il cuore ritrova il suo mattino e si ristora
Gibran Il Profeta

Postato da: giacabi a 14:52 | link | commenti
amicizia, gibran

sabato, 20 gennaio 2007
DIARIO DELLA AMICIZIA
di E. van Broeckoven         
***
Scoprire la realtà dell'amicizia della persona, non solamente in noi ma anche negli altri.
Profondità dell'intimità dell'uomo: il suo corpo, il suo temperamento, il suo carattere più profondamente ancora ...egli è «di Dio ».
L'amicizia è l'amore che cerca l'altro e può fare a meno di ciò che l'altro ha, perché essa non cerca ciò che egli ha, ma ciò che egli è: «di Dio ».
L'amicizia cerca ciò che in lui vi è di più intimo, cioè ciò per cui egli è di Dio, ciò per cui la sua intimità sta nell'intimità di Dio. In tal modo l'amicizia cerca di penetrare nel mistero di Dio che è Amore; se gli uomini comprendessero questo, cercherebbero Dio. (...)
Solamente quando l'amore si esprime in modo concreto mediante un impegno totale nella situazione di colui che si ama e nella misura in cui si cerca l'intimità concreta dell'altro, allora l'amore è veramente autentico, esistenziale, profondo, senza limiti, superando il tempo (eterno), e la materia (spirituale).
L'amore che non si esprime, non si esteriorizza concretamente,
-non è autentico: resta chimerico, astratto;
 -non è esistenziale: resta estraneo a ogni impegno personale.
-non è profondo: non tocca nemmeno la superficie.
-non è senza limiti: solamente l'amore che si è concretizzato può, incarnandosi, scoprire delle prospettive reali infinite.
-non è eterno: solamente un atto posto nel tempo della storia può influenzare l'insieme della realtà storica.
-non è spirituale: tutte le realtà spirituali di questo mondo devono essere calate in una realtà corporale concreta.
Nella misura in cui si impegna concretamente nell'azione effettiva di colui che si ama, l'amore è autentico..

Postato da: giacabi a 09:53 | link | commenti
amicizia, senso religioso

LA SOLITUDINE
 SEGNO DEL MISTERO

La massima sventura è la solitudine, tant'è vero che il supremo conforto -la religione - consiste nel trovare una compagnia che non svanisce, Dio. La preghiera è lo sfogo come con un amico.
L'opera equivale alla preghiera perché mette idealmente a contatto con chi ne usufruirà. Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri. Così si spiega la consistenza del matrimonio, della paternità, delle amicizie. Perché poi qui stia la felicità, mah! Perché si debba star meglio comunicando con un altro che non stando soli, è strano.
Forse è solo un'illusione: si sta benissimo soli la maggior parte del tempo. Piace di tanto in tanto avere un otre in cui versarsi e poi bervi se stessi: dato che dagli altri chiediamo ciò che abbiamo già in noi. Mistero perché non ci basti scrutare e bere in noi e ci occorra riavere noi dagli altri. (il sesso è un incidente: ciò che ne riceviamo è momentaneo e casuale; noi miriamo a qualcosa di più riposto e misterioso di cui il sesso è solo un segno, un simbolo).
 C. Pavese da: il mestiere di vivere

