Cina. Cinque anni fa spariva l’avvocato Gao, ex «eroe comunista» arrestato e torturato per aver difeso i cristiani
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febbraio 5, 2014
Leone Grotti
Era un «eroe del partito comunista cinese», considerato tra «i dieci avvocati migliori della Cina», eppure il 4 febbraio del 2009 una dozzina di poliziotti si sono recati a casa sua, l’hanno arrestato e fatto sparire dopo averlo torturato a più riprese. Da allora sono passati cinque anni e di Gao Zhisheng non si hanno quasi più notizie: il regime non gli ha mai perdonato di essersi convertito al cristianesimo e di essersi battuto contro la persecuzione delle minoranze religiose.
DA VERDURAIO A AVVOCATO. Gao è stato per anni un soldato nell’esercito e dopo essersi sposato nel 1990 con Geng He ha cominciato a vendere verdura, che era solito avvolgere in fogli di giornale. Un giorno lesse in uno di quegli articoli che in Cina mancavano gli avvocati: così studiò legge da autodidatta e nel 1995 passò l’esame nazionale.
Divenne presto famoso come uno dei migliori avvocati della Cina ma i suoi guai cominciarono quando si convertì al cristianesimo.
CONVERSIONE AL CRISTIANESIMO. La conversione lo portò a battersi in favore delle minoranze religiose perseguitate dal partito comunista cinese: soprattutto difendeva i cristiani e i membri del Falun Gong. Non si tirava mai indietro e venne presto definito nei circoli legali «impavido e spericolato». Il suo atteggiamento non godeva del favore del regime, che nel 2005 cominciò a far seguire lui, sua moglie e i suoi figli dalla polizia. Gao fu arrestato per la prima volta nell’agosto del 2006 e accusato di «incitare alla sovversione del potere statale». Condannato a tre anni di carcere senza prove, la sua pena venne commutata in cinque anni di libertà vigilata e fu rilasciato. Nel 2007 fu arrestato per la seconda volta e detenuto in un luogo segreto per 50 giorni.
IL RACCONTO DELLE TORTURE. In un documento scritto di suo pugno il 28 novembre 2007 dopo il rilascio, Gao ha raccontato nel dettaglio come è stato torturato in quei 50 giorni: spogliato nudo, pestato a sangue a ripetizione e reso quasi cieco dal fumo di sigarette che gli agenti gli soffiavano per ore sugli occhi, il suo corpo è stato martoriato da scariche elettriche inflittegli con appositi manganelli. «Dimentica di essere un uomo. Tu sei un animale e noi ti uccideremo», gli ripetevano i suoi aguzzini. Dopo decine di giorni di elettroshock, con il manganello a ripetizione infilato nei genitali, Gao ha desiderato e chiesto più volte a Dio di morire per smettere di soffrire. Ma non è morto e gli emissari del partito l’hanno liberato solo dopo averlo costretto a firmare diversi documenti in cui ammetteva colpe ed errori di ogni tipo.
CONDANNA DEFINITIVA. Il 4 febbraio 2009, di fronte alla sua famiglia, è stato prelevato ancora dalla polizia ed è scomparso. Nel 2010, è “riapparso” per dieci giorni, in cui ha potuto parlare con la moglie, poi è scomparso di nuovo. Alla fine del 2011, alla scadenza del termine per la libertà vigilata, una nota dell’agenzia Xinhua ha rivelato che era stato condannato a tre anni di carcere nella prigione di Shaya, nello Xinjang. Mentre la moglie e i figli sono riusciti a scappare negli Stati Uniti dalla persecuzione del regime comunista, il fratello di Gao ha potuto parlargli al telefono una volta e visitarlo un’altra volta in cinque anni, senza potergli domandare nulla sulle condizioni di detenzione.
CINA NEL CONSIGLIO ONU DEI DIRITTI UMANI. Gao Zhisheng è stato candidato due volte (2008 e 2010) per il premio Nobel per la pace. La sua unica colpa è di aver scritto tre lettere ai principali leader del partito comunista per chiedere loro di porre fine alla persecuzione di cristiani e membri del Falun Gong. Mentre Gao marcisce ancora oggi in prigione, dove anche il diritto di ricevere visite una volta al mese gli viene negato, il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha accettato come membro incaricato di «rafforzare, promuovere e proteggere i diritti umani nel mondo» la Cina fino al 2016.
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