Mons. Negri: «I cristiani che si vergognano delle Crociate sono succubi del laicismo dominante»
Recentemente su IlSussidiario.net è apparso un articolo di don Federico Pichetto
che condanna le Crociate, di cui i cristiani – dice sostanzialmente
Pichetto – dovrebbero vergognarsi perché sono un tradimento del
cristianesimo. Il giudizio non riguarda solo l’evento storico in sé ma
più in generale la posizione che un cristiano deve avere di fronte alle
vicende del mondo, anche oggi. Giudizi gravi che meritano, seppure a
distanza di tempo, una replica puntuale e autorevole.
Caro don Pichetto,
ti scrivo queste righe cercando di rispondere al tuo intervento sulle Crociate.
In
effetti tu parli di Crociate che non sono mai esistite: Crociate
sostenute dalla nascente borghesia, che come ognun sa, alla fine dell’XI
secolo – quando la prima Crociata fu bandita – non c’era nella società
europea, o comunque era una minoranza con un potere limitatissimo.
E poi riprendi le Crociate come progetto di imposizione violenta del Cristianesimo a popolazioni straniere.
E poi riprendi le Crociate come progetto di imposizione violenta del Cristianesimo a popolazioni straniere.
Non
tocca a me rifare il punto su questa vicenda secolare su cui la
migliore storiografia, e non solo quella cattolica, ha dato un
contributo decisivo.
Per dirla con il mio grande amico Franco Cardini, le Crociate sono state un grande «pellegrinaggio armato», protagonista del quale fu, nei secoli, il popolo cristiano nel suo complesso.
Una avanguardia di santi, una massa di cristiani comuni e, nella retroguardia, qualche delinquente.
Per dirla con il mio grande amico Franco Cardini, le Crociate sono state un grande «pellegrinaggio armato», protagonista del quale fu, nei secoli, il popolo cristiano nel suo complesso.
Una avanguardia di santi, una massa di cristiani comuni e, nella retroguardia, qualche delinquente.
Non so quale avvenimento della Chiesa possa sfuggire a una lettura come questa.
Sta di fatto che noi – cristiani del Terzo millennio – alle Crociate dobbiamo molto.
Dobbiamo che non si sia perduta la possibilità dei grandi pellegrinaggi in Terrasanta: nei luoghi della vita storica di Gesù Cristo e della nascita della Chiesa.
Alle Crociate dobbiamo che si sia ritardata la fine della grande epopea della civiltà bizantina di almeno due secoli, e si sono soprattutto salvate dalla dominazione turca le regioni della nostra bella Italia, che si affacciano sul mare Adriatico, Tirreno e Ionio, falcidiate da quelle sistematiche incursioni di corsari e di turchi che hanno depauperato nei secoli le nostre popolazioni.
Dobbiamo che non si sia perduta la possibilità dei grandi pellegrinaggi in Terrasanta: nei luoghi della vita storica di Gesù Cristo e della nascita della Chiesa.
Alle Crociate dobbiamo che si sia ritardata la fine della grande epopea della civiltà bizantina di almeno due secoli, e si sono soprattutto salvate dalla dominazione turca le regioni della nostra bella Italia, che si affacciano sul mare Adriatico, Tirreno e Ionio, falcidiate da quelle sistematiche incursioni di corsari e di turchi che hanno depauperato nei secoli le nostre popolazioni.
Anche
la tua bella Liguria ha dovuto costruire parte dei suoi paesi e delle
sue piccole città a due livelli – il livello del mare e il livello della
montagna – per poter sfuggire a queste invasioni che hanno fatto morire
nel buio della cosiddetta civiltà araba e islamica centinaia e migliaia
di nostri fratelli cristiani, a cui era stata tolta anche la dignità
umana e di cui noi facciamo così fatica a fare memoria.
Nessuna
realtà cristiana esprime la perfezione della fede che è solo in Gesù
Cristo, ma nessuna esperienza cristiana è invincibilmente diabolica.
Passare dalla fede alle opere è compito fondamentale del cristiano di
ogni tempo.
Ora,
per recuperare questa bellezza della storia cristiana bisogna guardare
la realtà secondo tutta l’ampiezza cattolica. La mia generazione e
quella di molti amici dopo di me – che per l’intelligenza e l’apertura
di monsignor Luigi Giussani hanno potuto dialogare personalmente per
esempio con Regine Pernoud, con Leo Moulin, con Henri de Lubac, con
Hans Urs von Balthasar, con Joseph Ratzinger, con Jean Guitton e molti
altri – hanno un sano orgoglio della nostra tradizione cattolica.
Per
questo sentono in modo assolutamente negativo desumere acriticamente
l’immagine della Chiesa dalla mentalità laicista che cerca di dominare
la nostra coscienza e il nostro cuore.
Certo,
l’essenza di questa tradizione cattolica – e che, quindi, comprende
anche le Crociate – è il desiderio di vivere il rapporto con Cristo e di
annunziarlo nella concretezza del suo popolo che è la Chiesa, nelle
grandi dimensioni che rendono il cristiano autenticamente uomo: la
dimensione della cultura, della carità e della missione. È questo il
Cristo che sta all’origine di tante iniziative del passato e del
presente. Nessuna iniziativa lo esprime adeguatamente, ma l’assenza di
qualsiasi capacità di presenza nel mondo e di giudizio sulla vita degli
uomini e sui problemi degli uomini fa dubitare che esista una fede
autenticamente cattolica.
La
fede in Cristo può rischiare di ridursi a essere spunto per mozioni
soggettive e spiritualistiche da cui metteva in guardia il santo padre
Benedetto XVI all’inizio della sua splendida enciclica Deus Caritas Est:
un Cristo che rischia di stare acquattato nel silenzio della coscienza
personale, che non diventa fattore di vita e di cultura, che non tende a
creare una civiltà della verità e dell’amore. Ricordo ancora con
commozione quando facevo la terza liceo una lezione di Giussani in cui
disse letteralmente: «La comunità cristiana tende a generare
inesorabilmente una civiltà».
Nella
mia esperienza pastorale e culturale ho sempre sentito come punto di
riferimento sostanziale la grande certezza di Giovanni di Salisbury che
diceva: «Noi siamo come nani sulle spalle di giganti». È perché siamo
sulle spalle di giganti che vediamo bene il presente e intuiamo le linee
del futuro. È questo che rende così appassionata la nostra
responsabilità, senza nessuna dipendenza dagli esiti, con la certezza di
portare il nostro contributo, piccolo o grande che sia, alla grande
impresa del farsi del Regno di Dio nel mondo, che come dice il Concilio
Vaticano II coincide con la Chiesa e la sua missione.
Un cordiale saluto
Monsignor Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Abate di Pomposa
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