Postato da: giacabi a 09:24 | link | commenti
amicizia, solitudine, pavese

martedì, 16 gennaio 2007

L’Amicizia

Da “I quattro amori”
di C.S. Lewis  



L’amicizia è – ma non in senso peggiorativo il meno naturale degli affetti naturali, il meno istintivo, organico, biologico, gregario e indispensabile...
Quando due persone diventano amiche significa che esse si sono allontanate, insieme, dal gregge
. Senza l’eros nessuno di noi sarebbe stato generato, e senza l’affetto nessuno di noi avrebbe ricevuto un’educazione; al contrario si può vivere e riprodursi anche senza l’amicizia... Questa qualità, per così dire “innaturale”, dell’amicizia costituisce un’ottima spiegazione al fatto che essa fu esaltata in epoca antica e medievale, ma è tenuta in poca considerazione ai giorni nostri. L’ideale che permeava di sé quelle età era d’impronta ascetica, volto a una rinuncia del mondo... Unica tra tutti gli affetti, essa sembra innalzare l’uomo a livello degli dei, o degli angeli... Niente è più lontano dall’amicizia di una passione amorosa. Gli innamorati si interrogano continuamente sul loro amore; gli amici non parlano quasi mai della loro amicizia. Gli innamorati stanno quasi tutto il tempo, fianco a fianco, assorti in qualche interesse comune. Ma soprattutto, l’eros (finché dura) lega necessariamente due sole persone. Il due invece, lungi dall’essere il numero distintivo dell’amicizia, non è nemmeno il più congeniale a questo tipo di legame...
In ciascuno dei miei amici c’è qualcosa che solo un altro amico sa mettere pienamente in luce... Da ciò consegue che
l’amicizia è il meno geloso degli affetti. Due amici sono ben lieti che a loro se ne unisca un terzo, e tre, che a loro se ne unisca un quarto, a patto che il nuovo venuto abbia le carte in regola per essere un vero amico. Essi potranno dire, allora, come le anime beate di Dante: “Ecco che crescerà li nostri amori”, poiché in questo amore “condividere non significa perdere”... In questo senso, l’amicizia rivela una piacevole “vicinanza per somiglianza” con lo stesso Paradiso, dove proprio la moltitudine dei beati (il cui numero sfugge a qualunque calcolo umano) accresce il godimento che ciascuno ha di Dio. Ogni anima, infatti, Lo vede in maniera personale, e comunica poi questa visione unica a tutte le altre. Questo è il motivo per cui, come dice un autore antico, i Serafini, nella visione di Isaia, cantano vicendevolmente: “Santo, Santo, Santo” (Is 6,3). Più divideremo tra noi il pane celeste, più ne avremo per cibarcene...
L’amicizia nasce dal semplice cameratismo quando due o più compagni scoprono di avere un’idea, un interesse o anche soltanto un gusto, che gli altri non condividono e che, fino a quel momento, ciascuno di loro considerava un suo esclusivo tesoro (fardello). La frase con cui di solito comincia un’amicizia è qualcosa del genere: “Come? Anche tu? Credevo di essere l’unico...”.
Il marchio della perfetta amicizia non è il fatto di essere pronti a prestare aiuto nel momento del bisogno (anche se questo si verificherà puntualmente), ma il fatto che, una volta dato questo aiuto, nulla cambia. Si è trattato di una deviazione, di un’anomalia, di una fastidiosa perdita di tempo, rispetto a quei pochi momenti – sempre troppo fugaci – in cui si può stare insieme... L’amicizia, come l’eros, non è mai inquisitrice. Si diventa amici di una persona senza sapere, né preoccuparsi, se egli sia sposato o meno, o di come si guadagni da vivere. Tali “questioni pratiche”, “affari di secondaria importanza” non hanno nulla a che vedere con la domanda fondamentale: “Vedi la stessa verità?”... Questa è la regalità dell’amicizia: in essa ci incontriamo come sovrani di stati indipendenti, fuori del nostro paese, sul terreno neutrale, svincolati dal nostro contesto... Da ciò deriva il carattere squisitamente arbitrario e l’irresponsabilità di questo affetto. Non ho il dovere di essere amico verso nessuno, e nessuno ha il dovere di esserlo nei miei confronti... L’amicizia è superflua, come la filosofia, l’arte, l’universo (Dio infatti non aveva bisogno di creare).

Postato da: giacabi a 20:07 | link | commenti (1)
amicizia, lewis

mercoledì, 27 dicembre 2006
MA – sinceramente !
ABBIAMO VERAMENTE
BISOGNO DI CRISTO per il 2007 ?
Nel suo “Messaggio Urbi et orbi” per il Natale 2006, Benedetto XVI ha voluto dare risposta proprio a questa domanda. Ha detto fra l’altro: d
Come non sentire che proprio dal fondo di questa umanità gaudente e disperata si leva un’invocazione straziante di aiuto? E’ Natale: oggi entra nel mondo "la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,9). "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (ibid., 1,14), proclama l’evangelista Giovanni. Oggi, proprio oggi, Cristo viene nuovamente "fra la sua gente" e a chi l’accoglie dà " il potere di diventare figlio di Dio"; offre cioè l’opportunità di vedere la gloria divina e di condividere la gioia dell’Amore, che a Betlemme si è fatto carne per noi. Oggi, anche oggi, "il nostro Salvatore è nato nel mondo", perché sa che abbiamo bisogno di Lui. Malgrado le tante forme di progresso, l’essere umano è rimasto quello di sempre: una libertà tesa tra bene e male, tra vita e morte. E’ proprio lì, nel suo intimo, in quello che la Bibbia chiama il "cuore", che egli ha sempre necessità di essere "salvato". E nell’attuale epoca post moderna ha forse ancora più bisogno di un Salvatore, perchè più complessa è diventata la società in cui vive e più insidiose si sono fatte le minacce per la sua integrità personale e morale. Chi può difenderlo se non Colui che lo ama al punto da sacrificare sulla croce il suo unigenito Figlio come Salvatore del mondo? .

