José Sánchez del Río
aveva solo 14 anni quando fu martirizzato
***
tratto da: Zenit.org-El Observador, 20.11.2005.
Questa domenica, festa di Cristo Re, sono stati beatificati 13 martiri messicani della persecuzione religiosa (1926-1929), conosciuta anche come "guerra cristera", tra i quali spicca il giovanissimo martire José Sánchez del Río, assassinato per odio alla fede all'età di 14 anni.
Nato il 28 marzo 1913 a Sahuayo, Michoacán, José era il terzo dei quattro figli di Macario Sánchez Sánchez e María del Río.
Quando scoppiò "la Cristiada", i suoi due fratelli maggiori, Macario e Miguel, si schierarono in difesa della libertà religiosa nella regione di Sahuayo, mentre José non fu ammesso per la sua giovane età.
Durante un pellegrinaggio compiuto da José sulla tomba di Anacleto González, anch'egli beatificato questa domenica, chiese per sua intercessione la grazia del martirio. In seguito continuò a cercare di schierarsi con le forze "cristeras". Sua madre si opponeva, ma José le rispose: "Mamma, mai come ora è facile guadagnarsi il Cielo".
Si recò a Cotija - nel suo Stato natale - per incontrare il generale "cristero" Prudencio Mendoza. Gli disse che se non aveva abbastanza forza per caricare il fucile poteva comunque aiutare i soldati a prepararsi, lubrificare le armi, preparare i pasti e prendersi cura dei cavalli. Il generale lo accettò.
Oltre a servire la truppa, José ne divenne presto il trombettiere e portabandiera. In seguito, poiché il Governo perseguitava i familiari dei "cristeros", al fine di proteggere la sua famiglia che era conosciuta e benestante, fece sì che tutti i suoi compagni lo chiamassero José Luis.
In uno scontro con i federali, il 6 febbraio 1928, fu quasi arrestato il generale Guízar Morfín, al quale uccisero il cavallo; José, però, scese dal suo e glielo offrì dicendo: "Mio generale, prenda lei il mio cavallo e si salvi; lei è più necessario e serve di più alla causa di me". Il generale riuscì a fuggire, ma i federali arrestarono José e lo portarono nel carcere di Cotija, dove scrisse a sua madre, che in qualche modo riuscì a ricevere la lettera.
Il giorno dopo, il 7 febbraio, fu trasferito a Sahuayo e messo a disposizione del deputato federale Rafael Picazo Sánchez, che gli assegnò come carcere la parrocchia.
Picazo gli presentò varie possibilità di mettersi in salvo: gli offrì del denaro perché se ne andasse all'estero, e poi propose di mandarlo al Collegio Militare. José rifiutò senza esitazioni.
Picazo sapeva che i Sánchez del Río erano benestanti perché era stato loro vicino, per cui chiese loro cinquemila pesos in oro per riscattare José. Macario Sánchez cercò subito di racimolare la somma, ma quando José lo seppe chiese alla famiglia di non pagare il riscatto perché aveva già offerto la propria vita a Dio.
Quella prima notte di prigione nella parrocchia vide come il tempio veniva profanato: i soldati si macchiavano di peccati di ogni sorta, la chiesa fungeva da stalla per il cavallo di Picazo e il presbiterio era il recinto per i suoi galli da combattimento. José riuscì a liberarsi, uccise i galli, accecò il cavallo e tornò nel suo cantuccio.
Il giorno successivo Picazo affrontò José, che gli rispose: "La casa di Dio è un luogo in cui venire a pregare, non un rifugio di animali". Dopo essere stato minacciato, José rispose: "Sono disposto a tutto. Mi fucili, perché io sia subito davanti a Nostro Signore e gli chieda di confonderla!". Di fronte a questa risposta, uno degli aiutanti colpì José alla bocca rompendogli i denti.
Venerdì 10 febbraio venne trasferito al Mesón del Refugio, dove gli annunciarono che sarebbe stato ucciso. Scrisse a sua zia Magdalena perché gli portasse il Viatico. Alle undici di sera gli spellarono i piedi con un coltello, lo portarono via e lo costrinsero a camminare fino al cimitero. I vicini lo sentivano gridare lungo la strada "Viva Cristo Re!".
Una volta nel cimitero, il capo della scorta ordinò di pugnalarlo. Ad ogni ferita José continuava a gridare "Viva Cristo Re!". Per crudeltà gli chiesero se voleva inviare un messaggio a suo padre. José rispose: "Ci vedremo in Cielo! Viva Cristo Re! Viva Santa Maria di Guadalupe!". Per farlo tacere, il capo tirò fuori la pistola e gli sparò in testa. José cadde in una pozza di sangue. Erano le undici e mezza di sera di venerdì 10 febbraio 1928.
Una delle testimonianze del martirio è la lettera che José inviò a sua madre il 6 febbraio, in cui scrisse: "Mia cara mamma: oggi sono stato fatto prigioniero in combattimento. Credo che morirò, ma non importa, mamma. Rassegnati alla volontà di Dio; muoio molto contento perché muoio al fianco di Nostro Signore. Non ti affliggere per la mia morte, che è ciò che mi mortifica. Dì ai miei fratelli di seguire l'esempio del più piccolo, e tu fai la volontà del nostro Dio. Sii forte e mandami la tua benedizione insieme a quella di mio padre. Salutami tutti per l'ultima volta e ricevi il cuore di tuo figlio che ti vuole tanto bene e desiderava vederti prima di morire".
tratto da: Zenit.org-El Observador, 20.11.2005.
