La fede del gatto
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Sono sempre in ritardo, ahimè, è dal 18 settembre 2010 che conservo in borsetta il bellissimo articolo di Edoardo Rialti, da Il Foglio, su “L’anglicano scomodo. Storia di C. S. Lewis, lo scrittore convertito che piace a B-XVI e imbarazza gli inglesi”.
Vi metto in evidenza due passaggi intensi: il primo sull’esperienza e il secondo è un aneddoto gustoso.
Scrive il Rialti: “Lewis
sapeva che la maggior parte delle persone dell’occidente moderno si
immaginano Dio in fondo come “il tipo di persona che sta sempre a spiare
se uno se la spassa, e poi cerca di impedirglielo”. Era altrettanto, se
non più, sicuro che si fosse veramente cristiani in virtù e non
nonostante i propri desideri più profondi (…) (Dio) non ha mai avuto
paura di puntare tutto sui “più profondi desideri e impulsi” dell’uomo,
giacchè sono proprio questi a condurci a Dio. (…) “Quello che mi piace
dell’esperienza è che si tratta di una cosa così onesta. Potete fare un
mucchio di svolte sbagliate; ma tenete gli occhi aperti e non vi sarà
permesso di spingervi troppo lontano prima che appaia il cartello
giusto. Potete aver ingannato voi stessi, ma l’esperienza non sta
ingannando voi. L’universo risponde il vero quando lo interrogate
onestamente”. (…) “La caratteristica dei dolori e
dei piaceri è che non ci si può ingannare sulla realtà, e perciò, in
quanto esistono, offrono all’uomo che li prova una pietra di paragone
della realtà”. (…) L’uomo secondo Lewis non
deve fare altro che guardare bene a ciò che desidera, perché è questo a
identificare la propria identità ultima e irriducibile, il suo volto,
senza il quale non è possibile scoprire nessuna risposta adeguata”.
Non
sorprende che “proprio i figli spirituali più celebri del grande
apologeta, i suoi eredi artistici e filosofici, siano in maggioranza
diventati cattolici, riconoscendo di aver semplicemente portato alle
estreme conseguenze quanto era già implicitamente presente nel pensiero e
nello sguardo del loro “maestro ed autore”.
Come ad esempio: “Walter Hooper,
segretario di Lewis e curatore della sua opera omnia, la persona che è
riuscita a mettere a disposizione del mondo le migliaia di lettere di
chi, pur così gravato da mille responsabilità, ha sempre risposto a
chiunque gli abbia scritto, fosse il più illustre dei colleghi o il più
piccolo dei bambini. E proprio un aneddoto raccontato di persona da
Walter Hooper a chi scrive è forse in grado di descrivere perché tutti
costoro, e molti altri, sotto l’influenza di Lewis, abbiano “varcato il
Tevere”, come si usa dire. “Se Lewis fosse qui, oggi su questa terra,
sarebbe certamente cattolico”, mi disse. “Per me il punto di svolta fu
una domenica di Pasqua, anni dopo la sua morte. Mi recai in cattedrale, e
un vescovo anglicano – mantenne questa vaghezza per carità, credo, nda –
iniziò l’omelia dicendo: ‘Cari fratelli, stamattina parlavo col mio
gatto, e gli domandavo: ma tu, o gatto, sei davvero sicuro che Gesù sia
risorto?’. Me ne andai via disgustato; a casa accesi il televisore e
vidi a Roma un uomo vestito di bianco esclamare a gran voce ‘Cristo è
davvero risorto!’. Dove mai sarei potuto andare?”.