Di fronte a un anno nuovo che sta cominciando, proviamo a ragionare a ritroso nella storia e chiediamoci come sarebbe il mondo e la nostra vita e la storia se Gesù non fosse venuto…

E SE GESU’ NON FOSSE VENUTO ?

di
Antonio Socci


E se Gesù non fosse nato? Non ci sarebbero – per esempio – né università, né ospedali. E nemmeno la musica. E’ facile provare storicamente che queste istituzioni, nate nel medioevo cristiano (come le Cattedrali e l’arte occidentale), sarebbero state del tutto inconcepibili senza la storia cristiana. Se Gesù non fosse venuto fra noi non ci sarebbe neanche lo Stato laico, perché – come ha dimostrato Joseph Ratzinger in un memorabile discorso alla Sorbona – è Lui che ha desacralizzato il potere il quale da sempre ha usato le religioni per assolutizzare se stesso. Dopo Gesù, Cesare non si può più sovrapporre a Dio, non può avere più un potere assoluto sulle persone e le cose.
Inizia la storia della libertà umana.

Se Gesù non fosse nato le donne non avrebbero alcun diritto, sarebbero considerate ancora “cose” su cui gli uomini hanno potere di vita e di morte, com’era perfino nella Roma imperiale. Se Gesù non fosse nato vecchi e malati continuerebbero ad essere abbandonati. Se Gesù non fosse nato non esisterebbero i “diritti dell’uomo. Né la democrazia (ripeto: la democrazia e la libertà sarebbero stati inconcepibili). Se Gesù non fosse venuto avremmo ancora un sistema economico fondato strutturalmente sulla schiavitù e quindi arretrato (oltreché disumano e bestiale), sempre al limite della sussistenza
.

Invece Gesù è venuto e il continente che l’ha accolto, il continente cristiano per eccellenza,
l’Europa, di colpo ha fatto un balzo inaudito nella storia umana, lasciando indietro tutto il resto del mondo,
perfino civiltà molto più antiche, come quella cinese. Gesù è venuto e l’essere umano è fiorito: la sua intelligenza, la sua genialità, la sua umanità, la sua creatività, la sua razionalità (soprattutto!).

Chi – abbeverato alle fonti avvelenate dell’ideologia dominante - nutre qualche dubbio in proposito può trovare intere biblioteche che lo dimostrano, ma, per tagliar corto, in queste giorni di vacanze può cavarsela leggendosi un libro. L’autore non è un apologeta cattolico, ma un sociologo americano di una università yankee:
Rodney Stark. Il suo libro è stato tradotto da Lindau col titolo: “La vittoria della Ragione”. Sottotitolo: “Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza”. Il suo excursus lungo i secoli è documentatissimo e chiaro. Spiega che quando gli europei per primi cominciarono a esplorare il mondo, ciò che li stupì fu “la scoperta del loro grado di superiorità tecnologica rispetto alle altre società”. Stark – per farsi capire - scende nei particolari: “Perché per secoli gli europei rimasero gli unici a possedere occhiali da vista, camini, orologi affidabili, cavalleria pesante o un sistema di notazione musicale?”. Il perché – come spiega Stark - risale a quella razionalità e a quel genio della realtà fioriti col cristianesimo.
Gli esempi sembrano minimi (gli occhiali, i camini), ma si tratta di oggetti di uso quotidiano che hanno rivoluzionato la vita e la qualità della vita.

Inoltre vanno compresi all’interno delle conquiste più grandi. Stark dimostra che
è dal cristianesimo, dalla conoscenza di un Dio che ha razionalmente ordinato il cosmo, che deriva la “straordinaria fede nella ragione” che connota l’Occidente cristiano. “Sin dagli albori i padri della Chiesa insegnarono che la ragione era il dono più grande che Dio aveva offerto agli uomini… Il cristianesimo fu la sola religione ad accogliere l’utilizzo della ragione e della logica come guida principale verso la verità religiosa”.


