SULLA NOSTALGIA E LA
SPERANZA
***
“Se quello che i mortali desiderano,
potesse avverarsi, per prima cosa vorrei il ritorno del padre”: è
Telemaco, il figlio di Ulisse a parlare così, nell’Odissea. Egli è una
delle prime figure che nelle grandi narrazioni dell’umanità testimonia
dell’angoscia del figlio senza padre.
Dopo di lui, ne vennero molti altri. Ed
oggi sono legioni.
In una mailing list di uomini, cui
partecipo, é arrivato questo messaggio: “Non so cosa abbiate voi sul
comodino da notte (a parte la radiosveglia e la lampada alogena a bassa
tensione). Io ho delle foto incorniciate: una di mio figlio a 2 anni sul
tappeto elastico al mare, una, piccola piccola, di me e mia moglie
nell'87, felici. L'ultima cosa che ho sul comodino è la foto di mio padre
a 23 anni, in piedi, giovane e bello, che suona la fisarmonica in Belgio,
nel 52, in un bianco e nero splendido, anni 50, sembra quasi Camus
(capelli imbrillantinati pettinati all'indietro), immagine dell'uomo che
io non sarò mai. Ogni sera, allungando il braccio per spegnere la luce,
incontro il suo sguardo sorridente, e ogni sera lo capisco un po' di più.
Perciò, se anche vostro padre non c'è più tenete la sua foto sul comodino,
(è bello pensare che vostro figlio farà lo stesso)".
Questo messaggio parla di un sentimento diffuso: la
nostalgia
dello sguardo paterno. Di un padre che ti guardi, magari anche da lontano,
ma che ti veda, ti sorrida, ogni tanto ti sgridi. Di un padre, anche,
mitizzabile,
come l’emigrato che suona la fisarmonica in Belgio, di un padre di cui si
possa cogliere il gusto per la vita e la fatica, la gioia e il dolore. Di
un padre più
espressivo
dell’impeccabile, politicamente corretto, ma anche rigido, poco emozionato
e emozionante: “uomo dell’organizzazione", col quale si identifica l’uomo
adulto occidentale dei nostri giorni. Ma soprattutto, c'è nostalgia di un
padre più
coraggioso
di lui, del corporate man, dell'uomo di azienda. Più coraggioso negli
affetti, ed in particolare, in quello verso i
figli.
Un padre, insomma che non abbia paura di fare il suo mestiere.
Questo padre però,
come vedremo nel corso di queste pagine,
oggi è assente.
Innanzitutto perché di solito non ha avuto, a sua volta, un padre che gli
insegnasse ad essere tale. Inoltre perché, comunque, la società
secolarizzata
[1]
del divorzio facile, e dell'aborto praticabile senza neppure
interpellarlo, non gli lascia grandi spazi per esprimersi. Anzi, in
genere, questo padre, già insicuro perché nessuno gli ha insegnato come si
fa ad esserlo, viene caldamente pregato, dalla cultura sociale dominante,
di tacere sui sentimenti, e sulle decisioni che contano per i
figli. Parli pure di soldi, organizzi senz'altro un buon livello di
vita per la famiglia, ma per il resto, per cortesia, taccia.
Per tutte queste ragioni, ed altre che cercheremo di spiegare nel corso di
questo libro, il padre è oggi emotivamente assente, spesso addirittura
respinto in una grigia terra di nessuno, da cui non può più guardare,
comunicare coi figli, né loro con lui .
Quest’assenza, tuttavia, è inaccettabile.
La figura del padre è, infatti, costitutiva della creazione, della vita, e
del suo sviluppo. Senza una significativa presenza paterna l’organismo
vitale tende ad indebolirsi, ed a perdere interesse alla stessa esistenza.
Tutto l'umano assume una forma definita, ed acquista il suo dinamismo, nel
segno del padre, che lo genera, così come acquista tranquillità e
sicurezza affettiva nell’esperienza della madre positiva, che lo
accoglie. Ecco perché oggi proviamo, tutti, più o meno consciamente,
nostalgia di questa presenza.
Queste pagine vogliono accompagnarla, questa nostalgia, fornendo nel corso
del testo informazioni e ragioni sul suo perché. L'intenzione è di contribuire ad una speranza: che il padre ritorni.
Claudio Risè
Nessun commento:
Posta un commento