La ricerca del Graal non si fa da soli |
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Se
chiediamo ai ragazzi se abbiano sentito nominare le storie di
Lancillotto e Ginevra o la storia del Sacro Graal, molto probabilmente
risponderanno di sì. Se, però, chiederemo loro se abbiano studiato lo
scrittore francese Chrétien de Troyes (1135-1190 ca), se abbiano letto
almeno qualche riga dal Lancillotto o il cavaliere della carretta o dal Perceval, dall’Erec et Enide o dall’Yvain,
quasi sicuramente la loro risposta sarà negativa. Raramente gli
insegnanti di Letteratura italiana dedicano qualche ora di lezione a
questo autore.
E pensare che Chrétien de Troyes è uno degli scrittori più importanti del Medioevo, forse il più grande prima dell’avvento di Dante. Come si può capire il racconto di Francesca nel canto V dell’Inferno
senza conoscere la storia di Lancillotto e Ginevra cui lei si riferisce
esplicitamente (circolavano all’epoca di Dante versioni della storia
anche redatte da altri autori): «Noi leggiavamo un giorno per diletto/
di Lancialotto come amor lo strinse;/ soli eravamo e sanza alcun
sospetto./[…] ma solo un punto fu quel che ci vinse./ Quando leggemmo il
disiato riso/ esser basciato da cotanto amante,/ questi, che mai da me
non fia diviso,/ la bocca mi basciò tutto tremante./ Galeotto fu ’l
libro e chi lo scrisse»?
Di Chrétien scarse sono le notizie certe. Nativo di
Troyes, nella Champagne, in terra di Francia, ebbe dapprima come
mecenate Enrico I di Champagne e, poi, dal 1181 Filippo d’Alsazia. È uno
dei pochi scrittori che sceglie come protagonista di un poema
cavalleresco una coppia di sposi, in Erec e Enide. La vicenda si
conclude con Erec che scopre che può essere cavaliere e, nel contempo,
amare la moglie tanto da dirle: «Vi amo più di prima e sono certo e
sicuro che il vostro è perfetto amore […]. E se avete pronunciato una
parola d’offesa, vi perdono e vi affranco del tutto, della parola e
dell’ingiuria».
Chrétien de Troyes è, poi, anche il primo a raccontare la vicenda di Perceval
e della ricerca del Sacro Graal, una storia che ha appassionato i
contemporanei e i posteri e che ha aperto la strada a tanta produzione
letteraria successiva, dal momento che il suo romanzo di avventura
rimane interrotto a causa della sua morte.
Nel Perceval appare chiaro come la fede nasca da un incontro, si coltivi in un cammino e si approfondisca nella vita oppure possa anche affievolirsi, quando si smarrisce la strada. Sempre, però, ciascuno di noi, anche quando è lontano, dimentico o sperduto, ha l’occasione di incontrare di nuovo la verità incontrata la prima volta e di riprendere il cammino. Questo è raccontato in maniera emblematica nella storia del protagonista. Infatti, non volendo che il figlio possa intraprendere la strada della cavalleria, che è la stessa del marito e dell’altro figlio, entrambi morti, la madre tiene Perceval lontano dalla città, dai luoghi abitati, nella Foresta Desolata, fintantoché il ragazzo non incontra dei cavalieri rimanendo affascinato dalla loro armatura. Il giovane decide, così, di partire e di diventare anche lui un cavaliere. Il ragazzo incontra Cristo proprio grazie alla madre che, salutandolo, gli spiega i fondamenti del Kèrigma cristiano (l’incarnazione, la morte e la resurrezione di Gesù) ricordandogli di recarsi spesso in Chiesa a pregare.
In seguito, Perceval fa altri incontri. Dapprima con
il Maestro Gornemont de Goorn che lo educherà ai valori e al codice
della cavalleria (il soccorso ai deboli, alle donne e ai bimbi). Poi,
con Biancofiore, il suo primo amore. Mosso dal desiderio di rivedere la
madre, Perceval abbandona, però, la ragazza.
