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sabato 29 settembre 2012

Per il ministro Profumo 'l'ora di religione non ha senso'. Io, studente senza fede, vi spiego l'ignoranza di queste parole

Per il ministro Profumo 'l'ora di religione non ha senso'. Io, studente senza fede, vi spiego l'ignoranza di queste parole

pubblicata da Papa Benedetto XVI il giorno Martedì 25 settembre 2012 alle ore 15.49



E' ora di cena quando sento dire al telegiornale: «Credo che l'insegnamento della religione nelle scuole così come concepito oggi non abbia più molto senso. Probabilmente quell'ora di lezione andrebbe adattata, potrebbe diventare un corso di storia delle religioni o di etica». Parole di Francesco Profumo, pronunciate lo scorso venerdì sera, alla festa di ‘Sinistra, ecologia e libertà’, basando il suo ragionamento su di un dato preciso: «Nelle nostre classi il numero degli studenti stranieri e, spesso, non di religione cattolica tocca il 30%»; di qui la conclusione: «sarebbe meglio adattare l'ora di religione trasformandola in un corso di storia delle religioni o di etica».

Da subito resto perplesso, non tanto per l'idea del gran postribolo delle religioni, ma perchè si è parlato di etica. Mi domando, in una società multietnica e pluralista, permeata profondamente da quel relativismo che toglie sonno al Papa, chi avrà l'ardire di fissare la 'giusta' etica valida a livello universale. La stabilirà il ministro, certamente, per quanto da due millenni nè filosofi nè politici nè preti siano riusciti a convincere il mondo.
Poi mi soffermo sulle ragioni che motivano la proposta, rifletto per qualche minuto; la perplessità cede il passo all'amarezza: ho concluso gli studi liceali classici da poco, ho appena ventun anni, non ho neppure il dono della fede, ma ritengo di dover contestare, sul piano giuridico e culturale, quanto affermato da un Ministro dell'Istruzione della mia Repubblica.

1) 'Sbandata giuridica'

Se Profumo conoscesse il diritto, non sarebbe incorso in un così grave errore d’interpretazione quando parla di anacronismo dell’ora di religione cattolica. Infatti, l'Accordo di Villa Madama del 1984, che rivede i Patti Lateranensi del 1929 firmati da Santa Sede e Regno d’Italia, nell’articolo 9.2 stabilisce:

“Lo Stato, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche”.

Qui sta il punto: la religione cattolica s’insegna a scuola non come ora d’indottrinamento o di catechesi, ma per aiutare a comprendere una componente culturale della nostra storia e della nostra società. A maggior ragione se si vuole favorire l’integrazione di studenti di etnie e credi diversi, è giusto tutelare questo insegnamento. Ecco perchè la scusa degli studenti stranieri non regge. Non regge perchè la cultura di un Paese resta tale, indipendentemente dal credo di chi debba comprenderla tra i banchi di scuola. Sembra calzare a pennello l'allora cardinale Joseph Ratzinger, quando scriveva: «C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole davvero sopravvivere. La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza basi comuni, senza punti di orientamento offerti dai valori propri».
2) 'Strafalcione culturale'

Se è chiaro che Profumo non conosce i fondamenti dell'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, il fatto che lo consideri alla strenua del catechismo parrocchiale, e dunque non consono all'ascolto di chi alla Chiesa di Roma non appartiene, dimostra uno sconvolgente vuoto culturale, imperdonabile per un ministro dell'Istruzione. Si, perché già dalle colonne de “L'Espresso” del 10 settembre 1989, il celebre scrittore Umberto Eco, ateo, si domandava: «Perché i ragazzi debbono sapere tutto degli dei di Omero e pochissimo di Mosé? Perché devono conoscere la Divina Commedia e non il Cantico dei cantici (anche perché senza Salomone non si capisce Dante)? Insomma è legittimo e fecondo affermare che la Bibbia ha il diritto di porsi come codice culturale, così come lo sono Platone, Aristotele, Kant, l’illuminismo».  Viene citato Immanuel Kant, lo stesso filosofo che afferma: «Il Vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra civiltà», quasi facendo eco all'immenso scrittore Johann Wolfgang von Goethe, quando dice: «Il Cristianesimo è la lingua materna dell'Europa».

