Pasolini, ribelle all’edonismo di massa
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Domenica, 9 Ottobre 2011 L’8 luglio 1974, l’anno prima della sua morte per molti aspetti ancora oscura, Pier Paolo Pasolini scrive una «lettera aperta a Italo Calvino» in cui l’intellettuale si difende dall’accusa di rimpiangere «l’Italietta» «piccolo borghese, provinciale, ai margini della storia». Così si esprime: «Allora tu non hai letto un solo verso delle Ceneri di Gramsci o di Calderòn, non hai letto una sola riga dei miei romanzi, non hai visto una sola inquadratura dei miei films, non sai niente di me!». L’Italietta, afferma Pasolini, è proprio quella che lo ha arrestato, processato, linciato per vent’anni. Pasolini, invece, rimpiange il «mondo contadino prenazionale e preindustriale», che viveva «l’età del pane», era «consumatore di beni estremamente necessari». Ormai, invece, c’è un unico modello culturale a cui ci si conforma «prima di tutto nel vissuto, nell’esistenziale». Pier Paolo Pasolini (1922-1975) è una delle intelligenze più vive, degli intellettuali più acuti del Novecento, dotato di una versatilità tale da potersi distinguere nel campo della poesia, del cinema, della narrativa, del giornalismo. Accusato di corruzione di minorenni e di atti osceni in luogo pubblico, nel 1949 viene espulso dal PCI di Udine e per anni fatica a trovare lavoro. Pochi anni più tardi (1955), il romanzo Ragazzi di vita susciterà lo scandalo, le accuse e finanche il processo per il tema scabroso trattato. Pasolini sarà prosciolto con formula piena. In suo favore interverranno le testimonianze di figure quali Carlo Bo e Ungaretti. Sterminate saranno nei due decenni successivi le produzioni poetiche (La meglio gioventù, Le ceneri di Gramsci, Trasumanar e organizzar, …), narrative (Ragazzi di vita, Una vita violenta, …), saggistiche (Passione e ideologia, Scritti corsari, Lettere luterane, …), teatrali (Calderòn, …) e cinematografiche (Accattone, Mamma Roma, Il vangelo secondo Matteo, Il Decameron, …). Il 2 novembre 1975 Pasolini viene trovato ucciso all’idroscalo di Ostia. Nella raccolta poetica Le ceneri di Gramsci (1954), Pasolini, quasi solo all’epoca nella sterminata nomenclatura di intellettuali comunisti, pur palesando il suo sconfinato amore per il popolo, muove severi giudizi nei confronti del marxismo, considerato ormai in piena crisi. Alcuni anni più tardi, nel 1968, Pasolini critica con accesi toni i sessantottini, accusati di essere «figli di papà», di combattere una guerra civile contro la borghesia, proprio loro che provengono dal seno della borghesia, che disprezzano la cultura, che aspirano al potere e che sono finti rivoluzionari. Nel 1975 Pasolini si schiera apertamente contro l’aborto. Scrive il 19 gennaio: «Sono […] traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni e nel comportamento quotidiano […] io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Perché io considero non reali i principi su cui i radicali e i progressisti (confomisticamente) fondano la loro lotta per la legalizzazione dell’aborto?». Perché «l’aborto legalizzato è un’enorme comodità per la maggioranza della gente. […] Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore […]. Risultato di una libertà sessuale regalata è una vera e propria generale nevrosi. La facilità ha creato l’ossessione». Pasolini scriverà, e qui erroneamente, che la diffusione delle forme anticoncezionali avrebbe limitato l’aborto. I fatti avrebbero dimostrato l’inconsistenza di tale tesi. Poco dopo la sua morte, viene pubblicato il saggio Scritti corsari, che raccoglie articoli che Pasolini ha pubblicato tra il 1973 e il 1975 prevalentemente su Il Corriere della Sera. Vi compaiono giudizi particolarmente arguti sull’età contemporanea e sul cambiamento della cultura nei secoli. In un articolo («Gli uomini colti e la cultura popolare») Pasolini riflette sul mutamento dalla cultura passata a quella moderna. In particolare si sofferma sul fatto che la cultura popolare è sempre stata «fissa e immutabile», testimone di un retaggio valoriale immutabile nel tempo. Così, con il passare dei secoli, se la cultura popolare contadina (ovvero quella della maggior parte della popolazione) ha conservato ancora tutta intatta il senso della tradizione e la forte religiosità, quella intellettuale è, invece, diventata sempre più laica e profana. La scissione che si è verificata tra cultura del popolo e quella degli intellettuali, divenuta espressione di tutta la modernità, si è sanata nel novecento solo attraverso gli strumenti di potere (i mezzi massmediatici, televisione, quotidiani, scuola, …). Questi strumenti saranno interpreti della scristianizzazione anche della cultura popolare. In un articolo pubblicato su Il Corriere della sera il 9 dicembre 1973 con il titolo «Sfida ai dirigenti della televisione» (divenuto poi «Acculturazione e acculturazione» negli Scritti corsari) Pasolini descrive il centralismo odierno del potere che mira a soffocare l’umano e ogni forma di desiderio autentico: «Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica, voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana […]. Il Centro […] ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza». Sono stati imposti nuovi modelli. Il sistema non vuole più solo creare un «uomo che consuma», ma «pretende che non siano concepite altre ideologie che quella del consumo». La religione, afferma Pasolini, è l’unico fenomeno che può essere concorrente e opporsi all’«edonismo di massa». «Come concorrente il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo.[…] Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due Persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina)». Pasolini capisce che un credo forte ovvero una fede vera e vissuta è l’unica possibilità perché non si ceda alla società che insinua falsi bisogni e che riduce la grande domanda che alberga in noi, perché non ci si accontenti e non si giunga ad una borghesizzazione della vita, ad una riduzione dell’umano, ad un perbenismo benpensante in cui non ci si aspetta più nulla dalla vita.g.fighera labussolaquotidiana
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