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lunedì 21 giugno 2021

Bartali la sua grande fede

 Quando i fascisti lo convocano, quel giorno, Gino Bartali ha paura.

Ma non può non andare, sanno dove abita, ha un bimbo piccolo.

Non che non lo abbiano mai controllato, dopo lo scoppio della guerra: durante gli allenamenti tra Firenze e Assisi era facilissimo che lo fermassero. Ma ogni volta che vedevano la sua faccia e riconoscevano il campione già vincitore del Giro d'Italia e del Tour de France e della Milano Sanremo e di tante altre gare, tutto filava liscio.

Quel giorno è diverso, perché lo hanno convocato a Villa Triste, come è soprannominato il palazzo dove è alloggiata la Banda Carità che lo cerca.

La banda, che prende il nome dal comandante Mario Carità, è una delle più crudeli formazioni fasciste, specializzata in rastrellamenti, torture e infiltrazioni dentro i gruppi partigiani per arrestarne e ucciderne i componenti.

Villa Triste è famosa per le grida che provengono dalle vittime che i fascisti torturano.

A volte, dalle sue stanze, arriva la musica di un pianoforte, suonato per coprire le urla dei poveretti.

Appena arriva, Bartali viene condotto nelle cantine, dove capisce che è tutto vero quanto ha sentito dire: vede esposte armi, bastoni e vari strumenti di tortura che sembrano medioevali e con cui si fanno parlare le persone, quando le botte non bastano. 

Anche Gino, un uomo durissimo e capace di soffrire ogni tormento sui pedali, è spaventato. 

"Erano tempi in cui la vita non costava niente. Era appesa a un filo, al caso, agli umori degli altri", dirà. 

E la sua vita, quel giorno, è appesa agli umori del terribile Mario Carità.

Il gerarca ha intercettato delle lettere, indirizzate a Bartali, che vengono dal Vaticano e lo ringraziano per il suo aiuto.

Le lettere sono lì, sul tavolo. 

“Di che aiuto si tratta, Bartali? Cosa ha fatto per meritarsi i ringraziamenti del Vaticano? Ha portato armi?"

“Io nemmeno so sparare!". 

"E allora ha portato altre cose! Lo confessi". 

"Ho solo mandato caffè, farina e zucchero e altro cibo ai bisognosi".

"E lei mi vuole far credere che il Vaticano scriverebbe a un campione come lei per ringraziarla di aver mandato caffè, farina e zucchero?".

“Questa è la verità" insiste Bartali. 

Carità lo fissa con i suoi occhi da rettile. 

"Vediamo se in cella si schiarisce le idee".

Gino finisce incarcerato per due giorni, nelle stanze di Villa Triste. 

Al terzo giorno lo riportano in cantina, ma Carità non è solo, si è portato tre altri militari. L'aguzzino fascista gli rifà la stessa domanda. 

"Cosa ha fatto per il Vaticano, Bartali? Portava armi? O altro?".

Gino insiste: "Caffè, farina e zucchero". 

Carità perde la pazienza, urla, ma uno dei tre ufficiali con lui è un militare che ha avuto Gino al suo servizio, ai tempi della leva.

“Conosco Bartali, è sempre stato uno sincero, uno che dice la verità. Se i ringraziamenti erano per farina e zucchero, allora è vero. Non perdiamo tempo con lui”.

Carità, riluttante, si convince a liberare il ciclista, anche perché gli americani si avvicinano a Firenze e c’è bisogno di lui e dei suoi uomini per combatterli.

Gino esce tutto intero da Villa Triste, incredulo di essersi salvato per le parole di quel militare che pensava di conoscerlo così bene.

Ma sbagliava, perché Gino ha mentito.

Non sono caffè, farina e zucchero, i motivi per cui il Vaticano lo ringrazia.

Per tutto il tempo in cui ha corso lungo la Firenze – Assisi, nel telaio della bicicletta cui si accede staccando il sellino, Bartali ha nascosto fotografie e altre carte necessarie a fabbricare documenti falsi destinati a centinaia di ebrei da salvare. 

Lo ha fatto per conto del Vescovo di Firenze Elia Dalla Costa, l’uomo che ha celebrato il suo matrimonio e che ha pensato a Bartali come unica possibilità di passare i controlli.

“Ma non devi dire nulla a nessuno, Gino! Nemmeno alla tua famiglia. O quelli ammazzano tutti”. 

Non solo: ogni volta in cui arrivava un treno da Assisi su cui viaggiavano ebrei che volevano prendere coincidenze per fuggire in altre parti d’Italia, Gino è andato al bar della stazione ferroviaria. Lì si è fatto vedere bene da tutti, si è messo in mostra per i tifosi e il caos creato dalla sua presenza ha fatto sì che la polizia fascista e i soldati tedeschi non riuscissero a controllare bene i documenti e facessero passare un po’ tutti. 

E poi ancora, altri viaggi in bici, fino a Genova e in Svizzera, per prendere lettere e denaro. Senza contare un’intera famiglia ebrea che è nascosta da un anno nella cantina di una sua casa.

In tutti questi modi, in quegli anni, Bartali ha salvato la vita a un numero imprecisato ed enorme di persone.

Gino, però, mantiene la promessa fatta al Cardinale; non racconta nulla a nessuno, nemmeno ad Adriana e Andrea, per proteggerli. E anche dopo, a guerra finita, tiene il segreto per sé, perché crede che “quando fai un favore ci pensi per una notte, ma te ne dimentichi il giorno dopo”.

Solo quando il padre è ormai molto vecchio, il figlio Andrea, che ha sentito girare alcune voci su questa storia, riesce a farsi spiegare dal babbo come sono andate le cose.

“Ma tu non devi dirlo a nessuno, eh!” insiste il campione. "Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca".


Riccardo Gazzaniga, Abbiamo toccato le stelle - Storie di campioni che hanno cambiato il mondo, Rizzoli.

Fonte Caffè Letterario di Layla

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