il figlio non può essere “aspettato”,
ma deve essere “voluto”.
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È convinzione di molti ormai che il figlio non può essere semplicemente “aspettato”, ma deve essere “voluto”. Certamente dietro a questo cambiamento di prospettiva ci può essere quell’attitudine che anche la Chiesa raccomanda quando parla di procreazione responsabile. Ma normalmente ormai non è di questo che si tratta. E il rapporto del genitore col figlio “voluto” è profondamente diverso dal rapporto col figlio “venuto” [desumo questo vocabolario assai felice da A. Polito, Contro i papà, Rizzoli, Milano 2012].La diversità consiste nel fatto che il figlio “voluto” rischia di essere considerato non come qualcuno, ma come qualcosa di cui ormai ho bisogno per il mio benessere psicologico. Il passaggio poi alla visione coerente del figlio come “proprietà” è, in questa logica, un rischio assai reale. Esattamente il contrario di quanto ci dice oggi la parola di Dio.
La conseguenza più grave di questo profondo cambiamento culturale nel rapporto genitori-figlio è che la coppia si attribuisce l’autorità di dare un giudizio sul diritto o non all’esistenza del figlio concepito, ma non voluto. Si è così legittimata anche la soppressione del medesimo, sulla base dell’ideologia “a favore della scelta” [pro-choice].
Ma nello stesso tempo – e si tratta solo di una contraddizione apparente con ciò che ho appena detto – se il rapporto giusto è solo col figlio “voluto”; se egli diventa qualcosa di necessario per la propria felicità, viene logicamente legittimata ogni tecnica che possa produrre il figlio voluto. E il prodotto è a disposizione del produttore.
Carlo Caffarra nell’omelia della Messa celebrata in occasione della Festa della Sacra Famiglia a Bologna. 2012
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