Ecco, c’è una ragione se l’intera cronologia si serve del calendario fatto elaborare da Gregorio XIII e dell’Anno Domini, l’anno della nascita di Cristo, per ricostruire gli eventi storici globali. C’è una ragione se nella nostra letteratura si incontrano autori fortemente spirituali come Francesco Petrarca, Torquato Tasso, Dante Alighieri o Alessandro Manzoni; che le uniche due opere la cui lettura è d’obbligo nei nostri licei, e cioè la "Divina Commedia" e "I Promessi Sposi", siano la prima una delle espressioni più alte e fantasiose della teologia medievale e la seconda il romanzo della Provvidenza.
Caro ministro, lei mi riduce il Cattolicesimo a fatto puramente confessionale, e al contempo mi chiede di studiare il Manzoni, che però mi scrive in 'Osservazioni sulla morale cattolica': «Tutto si spiega col Vangelo, tutto conferma il Vangelo». 

Meglio poi che non faccia appello a Vittorino da Feltre Pico della Mirandola: si spaventerebbe. Nè vengo a riportarle le conclusioni di scrittori del rango di Fëdor Dostoevskij Lev Tolstoj: li scambierebbe per mistici deliranti.

Capisce quindi, eccellenza, il mio dilemma su se prestare ascolto a lei o agli autori che mi chiede di studiare? Son drammi, mi aiuti, perché mi confonde le idee anche il pittore Marc Chagall, quando confessa: «Le pagine della Bibbia sono l'alfabeto colorato in cui per secoli i pittori hanno intinto il loro pennello». Cerco di non badarci troppo, eppure mi sembra proprio che cupole e campanili sovrastino superbamente tutte le città europee, e che la grande maggioranza dei capolavori artistici del Vecchio continente narrino del Cristianesimo e dei suoi protagonisti. Nessuna sorpresa poi, se le due più celebri sculture al mondo siano il biblico Re David di Michelangelo e la Pietà vaticana.

Pare che questo Cristianesimo continui a perseguitarmi persino nella persona del filosofo agnostico Benedetto Croce, che arrivò a scrivere un noto saggio intitolato "Perché non possiamo non dirci cristiani", in cui leggo: «Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta (...). Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell'arte, della filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto (...). La ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell'anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all'intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all'umanità. Gli uomini, i geni, gli eroi, che vi furono prima del cristianesimo, compirono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensieri e di esperienze; ma in tutti essi manca quel sentimento di amore e carità che noi accomuna e affratella, e che il cristianesimo ha dato esso solo alla vita umana».

E sul filone di Croce si inserisce ancora l'ateo Jürgen Habermas, filosofo, storico e sociologo, tra i massimi esponenti viventi della prestigiosa Scuola di Francoforte, che mi ricorda con schiettezza: «L'universalismo egualitario - da cui sono derivate le idee di libertà e convivenza solidale, coscienza morale individuale, diritti dell'uomo e democrazia - è una diretta eredità dell'etica ebraica della giustizia e dell'etica cristiana dell'amore. A tutt'oggi non disponiamo di opzioni alternative. Continuiamo ad alimentarci a questa sorgente. Tutto il resto sono chiacchiere postmoderne».

Ma allora com'è possibile che siamo arrivati a scordarci tutto? Asineria italica? Assenza di memoria? Secolarizzazione? Certamente. Ma anche gli insegnanti di religione non ci fanno una bella figura. Vero che l'impossabilità di compiere una valutazione di egual incidenza come quella del resto dei colleghi non li abbia aiutati nel guadagnarsi la giusta considerazione da parte degli studenti, ma è innegabile che molti di essi (certamente non la totalità) li si è visti tragicamente inadeguati al ruolo preposto, per sciatteria o ignoranza.

Chi si aspettava disquisizioni sull'estetica teologica, la natura dei Dogmi, il problema della teodicea o quello del peccato originale, la Grazia, i Concili e le eresie, la Scolastica, la teologia dei Dottori della Chiesa, la filosofia cristiana e l'apologetica, ecc, ha fin troppo spesso trovato insegnanti che si limitavano a lasciare spazio ad una normale ora di ricreazione, o fiera delle banalità da primo catechismo (neppure da cresima!). E di tutto questo possiamo davverno farne a meno.

Ecco perchè oggi ci tocca non solo difendere l'ora di religione cattolica da ministri che hanno smarrito il senso della storia, ma di reclamarne anche un dignitoso e autentico insegnamento. In nome della nostra stessa identità perchè, come ammonisce il poeta Thomas Stearns Eliot, vincitore del premio Nobel per la Letteratura: «Un cittadino europeo può non credere che il Cristianesimo sia vero e tuttavia quello che dice e fa scaturisce dalla cultura cristiana di cui è erede. Senza il Cristianesimo non ci sarebbe stato neppure un Voltaire o un Nietzsche. Se il Cristianesimo se ne va, se ne va anche la nostra cultura, se ne va il nostro stesso volto».

di Giacomo Diana

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