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giovedì 17 giugno 2021

don Pigi Bernareggi

 

Belo Horizonte. Bandiere a mezz’asta oggi per padre Pigi Bernareggi, gigante della fede e della carità

Oggi a Belo Horizonte, una delle più grandi città del Brasile, circa due milioni e mezzo di abitanti, sugli edifici pubblici le bandiere sono a mezz’asta in segno di lutto cittadino per la morte di padre Pigi Bernareggi, il sacerdote missionario milanese colà scomparso lo scorso 22 gennaio all’età di 82 anni. Lo ha deciso il sindaco della città in segno di omaggio a “padre Pigi, grande difensore dei più poveri (…) missionario che ha messo in pratica la sua fede in opere a difesa dei diritti dei più bisognosi”. Tanto più considerando che il Brasile è un paese piuttosto «laico», dove la Chiesa ha meno rilievo sociale che da noi, tale riconoscimento, davvero straordinario, è un segno molto significativo della statura di don Pigi, uno dei primi collaboratori di don Luigi Giussani, e insieme a Eugenia Scabini primo presidente di Gioventù Studentesca a Milano. Nel suo libro-intervista, ora disponibile nell’edizione BUR/saggi del 2014 col titolo Il Movimento di Comunione e Liberazione 1954-1986, don Giussani parla di Bernareggi come di “una persona che, in tutta la storia del nostro movimento, è forse la figura più esemplare e suggestiva” (pag.120, e pag.152 dell’edizione Jaca Book del 1976). Dell’incontro con don Giussani, e della sua scelta di diventare prete e recarsi in missione in Brasile, Pigi Bernareggi racconta tra l’altro in alcune belle pagine di Ho trovato quello che stavamo cercando/28 testimonianze sull’incontro con don Giussani 1954-1964, Jaca Book 2017.

Ospite da pochi anni del Convivium Emaús, la casa di riposo per sacerdoti della diocesi di Belo Horizonte, don Pigi è stato vittima di una caduta accidentale che gli ha purtroppo procurato un trauma al capo rivelatosi mortale.

Pur avendo avuto consuetudine con lui sin dagli anni dell’università e poi essendo con lui rimasto sempre in contatto, non avevo sin qui pensato di aggiungere qualcosa di mio a quanto in Italia già bene si è scritto in questi giorni in sua memoria. Poi mi sono detto che che avevo forse qualcosa di utile da dire anche di mio.

Sul sito del Meeting di Rimini è stata in questi giorni portata in prima pagina la video-registrazione (reperibile anche su Youtube).  dell’intervento di don Pigi all’edizione del 1982 nel corso di una tavola rotonda, coordinata da me, cui partecipavano pure relatori rispettivamente del Catholic Worker di New York e della Communauté de l’Arche. É una testimonianza molto chiara e completa del criterio ispiratore delle iniziative di riqualificazione avviate a Belo Horizonte da don Pigi nella favela Primeiro de Maio. Ispirate a una visione del mondo cristiana nel senso più essenziale ma anche più esplicito della parola, tali iniziative divennero al riguardo un modello così originale ed efficace da suscitare infine l’interesse anche delle Nazioni Unite. A Belo Horizonte, un comune metropolitano con poteri anche legislativi, sullo spunto di tale esperienza don Pigi riuscì a far approvare una «ley profavela» poi largamente imitata. In estrema sintesi l’originalità del modello consiste in questo: i quartieri di baracche delle città dell’emisfero sud nascono di regola su terreni abusivamente occupati vicini quanto più possibile a quartieri di famiglie di reddito medio e alto; tale prossimità è indispensabile perché le famiglie a basso o bassissimo reddito dei favelados o simili vivono di servizi e lavori semplici quali ne possono trovare per lo più in quartieri più ricchi loro vicini. Finché le favelas restano insalubri e sovraffolate le aree su cui sorgono non interessano a nessun altro. Se però vengono migliorate con interventi di riqualificazione urbana allora tali aree aumentano di valore fin al punto che i loro abitanti originari ne vengono espulsi o dalla polizia o dalle buone uscite che vengono loro offerte perché si levino di torno. Con la “ley profavela” promossa da don Pigi Bernareggi e dai suoi collaboratori il piano regolatore riserva invece certe aree all’insediamento tipo favela stabilendo per esse norme urbanistiche specifiche (ad esempio larghezze massime delle vie che precludono il transito normale di auto). Si pongono così le premesse perché il possesso delle aree dei favelados possa venire regolarizzato ma nel medesimo tempo resti fuori del mercato immobiliare ordinario; quindi convenga ad essi migliorare le loro abitazioni e  accettare se non anche promuovere il miglioramento dei relativi servizi urbani senza dover temere che tutto ciò porti a un’impennata del valore dei terreni che occupano, e quindi a un loro allontanamento dal centro cittadino. Come si vede è una politica urbanistica molto originale ma anche molto razionale nel caso delle città dell’emisfero sud così come oggi sono.  Non si stenta però a immaginare quanto ci sia voluto a don Pigi per superare tutti gli interessi contrari e tutte le inerzie che si opponevano a uno sviluppo del genere. E tutto questo mentre egli da un lato insegnava in un’università di Belo Horizonte e dall’altro viveva fino in fondo il proprio compito di primo parroco e fondatore della parrocchia della favela Primeiro de Maio.