Questa domenica, festa di Cristo Re, sono stati beatificati 13 martiri messicani della persecuzione religiosa (1926-1929), conosciuta anche come "guerra cristera", tra i quali spicca il giovanissimo martire José Sánchez del Río, assassinato per odio alla fede all'età di 14 anni.
Nato il 28 marzo 1913 a Sahuayo, Michoacán, José era il terzo dei quattro figli di Macario Sánchez Sánchez e María del Río.
Quando scoppiò "la Cristiada", i suoi due fratelli maggiori, Macario e Miguel, si schierarono in difesa della libertà religiosa nella regione di Sahuayo, mentre José non fu ammesso per la sua giovane età.
Durante un pellegrinaggio compiuto da José sulla tomba di Anacleto González, anch'egli beatificato questa domenica, chiese per sua intercessione la grazia del martirio. In seguito continuò a cercare di schierarsi con le forze "cristeras". Sua madre si opponeva, ma José le rispose: "Mamma, mai come ora è facile guadagnarsi il Cielo".
Si recò a Cotija - nel suo Stato natale - per incontrare il generale "cristero" Prudencio Mendoza. Gli disse che se non aveva abbastanza forza per caricare il fucile poteva comunque aiutare i soldati a prepararsi, lubrificare le armi, preparare i pasti e prendersi cura dei cavalli. Il generale lo accettò.
Oltre a servire la truppa, José ne divenne presto il trombettiere e portabandiera. In seguito, poiché il Governo perseguitava i familiari dei "cristeros", al fine di proteggere la sua famiglia che era conosciuta e benestante, fece sì che tutti i suoi compagni lo chiamassero José Luis.
In uno scontro con i federali, il 6 febbraio 1928, fu quasi arrestato il generale Guízar Morfín, al quale uccisero il cavallo; José, però, scese dal suo e glielo offrì dicendo: "Mio generale, prenda lei il mio cavallo e si salvi; lei è più necessario e serve di più alla causa di me". Il generale riuscì a fuggire, ma i federali arrestarono José e lo portarono nel carcere di Cotija, dove scrisse a sua madre, che in qualche modo riuscì a ricevere la lettera.
Il giorno dopo, il 7 febbraio, fu trasferito a Sahuayo e messo a disposizione del deputato federale Rafael Picazo Sánchez, che gli assegnò come carcere la parrocchia.
Picazo gli presentò varie possibilità di mettersi in salvo: gli offrì del denaro perché se ne andasse all'estero, e poi propose di mandarlo al Collegio Militare. José rifiutò senza esitazioni.
Picazo sapeva che i Sánchez del Río erano benestanti perché era stato loro vicino, per cui chiese loro cinquemila pesos in oro per riscattare José. Macario Sánchez cercò subito di racimolare la somma, ma quando José lo seppe chiese alla famiglia di non pagare il riscatto perché aveva già offerto la propria vita a Dio.
Quella prima notte di prigione nella parrocchia vide come il tempio veniva profanato: i soldati si macchiavano di peccati di ogni sorta, la chiesa fungeva da stalla per il cavallo di Picazo e il presbiterio era il recinto per i suoi galli da combattimento. José riuscì a liberarsi, uccise i galli, accecò il cavallo e tornò nel suo cantuccio.
Il giorno successivo Picazo affrontò José, che gli rispose: "La casa di Dio è un luogo in cui venire a pregare, non un rifugio di animali". Dopo essere stato minacciato, José rispose: "Sono disposto a tutto. Mi fucili, perché io sia subito davanti a Nostro Signore e gli chieda di confonderla!". Di fronte a questa risposta, uno degli aiutanti colpì José alla bocca rompendogli i denti.
Venerdì 10 febbraio venne trasferito al Mesón del Refugio, dove gli annunciarono che sarebbe stato ucciso. Scrisse a sua zia Magdalena perché gli portasse il Viatico. Alle undici di sera gli spellarono i piedi con un coltello, lo portarono via e lo costrinsero a camminare fino al cimitero. I vicini lo sentivano gridare lungo la strada "Viva Cristo Re!".
Una volta nel cimitero, il capo della scorta ordinò di pugnalarlo. Ad ogni ferita José continuava a gridare "Viva Cristo Re!". Per crudeltà gli chiesero se voleva inviare un messaggio a suo padre. José rispose: "Ci vedremo in Cielo! Viva Cristo Re! Viva Santa Maria di Guadalupe!". Per farlo tacere, il capo tirò fuori la pistola e gli sparò in testa. José cadde in una pozza di sangue. Erano le undici e mezza di sera di venerdì 10 febbraio 1928.
Una delle testimonianze del martirio è la lettera che José inviò a sua madre il 6 febbraio, in cui scrisse: "Mia cara mamma: oggi sono stato fatto prigioniero in combattimento. Credo che morirò, ma non importa, mamma. Rassegnati alla volontà di Dio; muoio molto contento perché muoio al fianco di Nostro Signore. Non ti affliggere per la mia morte, che è ciò che mi mortifica. Dì ai miei fratelli di seguire l'esempio del più piccolo, e tu fai la volontà del nostro Dio. Sii forte e mandami la tua benedizione insieme a quella di mio padre. Salutami tutti per l'ultima volta e ricevi il cuore di tuo figlio che ti vuole tanto bene e desiderava vederti prima di morire".
Nessun commento:
Posta un commento