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lunedì 24 dicembre 2012

I cristeros

Rino CAMMILLERI 
                        I cristeros                            
                             ***  
                 
tratto da: Rino CAMMILLERI, I Santi militari, Piemme, Casale Monferrato 1992, p. 276s.
Tra il 1915 e il 1929 le condizioni della Chiesa in Messico furono terribili. Una minoranza liberal-massonica sostenuta dagli Stati Uniti aveva preso il potere e inaugurato una politica ferocemente anticlericale. La Costituzione del 1917 (tuttora valida) era dichiaratamente antireligiosa e diversi sacerdoti vennero uccisi in odio alla fede (la Chiesa ha dichiarato recentemente il primo Beato della persecuzione, il gesuita padre Humberto Pro). Ancora oggi in Messico è vietato l'abito ecclesiatico in pubblico e il Papa è stato accolto come "signor Woytila".
Il governo, sulla scia della rivoluzione sovietica, aveva avviato il «socialismo» nelle campagne e svenduto le poche industrie del Paese agli americani. Il cattolicesimo era fuorilegge e bande di desfanatizadores percorrevano il territorio per assicurarsi che gli ordini fossero eseguiti. Chiese profanate, ateismo insegnato obbligatoriamente a scuola, gente fucilata perché trovata con la medaglietta della Madonna di Guadalupe addosso.
Dapprima i cattolici si organizzarono in associazioni che boicottavano tutti i prodotti dello Stato, smettendo perfino di prendere il treno e di fumare. Queste misure, tuttavia, provocarono l'appoggio degli americani, lesi nei loro interessi economici, ai federali. Il presidente Plutarco Elias Calles (fondatore del Partito Rivoluzionario Istituzionale, ancora oggi al potere) rispose con una recrudescenza da persecuzioni.
Pio XI nel 1926 protestò fermamente con l'enciclica "Iniquis afflictisque" e i vescovi del Messico decisero di sospendere il culto pubblico. Ma quindici milioni di messicani si precipitarono a tenere le chiese aperte, in lunghissime code ai santuari, sfidando i governativi alla luce del sole.
Dopo una nuova ondata di fucilazioni il popolo insorse. Armati di machete, di vecchi fucili da caccia e soprattutto di armi prese al nemico, i Cristeros al canto del "Christus vincit" si batterono per quattro anni contro l'esercito regolare, che andava all'assalto spiegando un vessillo nero con teschio e tibie, urlando "Viva el demonio!", e riuscirono in breve tempo a controllare quasi tutto il Paese.
I governativi incendiavano i villaggi, violentavano le donne (specialmente quelle giovanissime delle Brigate Femminili Santa Giovanna D'Arco, che assicuravano i servizi logistici agli insorti), torturavano e impiccavano bambini, fucilavano gli ostaggi davanti ai familiari obbligati ad assistere, dopo aver tagliato loro la lingua per impedire che gridassero "Viva Cristo Rey!".
I ribelli, tutti del popolo (i ceti superiori rifiutarono perfino di contribuire finanziariamente), combattevano con le armi che riuscivano a prendere, non imponevano alcuna requisizione e liberavano tutti i prigionieri.

Nel 1929, con la mediazione degli USA, la Chiesa stipulò un modus vivendi col Messico e i Cristeros, all'ordine di Roma, si arresero. Era stata una vera epopea: banditi da strada si convertivano e si univano agli insorti, imitati da decine di migliaia di disertori dell'esercito; un generale massone passò con i Cristeros e ne divenne comandante in capo, finendo ucciso a soli trentadue anni. Cristeros era un insulto, ma il nome fu adottato con orgoglio da quegli umili campesinos che andavano a morire sotto la bandiera che recava il Sacro Cuore e la Vergine di Guadalupe.
I patti non vennero rispettati dal governo, che si diede subito a feroci rappresaglie: cadaveri di preti crocifissi e di suore violentate si vedevano un po' dovunque, tutti i combattenti arresisi furono passati per le armi e la vendetta durò ancora per anni.
Roma aveva chiesto l'amnistia e i vescovi locali avevano minacciato di scomunica chi non avesse deposto le armi. Ma l'amnistia non venne mai e perfino quelli che erano riusciti a fuggire in America furono riconsegnati ai federali e fucilati. Ancora una volta il papa protestò vanamente. Non gli rimase che ripetere la concessione ai caduti dell'indulgenza plenaria in "articulo mortis", come già aveva fatto nel 1927.

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