Da qui
, da questa “vittoria della ragione”, da questa certezza che il mondo non è una divinità, né un capriccio inconoscibile degli dèi, ma è creato secondo un Logos razionale e può essere compreso e dominato dall’uomo, derivano la scienza, la tecnologia e – per esempio – come conseguenza ultima di tipo sociale, il “capitalismo”, cioè quel sistema di produzione regolato che ha portato a una prosperità mai conosciuta prima nella storia umana.

Naturalmente andiamo per grandi lineee. Potremmo dettagliare tutte le cose che stanno dentro queste svolte storiche: la legittimazione teologica e morale della proprietà privata e del profitto, la limitazione dell’arbitrio dello Stato, il diritto della persona a non essere schiavizzato (che ha provocato una quantità di scoperte e conquiste tecnologiche). La teoria della democrazia e dei diritti dell’uomo fiorì nei grandi monasteri che hanno civilizzato l’Europa barbarica, poi nelle università medievali e nella teologia successiva. Ed è stata recepita nelle istituzioni.


E’ tutto un sistema di pensiero e di valori che ha letteralmente dato forma al nostro vivere quotidiano e che deriva da ciò che il cristianesimo ha portato nella storia umana. Il progresso stesso è un concetto nato dai padri della Chiesa e che non è concepibile se non nella concezione cristiana della storia. Stark dettaglia fino a particolari a cui noi normalmente neanche facciamo caso. Accendere la luce, avere acqua e riscaldamento in casa, muoversi a velocità inaudita sul pianeta coprendo distanze immense, comunicare da un capo all’altro del mondo, disporre di cibo oltre ogni immaginazione, dominare lo spazio, debellare tante malattie allungando la vita umana di decenni…. Tutto questo – letteralmente – non sarebbe stato neanche immaginabile se quel giorno di duemila anni fa, a Betlemme di Giudea, non fosse nato Gesù.

Non è un caso se le conquiste dell’Occidente cristiano hanno civilizzato e umanizzato tutto il mondo. Ma l’origine sta in quella strepitosa liberazione dell’umano e delle sue immense energie e potenzialità che è iniziata quando è venuto Gesù. Per questo e non a caso - la storia di divide: prima di Cristo e dopo di Lui. Per questo anche un laico – se minimamente colto e avvertito – celebra il Natale come l’alba della prosperità e della libertà.


Sia chiaro: non che l’occidente cristiano sia di colpo diventato immune dal male. Tutt’altro. Il rischio di ripiombare nelle tenebre della disumanità è stato sempre presente ed è continuo. Ma anche il male dell’uomo, nel corso dei secoli, ha trovato finalmente la forza inesausta di Cristo nella Chiesa che l’ha contrastato, l’ha perdonato e redento, dilagando nella storia dei popoli cristiani.


Un grande poeta, Thomas. S. Eliot, ha colto questa drammatica lotta (di ogni giorno) dei popoli cristiani per vincere nel corso dei secoli la barbarie e la bestialità con questi versi: “Attraverso la Passione e il Sacrificio, salvati a dispetto del loro essere negativo;/ Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima;/ Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce./ Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un’altra via”. Infatti, nonostante la liberazione storica che ha prodotto, Gesù non è nato innanzitutto per civilizzare il mondo, ma per santificare gli uomini, per renderli, da bestiali, divini. Diceva S. Agostino: “Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre se lui non fosse nato nel tempo. Mai saresti stato libero dalla carne del peccato, se lui non avesse assunto una carne simile a quella del peccato. Ti saresti trovato sempre in uno stato di miseria, se Lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere, se Lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno, se Lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto, se lui non fosse arrivato”.


Se non fosse nato Gesù, saremmo tutti dei disperati. Ma Lui è venuto fra noi.

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amicizia, gesù, benedettoxvi, betocchi

martedì, 28 novembre 2006
L’amicizia nasce da
 un segreto partecipato

"Il fatto che ci siano fratelli, per quanto amati, non elimina la necessità dell'amico.  Per vivere tra i fratelli bisogna avere un amico, anche lontano".
 Così ha scritto il grande teologo russo P. Florenskij, morto martire nel lager sovietico delle isole Solovki.
"Amico" è la parola più importante che  un uomo possa dire a un altro  uomo, l'appellativo più profondo, più ricco, più segreto.
Le parole "padre", "fratello", "figlio" potrebbero indicare anche soltanto un rapporto biologico. Esso con difficoltà diventa un legame di vera e profonda compagnia nell'esistenza. Gli esempi però non mancano e sono anche attorno a noi: rapporti determinati dalla generazione naturale, segnati dalla grazia, diventano amicizia e così moltiplicano quella possibilità di aiuto e di vicinanza che è già inscritta in ogni nesso determinato dalla natura.
AI termine dei tre densissimi anni passati con loro, Gesù dice improvvisamente agli apostoli: "Vi chiamo amici perché vi ho detto tutto" (cfr. Gv. 15,15).

