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domenica 9 febbraio 2014

Matisse, Vence, la vetrata dell’Albero della vita

i quadridi Giuseppe Frangi

3 febbraio 2014

Matisse, Vence, la vetrata dell’Albero della vita

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Cosa mosse un gran­de ar­ti­sta come Henri Ma­tis­se, al cul­mi­ne del suc­ces­so a de­di­car­si anima e corpo al pro­get­to di una cap­pel­la per un con­ven­to di suore do­me­ni­ca­ne? Come spes­so ac­ca­de in opere che alla fine si ri­ve­la­no gran­di, il mo­ven­te è ca­sua­le e quasi tra­scu­ra­bi­le. Il mo­ven­te in que­sto caso fu una per­so­na, che si pre­sen­tò a Ma­tis­se quan­do que­sti cer­ca­va un’in­fer­mie­ra che lo as­si­stes­se, in quan­to re­du­ce da una pe­san­te ope­ra­zio­ne chi­rur­gi­ca, e che poi di­ven­ne anche sua mo­del­la. Quel che Ma­tis­se non sa­pe­va era che quel­la ra­gaz­za che lo aveva con­qui­sta­to co­vas­se in real­tà una vo­ca­zio­ne re­li­gio­sa. Quan­do lo seppe fu un vero choc, a cui tentò anche di ri­bel­lar­si, cer­can­do di farla de­si­ste­re dalla sua de­ci­sio­ne. Ma la ra­gaz­za fu ir­re­mo­vi­bi­le e di­ven­ne suora. Solo per un’al­tra coin­ci­den­za le loro stra­de si in­cro­cia­ro­no di nuovo pochi anni dopo. Lei, che nel frat­tem­po era di­ven­ta­ta suor Jac­ques-Ma­rie, si ri­fe­ce viva per mo­stra­re a Ma­tis­se il pro­get­to di de­co­ra­zio­ne della cap­pel­la del suo con­ven­to. Sta­vol­ta l’eb­be vinta l’ar­ti­sta, che boc­ciò il pro­get­to e spiaz­zò la suora can­di­dan­do­si a pren­de­re in mano lui il can­tie­re. Per Ma­tis­se fu una vera full im­mer­sion nel­l’o­pe­ra, che durò con poche pause quasi quat­tro anni. La gran­de stam­pa guar­da­va un po’ sor­pre­sa a que­sta sua de­ci­sio­ne, così “fuori mer­ca­to”. Ma Ma­tis­se andò per la sua stra­da, sen­ten­do­si, come lui stes­so disse, «preso per mano». C’è una frase ma­gni­fi­ca in cui lui sin­te­tiz­zò il senso di quel im­pe­gno così to­ta­liz­zan­te. Disse che quel­lo era il modo con cui vi­ve­va il suo “flirt” con suor Jac­ques; anzi il suo “fleurt”, come scris­se, gio­can­do con la pa­ro­la fran­ce­se, “fleur”, fiore. La cap­pel­la di Vence in ef­fet­ti è uno straor­di­na­rio fiore, per­ché ne ha la leg­ge­rez­za, la gra­zia, la fe­li­ci­tà e anche la man­sue­tu­di­ne. Vence non è frut­to di un “di­scor­so” re­li­gio­so, non segue il co­pio­ne della con­ver­sio­ne al ca­po­li­nea della vita, ma è l’e­si­to di quel­l’in­con­tro, che toccò il cuore di Ma­tis­se, come uomo e come ar­ti­sta. Un in­con­tro a cui è sba­glia­to met­te­re eti­chet­te.

Quan­do Pi­cas­so che di Ma­tis­se era amico e gran­de esti­ma­to­re, nella sua bru­ta­li­tà, con­te­stò que­sta sua scel­ta, Ma­tis­se con molta calma e con gran­de de­li­ca­tez­za, gli ri­spo­se così: «Io gli ho detto: fac­cio la mia pre­ghie­ra, e voi pure e lo sa­pe­te bene: quel­lo che noi cer­chia­mo di tro­va­re con l’ar­te, è la gioia della no­stra prima co­mu­nio­ne».

E poi an­co­ra: «C’è bi­so­gno di un co­rag­gio per l’ar­ti­sta, che deve ve­de­re le cose come le ve­des­se per la prima volta: bi­so­gna ve­de­re ogni cosa per tutta la vita come quan­do si era bam­bi­ni».

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