«Grazie, a nome degli omosessuali, per essere qui a difendere il reale»
***
gennaio 18, 2013
Rodolfo Casadei
Tempi era a Parigi alla
“Manifestazione per tutti” e ve la racconta come nessun altro. Slogan,
testimonianze, ironie e pure il più grande “Gangnam Style” che sia mai
stato ballato sotto la Tour Eiffel
Il
momento più commovente della grande manifestazione di Parigi è stato
quando Jean-Pierre di Homovox, indosso la t-shirt dell’evento, ha preso
il microfono sul palco e si è rivolto alla folla: «Sono omosessuale e ho
una vita di coppia in regime di Pacs (l’unione civile che in Francia
esiste dal 1999, ndr). Sono qui perché ogni bambino ha diritto ad avere
un padre e una madre. Perché non voglio che le donne siano ridotte a
macchine per produrre figli per coppie di uomini. Perché non voglio che i
figli dell’eterologa passino la vita alla disperata ricerca delle loro
radici. Non ogni amore è fatto per il matrimonio. È l’amore incarnato
nella differenza dei sessi che fa il matrimonio. Grazie, a nome degli
omosessuali, per essere qui a difendere il reale!». Un’ovazione è salita
dalle 800 mila anime sul prato del Champs de Mars, in faccia alla Tour
Eiffel, e ha spazzato via per sempre le accuse di omofobia e di
negazione dei diritti altrui. Se le è portate via l’acqua della Senna,
verde e increspatissima sotto il Pont d’Iena.
La manifestazione contro il progetto di legge Taubira per il matrimonio e l’adozione (e presto anche la fecondazione assistita) aperti a tutti è stata un capolavoro politico e culturale. Il presidente François Hollande e il governo di Jean-Marc Ayrault sicuramente non indietreggeranno di un passo nei loro progetti, ma è indubbio che nel giro di quattro mesi il clima sociale intorno al dibattito è completamente cambiato, e anche i media hanno dovuto prenderne atto. Gli oppositori al matrimonio omosex sono riusciti a scuotersi di dosso tutte le etichette denigratorie che erano state loro cucite addosso, e ad accreditarsi come una grande forza popolare, intergenerazionale, pluralista, repubblicana, sinceramente preoccupata del pericolo di collasso delle istituzioni della vita civile che la nuova legge fa correre alla patria dei diritti umani. Senso critico, discorso razionale e tolleranza oggi sono i contrassegni caratteristici del movimento che si oppone al “matrimonio per tutti”, mentre l’immagine dell’intolleranza verso le idee altrui, dell’arroganza che rende sordi ai ragionamenti assennati e della sopraffazione dei diritti dei più deboli ha cominciato a incollarsi su promotori e difensori della legge. Infatti un altro momento drammatico e struggente della kermesse è stato quando un ragazzo dai tratti asiatici, ai limiti della perdita del controllo di sé, ha urlato nel microfono del palco: «Noi figli adottati non siamo una medicina per la sterilità degli adulti! Non siamo la cura per il loro dolore! Siamo bambini, non siamo diritti!».
La Manif pour tous è riuscita a produrre una sintesi che sembrava impossibile: un movimento che non perde spessore intellettuale nel mentre che pratica i tempi e i modi dell’azione di piazza, che difende i valori tradizionali con una padronanza perfetta dei meccanismi della comunicazione audiovisuale e delle regole della società dello spettacolo, che consente alla Chiesa cattolica di testimoniare la dignità pubblica delle sue preoccupazioni morali al servizio del bene comune senza che atei e non credenti aderenti all’iniziativa (fra loro psicanalisti e psichiatri) provino il minimo disagio o la minima subalternità. Il merito dell’impresa spetta soprattutto a due persone: il cardinale arcivescovo di Parigi, monsignor André Vingt-Trois, e l’umorista cattolica convertita Frigide Barjot, nome d’arte di Virginie Tellenne. Il primo ha saputo riaccendere e mantenere vivo un dibattito che sembrava già chiuso, con una serie di interventi a partire dall’estate scorsa che gli sono costati molte invettive; la seconda ha il merito del crescendo mediatico del movimento, ottenuto con una regia sapiente delle apparizioni televisive, quasi tutte in trasmissioni di intrattenimento, e con uno stile disinvolto e alla moda capace di far apparire la posizione anti-matrimonio omosessuale perfettamente progressista e aggiornata ai tempi.
La manifestazione contro il progetto di legge Taubira per il matrimonio e l’adozione (e presto anche la fecondazione assistita) aperti a tutti è stata un capolavoro politico e culturale. Il presidente François Hollande e il governo di Jean-Marc Ayrault sicuramente non indietreggeranno di un passo nei loro progetti, ma è indubbio che nel giro di quattro mesi il clima sociale intorno al dibattito è completamente cambiato, e anche i media hanno dovuto prenderne atto. Gli oppositori al matrimonio omosex sono riusciti a scuotersi di dosso tutte le etichette denigratorie che erano state loro cucite addosso, e ad accreditarsi come una grande forza popolare, intergenerazionale, pluralista, repubblicana, sinceramente preoccupata del pericolo di collasso delle istituzioni della vita civile che la nuova legge fa correre alla patria dei diritti umani. Senso critico, discorso razionale e tolleranza oggi sono i contrassegni caratteristici del movimento che si oppone al “matrimonio per tutti”, mentre l’immagine dell’intolleranza verso le idee altrui, dell’arroganza che rende sordi ai ragionamenti assennati e della sopraffazione dei diritti dei più deboli ha cominciato a incollarsi su promotori e difensori della legge. Infatti un altro momento drammatico e struggente della kermesse è stato quando un ragazzo dai tratti asiatici, ai limiti della perdita del controllo di sé, ha urlato nel microfono del palco: «Noi figli adottati non siamo una medicina per la sterilità degli adulti! Non siamo la cura per il loro dolore! Siamo bambini, non siamo diritti!».
La Manif pour tous è riuscita a produrre una sintesi che sembrava impossibile: un movimento che non perde spessore intellettuale nel mentre che pratica i tempi e i modi dell’azione di piazza, che difende i valori tradizionali con una padronanza perfetta dei meccanismi della comunicazione audiovisuale e delle regole della società dello spettacolo, che consente alla Chiesa cattolica di testimoniare la dignità pubblica delle sue preoccupazioni morali al servizio del bene comune senza che atei e non credenti aderenti all’iniziativa (fra loro psicanalisti e psichiatri) provino il minimo disagio o la minima subalternità. Il merito dell’impresa spetta soprattutto a due persone: il cardinale arcivescovo di Parigi, monsignor André Vingt-Trois, e l’umorista cattolica convertita Frigide Barjot, nome d’arte di Virginie Tellenne. Il primo ha saputo riaccendere e mantenere vivo un dibattito che sembrava già chiuso, con una serie di interventi a partire dall’estate scorsa che gli sono costati molte invettive; la seconda ha il merito del crescendo mediatico del movimento, ottenuto con una regia sapiente delle apparizioni televisive, quasi tutte in trasmissioni di intrattenimento, e con uno stile disinvolto e alla moda capace di far apparire la posizione anti-matrimonio omosessuale perfettamente progressista e aggiornata ai tempi.
Leggi di Più: La manifestazione per tutti a Parigi | Tempi.it
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