Il fondamento dell'amicizia è un segreto partecipato Un rapporto vero di amicizia non può durare se si fonda soltanto su un interesse particolare.
C'è sempre un segreto divino fra gli amici, come già aveva intuito Cicerone che definiva l'amicizia una comunanza di cose umane e divine; c'è sempre un destino verso cui si corre assieme, un'avventura totale che. appassiona e accende ogni giorno della vita.

L'amicizia è una grazia. Non nasce da un calcolo, accade d'improvviso, come gli amori più veri. Ma mentre gli amori necessitano dell'attrattiva corporea, l'amicizia ne prescinde, non perché essa sia angelicata, ma perché ha un altro scopo stabilito da Dio, quello di essere una grazia che sostiene ogni realtà istituzionale della vita, accompagna la vocazione alla famiglia come ogni altro tipo di vocazione.

 L'amicizia per natura è disinteressata, o meglio ha un unico interesse:
il bene e la felicità dell'altro. Siccome nessuno, di noi è un angelo, anche le amicizie più profonde sono attraversate dalle delusioni e dalle crisi di ogni evento umano. Se il loro fondamento è .autentico, rinascono continuamente e sono rafforzate dalle difficoltà.

 "Vi ho chiamato amici perché vi ho detto tutto". Che cosa è questo "tutto" che Gesù ha   detto ai suoi, che ha portato loro? La sua comunione con il Padre.

Per questo la forma più alta di amicizia che l'uomo possa vivere sulla terra è la comunione cristiana, quando diventa forma della vita quotidiana. Il monastero è  nato per questo. Per questo sono nate tante comunità. Ma anche una famiglia può esserlo, oppure un gruppo di persone unite dalla stessa vocazione, un gruppo di ragazzi che corrono con le motociclette verso la vita che li attende.

Postato da: giacabi a 19:57 | link | commenti (2)
amicizia

domenica, 13 agosto 2006
La Compagnia

Appunti da una conversazione di Luigi Giussani con un gruppo di universitari.



Luigi Giussani
:: Fonte
L. G.: «Compagnia» vuol dire essere insieme per qualcosa; essere insieme senza il «per qualcosa» scoccia, perfino scoccia, soffoca. Compagnia è uguale a essere insieme per qualcosa. La dignità della compagnia è definita dalla dignità del «qualcosa». Essere insieme per mangiare le acciughe è un conto, è un certo valore, ma essere insieme per studiare Dante o per capire i misteri, in cui l'uomo ha incominciato ad introdursi, dell'evoluzione dell'universo è diverso. Compagnia è essere insieme per qualcosa che si chiama «scopo». Una compagnia senza scopo non esiste. «Popolo» è una compagnia che ha come scopo il portare il proprio contributo alla immagine della storia. Compagnia è essere insieme avendo come scopo quello di dare il proprio contributo allo sviluppo dell'umanità che si chiama «storia». Sviluppo e in senso quantitativo (perciò, ecco la compagnia dell'uomo e della donna) e in senso sociale, come comprensione sostenuta, motivata e ricercata insieme (ecco la cultura), o come l'essere insieme per affrontare la storia con maggior forza, dal punto di vista di una maggior forza, di una maggior sicurezza, di maggior egemonia (questo può chiamarsi Stato, alleanza fra Stati, o può chiamarsi Impero)……….

Non c'è vera compagnia se non è filtrata dalla volontà di una ricerca del vero, cioè della realtà in quanto desiderabile e ultimamente aperta alle esigenze del cuore così come esse sono reclamate dal concetto di ragione che la nostra comunità, dal punto di vista culturale, ha sempre espresso. Non è compagnia, se non chiarisce qual è lo scopo di essa. Il mettersi insieme di ragazzo e ragazza senza immediatamente darsi come compito quello di chiarirsi che senso ha questo nesso è buttare la propria grandezza dentro la pattumiera dell'istintività pura, dell'istintività malvagia. È il pericolo di contraddirsi subito. Non si è in compagnia, se non è messo in chiaro lo scopo per cui essa è fatta. Che cosa ci tiene insieme? La compagnia per eccellenza è la compagnia dell'uomo come tale, dell'uomo come realtà del mondo, come realtà nella storia, come realtà destinata a qualcosa di oltre, di più grande, sempre più grande. Allora in questo terzo caso si capisce che la compagnia è ciò che ti aiuta a renderti conto di questo Altro, di questo più grande per cui sei fatto, a dilatare i termini del tuo animo, a riempire di risposta sempre più adeguata la sete del tuo cuore………………..
 
