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domenica 23 dicembre 2012

Parla un testimone del martirio di José Sánchez del Río

Parla un testimone del martirio di José Sánchez del Río

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Intervista con padre Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo e del movimento “Regnum Christi”

ROMA, domenica, 20 novembre 2005 (ZENIT.org).- Tra i testimoni del martirio di José Sánchez del Río, un ragazzo messicano di quattordici anni beatificato questa domenica a Guadalajara, c’era Marcial Maciel, un bambino che non aveva ancora compiuto otto anni e che in seguito sarebbe diventato fondatore della congregazione dei Legionari di Cristo e del movimento “Regnum Christi”.

La Legione di Cristo ha circa 650 sacerdoti e 2.500 seminaristi, mentre il movimento di apostolato “Regnum Christi” è composto da circa 65.000 membri, secolari – uomini e donne –, diaconi e sacerdoti, presenti in tutti i continenti.

In questa intervista concessa a ZENIT, padre Maciel, che ha 85 anni, ricorda il martirio del suo amico.

Lei è stato testimone del martirio di José Sánchez del Río in Messico. Dopo quasi ottant’anni cosa ricorda di quei momenti? Come aveva conosciuto José Sánchez?

Padre Maciel: José Luis – come lo chiamavamo noi suoi amici – era di Sahuayo, Michoacán, un villaggio non lontano da Cotija, il mio paese natale. La mia nonna materna, Maura Guízar Valencia, abitava lì e andavamo spesso a trovarla. Io ero più piccolo di sei anni rispetto a José Luis. Gli piaceva organizzare giochi per i bambini, ci parlava di Gesù, ricordo che mi portava a visitare il Santissimo, era molto buono.

Quando iniziò la persecuzione religiosa volle unirsi ai cristeros per difendere la fede; chiese varie volte il permesso finché alla fine venne ammesso. Nel febbraio 1928 – io avevo sette anni, quasi otto – mi trovavo a Sahuayo quando sapemmo che José Luis era stato arrestato e che lo avevano rinchiuso nel battistero della parrocchia.

Una finestra dava sulla strada e da lì lo sentivamo cantare “Al Cielo, al Cielo, al Cielo voglio andare”, mentre aspettava la sentenza. I federali stavano usando la parrocchia come carcere e anche come recinto per gli animali. Rafael Picazo, che comandava il villaggio di Sahuayo, poneva come condizione per la sua liberazione che rinnegasse la sua fede davanti a lui e ai suoi soldati.

Lo sapevamo ed eravamo molto preoccupati, in uno stato di emozione e tristezza tremendo. Noi suoi amici ci riunivamo per pregare per lui. Piangevamo molto, chiedendo alla Santissima Vergine che non lo uccidessero, ma allo stesso tempo che non rinnegasse la sua fede. José Luis, del resto, non voleva saperne.

Dopo due giorni, di pomeriggio, sapemmo che lo avevano portato al mesón del Refugio . Quella sera gli spellarono le piante dei piedi e lo obbligarono a camminare scalzo fino al cimitero, che si trovava a vari isolati di distanza. Noi – pochi parenti, amici, conoscenti del villaggio – lo seguivamo da lontano. Ricordo le macchie di sangue che lasciava al suo passaggio; procedeva con le mani legate dietro la schiena e ricordo i federali che lo spingevano, insultandolo e ordinandogli di smettere di gridare “Via Cristo Re!”. La sua risposta era sempre il grido “Viva Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!”. A noi hanno permesso di arrivare solo fino alle mura del cimitero. Lo hanno portato vicino alla fossa. Dicono che lo hanno pugnalato varie volte e che continuavano a ordinargli di abiurare la fede, ma rispondeva “Viva Cristo Re e Santa Maria di Guadalupe!”. Suo padre non era con noi, non era presente. Gli hanno chiesto sbeffeggiandolo “Che mandi a dire a tuo padre?”, e lui ha risposto “Che ci vedremo in cielo”.

Alla fine gli hanno sparato alla tempia. Ho sentito lo sparo che ha posto fine alla sua vita. Si può immaginare l’impressione profonda che questo fatto ha lasciato in noi, soprattutto nei bambini. Ho un ricordo molto bello, affettuoso, di questo mio amico che ha dato la propria vita per Cristo, per me è stato sempre una testimonianza di ciò che significa l’autentico amore per Gesù. Lo ricordo anche con nostalgia, perché io dicevo a Nostro Signore: “Perché hai scelto lui come martire e non me?”.

Come ha influito quella testimonianza di martirio sulla sua vita personale e sull’opera alla quale avrebbe poi dato vita, la fondazione della Legione di Cristo e del “Regnum Christi”?

Padre Maciel: Il martirio di José Luis ha lasciato una traccia profonda, incancellabile dentro di me: la sua morte ha contribuito a seminare in me la certezza che la fede vale più della vita stessa, mi parlava del valore eterno di una vita totalmente dedicata all’amore per Cristo, ha seminato in me un anelito all’eternità… ma non solo José Luis.

Nel mio villaggio di Cotija, durante la guerra cristera, vedevamo spesso gli impiccati nella piazza e assistevamo alle fucilazioni di cristeros che erano morti gridando “Viva Cristo Re!”. Lasciavano forse una famiglia, dei figli, una madre – quante incoraggiavano i loro figli a non rinnegare la loro fede!

Ho assistito al martirio di Antonio Ibarra, un musicista del mio villaggio, di Leonardo e di vari altri; ho ancora scolpiti nella mente alcuni di quei volti e di quelle scene, soprattutto quella in cui hanno tirato giù Antonio dalla forca e lo hanno deposto tra le braccia della madre, Isabel Ibarra. Nei villaggi del Messico sono state martirizzate persone di ogni tipo: bambini, giovani e adulti, uomini e donne, ricchi e poveri, sacerdoti e fedeli laici.

Credo che questa testimonianza del martirio di tanti cristiani, che hanno preferito versare il proprio sangue anziché tradire Gesù Cristo, abbia influito molto sulla mia vita e sulla mia missione di fondatore, perché era una testimonianza che, per così dire, faceva rivivere la fede eroica dei primi cristiani.

Questa testimonianza mi ha aiutato a capire che la vita cristiana, per essere coerente, deve essere pienamente impegnata con Gesù. Un cristianesimo a metà, di compromesso, che “accende una candela a Dio e un’altra al diavolo” (come dice il proverbio popolare), non è cristianesimo.

A me sarebbe piaciuto dare la vita, come ha fatto José Luis Sánchez del Río, come hanno fatto le centinaia e migliaia di martiri cristeros, ma ho capito che a me Dio chiedeva un altro tipo di martirio, quello di vivere il Vangelo fino alle ultime conseguenze; ed è questo, in fin dei conti, che sta dietro alla fondazione della Legione di Cristo e del Movimento “Regnum Christi”: aiutare a far sì che anche altri uomini si impegnino a conoscere, vivere e trasmettere l’amore di Gesù Cristo.

Quando è arrivato il momento di scegliere un nome per la congregazione che lo Spirito Santo mi ha ispirato a fondare, ho vagliato vari nomi, e il ricordo della testimonianza dei cristeros è stato un elemento che mi ha aiutato a capire che il nome che avrebbe potuto indicare meglio la nostra missione era quello di Legionari di Cristo: uomini che lottano per il Regno di Cristo senza riservare nulla per sé, disposti a donare la propria vita.

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