Quando ero delegato alle relazioni internazionali del governo regionale lombardo, trovandomi nel 2010 a Belo Horizonte per contatti con il governo del Minas Gerais, lo stato brasiliano di cui la città è capitale, colsi l’occasione per andare a salutare don Pigi nella sua favela. Avendo informato i miei ospiti di tale mia intenzione mi osservarono però che entrare in una favela era pericoloso e che quindi mi avrebbero dato una scorta di polizia. Cercai di convincerli che non dovevano preoccuparsi per me, ma non ne vollero sapere dicendo che ero ospite del governo e quindi loro erano responsabili della mia incolumità. Mi toccò allora di recarmi a trovare don Pigi con la scorta di due veicoli della polizia carichi di agenti con le armi in pugno viaggiando in una limousine con a fianco il capitano dell’esercito in uniforme che mi accompagnava ovunque a titolo di scorta d’onore. Tra la sorpresa sospettosa degli abitanti più adulti della favela e l’eccitazione dei più piccoli raggiungemmo l’abitazione di don Pigi, non dissimile dalle altre più misere case-baracche del quartiere. Lui non c’era ma dopo un po’ sopraggiunse in maglietta, pantaloni corti e sandali e il solito cappellino da ciclista, quietamente infastidito dalla presenza della scorta da cui ero accompagnato. Portava con sé un sacco di plastica dove, mi disse, c’era la biancheria sporca da lavare di un malato di Aids che abitava da solo, al quale era andato a fare visita. Lieti di ritrovarci dopo tanto tempo conversammo un po’ mentre il capitano mia scorta d’onore assisteva alla scena compostamente esterrefatto. Come avrebbe potuto immaginare che il favelado che gli stava dinnanzi, riconoscibile  come prete solo dalla piccola croce di legno che teneva appesa al collo, era un  brillante laureato in filosofia che aveva scelto la favela declinando per questo l’invito del suo maestro, il noto filosofo neotomista Gustavo Bontadini,  a restare in università quale suo assistente con la prospettiva di succedergli nella prestigiosa cattedra che ricopriva all’Università Cattolica di Milano?

25 gennaio 2021

P.S. In questi giorni sia su Il Sussidiario che su Il Foglio e altrove è stato scritto che la  ballata Rossa sera, Belo Horizonte venne scritta “da alcuni suoi amici” in occasione della partenza di Pigi Bernareggi per il Brasile. Sono in certo modo onorato da tale equivoco, ma le cose non stanno così. Venne scritta da me, parole e musica, e non particolarmente per lui ma per tutti coloro che in quegli anni partirono per quella missione,

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