L. G.: La compagnia è l'espressione, ma anche la condizione con cui, per natura, l'uomo sta sulla strada che ha iniziato - sulla ricerca che è incominciata, nell'affezione in cui ha già tentato di creare qualche cosa, di comunicare -. La compagnia è lo strumento per cui l'uomo è «tenuto su». Anche quando scivola, anche quando diventasse debole per una malattia, è aiutato a tenersi: lo trascinano dietro, la compagnia lo trascina dietro anche quando lui non ha più nessuna forza. Innanzitutto la compagnia è lo strumento per rendere continuo il «sì». Quindi, questo «sì», permane restando fedeli, rimanendo dentro la compagnia, anche se venisse una nube in cui non si vede più niente. Chi, per una nube inoltratasi sui suoi passi, ha abbandonato la compagnia, può non ritrovarla più, ma può non ritrovare più neanche l'essenza di quella compagnia, lo scopo. Non si deve mai andar via. La legge della compagnia è semplicissima: se ci sei entrato o eri scemo oppure era giusto, in qualche modo era giusto, corrispondeva a quel che eri. Se hai trovato una compagnia di cui puoi dir così, o hai potuto dir così una volta, stacci. Ti giuro che la tua vita sarà sempre ripresa, non si perderà mai più, non si smarrirà mai più. Perciò è la fedeltà alla compagnia lo strumento per dir di «sì» alla compagnia……….

E perciò, paradossalmente, è vera compagnia quella con colui con il quale mi diviene più grande quello che desideravo prima, cioè mi sento ancora più lontano dallo scopo da raggiungere, mi sento ancora più piccolo di quanto mi sentissi prima. Paradossalmente, mettersi insieme a chi è già più grande di noi, mettersi insieme a un'esperienza più grande della nostra, ci fa sentire più piccoli, più meschini, più timidi, più timorosi, più dubitativi; ma nello stesso tempo è come due braccia che ci stringono e che non ci lasciano più. E per quanto uno si lasci cadere morto, queste due braccia non lo abbandonano di un millimetro, e quando si rianima si trova almeno un chilometro più avanti di prima. Nella compagnia ciò cui si arriva non è pensabile prima. Quando noi diciamo che l'amore vero dell'uomo alla donna è molto più nel momento in cui l'uomo identifica il possesso della donna con qualcosa che non ha mai pensato prima, cioè che c'è un possesso più grande che non il possesso puramente animalesco, istintivistico, diciamo che essere in compagnia significa non lasciarsi fermare di fronte a nessuna negatività, a nessuna negazione, ma anche a nessun sacrificio, a nessuna fatica; e la protensione, la voglia del più grande, del più vero, diventa più importante di qualsiasi altra cosa......

Il «come» è stare nella compagnia. Tu anni fa eri nella nostra compagnia, nella compagnia del Movimento, eri in questa compagnia, poniamo, con esponente 3, adesso sei in questa compagnia con esponenza 33. Prima, quando ti ho conosciuto in principio, eri molto più piccolo di come ti vedo ora, non perché sei cresciuto di sette anni, ma perché sei «cresciuto». Dopo sette anni, tanta gente che ho conosciuto sette anni fa è invece più piccola di prima: non hanno seguito nessuno, non hanno sfruttato la compagnia di nessuno, non si sono immedesimati con niente, perciò sono immersi in risucchi o in polverizzazioni di parole: aspetti rinsecchiti di abbordi mentali di cui si perde il senso originale e da cui, quindi, si è soffocati; e uno non si libera più da questo soffocamento .............
     
La comunità non è qualcosa in più nel nostro vivere, ma qualcosa che si identifica sempre di più col nostro vivere e lo rende sempre più leggero, sempre più pensoso, sempre più chiaro negli intendimenti, amante nel suo contenuto, come capacità affettiva. Quanto più si sta nella compagnia, tanto più essa ci rende capaci di capire e capaci di amare.luigi_giussani_1982_papa_giovanni_paolo_ii_meeting_rimini

Postato da: giacabi a 07:26 | link | commenti

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