Gli uomini disoccupati e non divertiti, sono più infelici
*** Né la occupazione né il divertimento qualunque, non danno veramente agli uomini piacere alcuno. Nondimeno è certo che l'uomo occupato o divertito comunque, è manco infelice del disoccupato, e di quello che vive vita uniforme senza distrazione alcuna. Perché? se né questi né quelli sono punto superiori gli uni agli altri nel godimento e nel piacere, ch'è l'unico bene dell'uomo? Ciò vuol dire che la vita è per se stessa un male. Occupata o divertita, ella si sente e si conosce meno, e passa, in apparenza più presto, e perciò solo, gli uomini occupati o divertiti, non avendo alcun bene né piacere più degli altri, sono però manco infelici: e gli uomini disoccupati e non divertiti, sono più infelici, non perché abbiano minori beni, ma per maggioranza di male, cioè maggior sentimento, conoscimento, e diuturnità (apparente) della vita, benché questa sia senza alcun altro male particolare. Il sentir meno la vita, e l'abbreviarne l'apparenza è il sommo bene, o vogliam dire la somma minorazione di male e d'infelicità, che l'uomo possa conseguire. La noia è manifestamente un male, e l'annoiarsi una infelicità. Or che cosa è la noia? Niun male né dolore particolare, (anzi l'idea e la natura della noia esclude la presenza di qualsivoglia particolar male o dolore), ma la semplice vita pienamente sentita, provata, conosciuta, pienamente presente all'individuo, ed occupantelo. Dunque la vita è semplicemente un male: e il non vivere, o il viver meno, sì per estensione che per intensione è semplicemente un bene, o un minor male, ovvero preferibile per se ed assolutamente alla vita ec.
(8 Marzo. 1824.). V. p. 4074.
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, La vita continuamente occupata è la piú felice, quando anche non sieno occupazioni e sensazioni vive e varie. L’animo occupato è distratto da quel desiderio innato che non lo lascerebbe in pace o lo rivolge a quei piccoli fini della giornata (il terminare un lavoro, il provvedere ai suoi bisogni ordinari, ec. ec. ec.); giacché li considera allora come piaceri, essendo piacere tutto quello che l’anima desidera, e conseguitone uno, passa a un altro; cosí che è distratto da desideri maggiori, e non ha campo di affliggersi della vanità e del vuoto delle cose, e la speranza di quei (173) piccoli fini e i piccoli disegni sulle occupazioni avvenire o sulle speranze di un esito generale lontano e desiderato, bastano a riempierlo e a trattenerlo nel tempo del suo riposo, il quale non è troppo lungo, perché sottentri la noia; oltre che il riposo dalla fatica è un piacere per se. Questa dovea esser la vita dell’uomo, ed era quella dei primitivi, ed è quella dei selvaggi, degli agricoltori ec.; e gli animali non per altra cagione, se non per questa principalmente, vivono felici. Ed osservate come lo spettacolo della vita occupata, laboriosa e domestica, sembri anche oggidí, a chi vive nel mondo, lo spettacolo della felicità, anche per la mancanza dei dolori, e delle cure e afflizioni reali. -3°, Il maraviglioso, lo straordinario è piacevole, quantunque la sua qualità particolare non appartenga a nessuna classe delle cose piacevoli. L’anima prova sempre piacere quando è piena, purché non sia di dolore, e la distrazione viva ed intera è un piacere rispetto a lei assolutamente, come il riposo dalla fatica è piacere, perché una tal distrazione è riposo dal desiderio. E come è piacevole lo stupore cagionato dall’oppio (anche relativamente alla dimenticanza dei mali positivi), cosí quello cagionato dalla maraviglia, dalla novità e dalla singolarità. Quando anche la maraviglia non sia tanta che riempia l’anima, se non altro l’occupa sempre forte-
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