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Le risposte che più si sono avvicinate, per la verità, sono state
queste: il romanzo prosegue per poco e Renzo e Lucia hanno dei figli
oppure i due protagonisti non sono così contenti. Tutto qui? Vi sembra
possibile che in un anno di scuola il docente non abbia un’ora di tempo
per raccontare quanto Manzoni abbia voluto dirci? È un’omissione voluta o
casuale? Per approfondire un aspetto della realtà è importante metterlo
in relazione con il suo significato, con il senso, quello che Manzoni
chiama «il sugo della storia».
Il nostro autore, cattolico e realista, non ha voluto scrivere una
favola a lieto fine, come potrebbe a taluni sembrare, né tantomeno ha
voluto scrivere un’opera moralista. Entrambe le interpretazioni sono una
deliberata riduzione della genialità del cristianesimo che emerge dalla
lettura del romanzo. Vediamo allora meglio la conclusione.
Una volta sposato con Lucia, Renzo va ad abitare in un paesino della
bergamasca dove si crea una forte attesa per vedere quella donna per la
quale il giovanotto ha passato tante traversie. Quando finalmente la
sposa giunge in paese, le persone incominciano ad esprimere giudizi non
sempre lusinghieri sull’aspetto della ragazza. Le voci girano finché
qualche «amico» non pensa di riportare i commenti a Renzo. Questi mostra
di aver tutto sommato mantenuto l’indole di un tempo, cova dentro di sé
un’ira pronta ad esplodere. «A forza d’essere disgustato, era ormai
divenuto disgustoso. Era sgarbato con tutti, perché ognuno poteva essere
uno de’ critici di Lucia. Non già che trattasse proprio contro il
galateo; ma sapete quante belle cose si possono fare senza offender le
regole della buona creanza: fino sbudellarsi». Ma finalmente Renzo ha la
possibilità di cambiare paese e di comprare lì un filatoio assieme al
cugino Bartolo. «Lucia, che lì non era aspettata per nulla, non solo non
andò soggetta a critiche, ma si può dire che non dispiacque; e Renzo
venne a risapere che s’era detto da più d’uno: “Avete veduto quella
bella baggiana che c’è venuta?” L’epiteto faceva passare il sostantivo».
Ma i fastidi iniziano a farsi sentire anche lì. La vita dell’uomo non è
mai perfetta, immune dalla sofferenza e dai problemi. L’uomo desidera
sempre indossare un vestito che non è il proprio, percepisce
un’insoddisfazione come un pungolo, anche quando sembra aver raggiunto
l’obiettivo tanto agognato. Manzoni per rappresentare tale situazione
esistenziale utilizza un’immagine icastica: l’uomo è come un infermo
che desidera cambiare letto, guarda quello altrui e lo vede più comodo e
confortevole. Quando finalmente riesce a trovare un altro giaciglio,
inizia a sentire «qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo
preme: siamo in somma, a un di presso, alla storia di prima. E per
questo, soggiunge l’anonimo, si dovrebbe pensare più a far bene, che a
star bene: e così si finirebbe anche a star meglio». Il romanzo, però,
non è ancora terminato.
L’Autore lombardo scrive che gli «imbrogli» descritti nella prima
parte del romanzo non ci furono più e che la vita trascorse in maniera
abbastanza tranquilla tanto che non ce la racconta perché ci avrebbe ad
annoiare. Il lavoro procedeva bene e nel primo anno di matrimonio nacque
Maria cui seguirono, poi, tanti altri bambini. Renzo provvide a che
studiassero poiché «giacché la c’era questa birberia, dovevano almeno
profittarne anche loro».
Da quanto si legge nell’ultima pagina del romanzo, comprendiamo che
diverso fu l’atteggiamento di Renzo e Lucia nei confronti di quanto
accaduto: quest’ultima, più discreta e meno moralista, mossa da una fede
e da un abbandono al Mistero e a Dio più totali, custodiva e meditava
l’accaduto in cuor suo senza eccessivi trionfalismi, mentre lo sposo
raccontava ovunque quanto era loro capitato soffermandosi su quanto
aveva imparato. Diceva: «-Ho imparato... a non mettermi nei tumulti: ho
imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardar con chi parlo:
ho imparato a non alzare troppo il gomito: ho imparato a non tenere in
mano il martello delle porte, quando c’è lì d’intorno gente che ha la
testa calda: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima
d’aver pensato quel che ne possa nascere». Insomma, Renzo faceva il
moralista, si poneva di fronte all’accaduto con uno sguardo tutto
proteso su di sé più che sul Mistero di chi fa tutte le cose,
sforzandosi di migliorare e cambiare e non ripeter più gli errori di
prima. La visione di Renzo era agli occhi di Lucia parziale, in quanto
l’esperienza ci insegna che spesso quanto accade non è conforme ai
nostri progetti e alle nostre aspettative, anche quando il nostro
comportamento è stato dettato dal buon senso: «-E io -disse un giorno al
suo moralista- cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a
cercare i guai: son loro che sono venuti a cercare me. Quando non
voleste dire,- aggiunse, soavemente sospirando, -che il mio sproposito
sia stato quello di volervi bene, e di promettermi a voi». Ebbene i due
novelli sposi si misero a discutere su questo punto e arrivarono ad una
conclusione che l’anonimo decise di porre come «sugo di tutta la
storia» perché estremamente giusta e ragionevole, anche se partorita da
povera gente. Questo è il sugo della storia, quindi, ovvero il senso che
dà sapore e, quindi, significato all’intera vicenda. È Manzoni stesso a
dircelo e, quindi, sembra fuorviante andare a chiederlo e a cercarlo
nelle pagine di tanta critica letteraria: «I guai vengono bensì spesso,
perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più
innocente non basta a tenerli lontani, e che quando vengono, o per colpa
o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per
una vita migliore».
Questo è il già, la sperimentazione del «centuplo quaggiù», non è
l’eliminazione dei problemi, ma uno sguardo nuovo sulla realtà. Esso
infonde quella perfetta letizia di cui parla S. Francesco quando afferma
che essa risiede nella nostra sofferenza offerta a Cristo per il bene e
la salvezza altrui (in questa «offerta» l’amaro si tramuta in
dolcezza).
Il centuplo quaggiù non è l’eliminazione della sofferenza, ma si
traduce in uno sguardo nuovo e diverso sulla stessa. Anche il male viene
guardato diversamente, con una misericordia che abbraccia sé e l’altro
per la debolezza umana, nella consapevolezza che il misterium iniquitatis trova solo in Cristo una plausibile risposta. (pubblicato su Tempi.it il 18-12-2012)
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