Dopo diverse vicissitudini, Perceval si imbatte nella grande avventura. Un ostacolo, un fiume, posto sul suo cammino è l’occasione di conoscere un pescatore che lo invita nella sua abitazione. Lì, il pescatore si presenterà al cavaliere come un re ammalato. In una reggia immensa Perceval assiste ad una scena strana e quasi incomprensibile. Un paggio porta una lancia insanguinata, mentre una dama segue con una larga coppa in mano, un Graal, che emana una luce luminosa. Perceval vorrebbe chiedere e domandare quale sia il significato del gesto. Ma non chiede.
Dopo diverse vicissitudini, Perceval si imbatte nella grande avventura. Un ostacolo, un fiume, posto sul suo cammino è l’occasione di conoscere un pescatore che lo invita nella sua abitazione. Lì, il pescatore si presenterà al cavaliere come un re ammalato. In una reggia immensa Perceval assiste ad una scena strana e quasi incomprensibile. Un paggio porta una lancia insanguinata, mentre una dama segue con una larga coppa in mano, un Graal, che emana una luce luminosa. Perceval vorrebbe chiedere e domandare quale sia il significato del gesto. Ma non chiede.
Chiara è la simbologia nell’episodio. Il Re Pescatore è Gesù,
mentre il vecchio padre cui si porta il Graal è Dio Padre. Per il fatto
che non ha chiesto, il giorno seguente, al risveglio Perceval non
troverà più nessuno nella reggia. «Chiama, ma non v’è risposta». Se
avesse chiesto, il regno sarebbe tornato fecondo e il re sarebbe
guarito.
Si allontana allora, tutto dedito alla ricerca del Sacro Graal,
ma dimentico delle raccomandazioni materne. Per cinque anni abbandona
anche la compagnia della chiesa e non partecipa alla celebrazione
eucaristica, finché un giorno ha la grazia di incontrare di nuovo dei
testimoni della fede in Cristo. È il giorno di Pasqua quando si imbatte
sulla strada in tre cavalieri e in sette dame. Questi ricordano a
Perceval quanto lui si è scordato (il Kèrigma): «(Oggi) è il
venerdì adorato, in cui si devono piangere i propri peccati e adorare la
croce, perché in questo stesso giorno fu crocifisso e venduto per
trenta denari Colui che fu mondo di peccato. Egli vide le colpe di cui
il mondo è impastoiato e macchiato, e per esse si fece uomo». Gesù,
ricordano ancora i dieci pellegrini, è vero Dio e vero uomo ed è stato
partorito dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo «e prese
forma e anima d’uomo con la sua Santa divinità. E in tal giorno, in
verità, fu messo in croce e trasse i suoi amici dall’Inferno». Con la
sua morte ha redento il mondo e «salvò i vivi e i morti facendoli
passare dalla morte alla vita». Da questo momento, da quando Dio si è
fatto piccolo come un bambino, nulla è più insignificante. «Chi in tal
guisa non lo cercherà mai lo vedrà in viso», cioè chi non cerca Dio nel
volto dell’uomo non lo troverà mai.
Contrito per la sua fragilità e per la sua dimenticanza, ridestato alla fede
dalle parole appena udite, Perceval chiede loro quale sia la strada per
giungere dall’eremita a cui hanno appena fatto visita. La risposta è
bellissima: la strada è semplice, contraddistinta da segni lasciati
dalle persone che li hanno preceduti nel percorso. Questa strada è la
via segnata dalla Chiesa, cioè dal popolo dei credenti. Giunto là,
Perceval si confessa, celebra la messa pasquale e riparte, uomo nuovo e
rigenerato, alla ricerca del Sacro Graal. Nei sacramenti (confessione,
eucarestia, ecc.) e nella chiesa Perceval incontra Cristo e fa
l’esperienza di essere un misero peccatore che dipende da Dio, salvato
non per i propri meriti, ma per la grazia divina e per la fede.
(pubblicato su La nuova bussola quotidiana del 20-1-2013)
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