Hesse e la nostalgia per le preghiere recitate davanti a un altare
A
novant’anni dalla sua prima pubblicazione, Adelphi pubblica una nuova
edizione di Siddharta, il più noto romanzo di Hermann Hesse, correlato
con alcuni suoi scritti inediti. Uno di questi inediti è anticipato
dalla Repubblica del 2 settembre. Hesse ha già abbandonato il
protestantesimo per le religioni orientali, e scrive: «Lì nulla mi
incalzava da presso, lì non dominava il sentore di quei modesti pulpiti
pitturati di grigio né delle pietistiche scuole domenicali: la mia
fantasia poteva spaziare. io potevo accogliere in me senza resistenze i
primi messaggi che mi giungevano dal mondo indiano e i cui effetti
sarebbero durati per tutta la vita (…). In anni lontani questi pensieri
mi inducevano a guardare con una certa invidia e reverenza alla Chiesa
cattolico-romana, e il mio anelito di protestante verso la forma
consolidata, la tradizione, l’epifania dello spirito mi aiuta ancor oggi
a mantenere desta la mia venerazione per questa suprema entità
culturale dell’Occidente. Eppure, anche questa mirabile Chiesa-cattolica
mi appare degna di venerazione solo a una certa distanza: non appena mi
avvicino, anch’essa, come qualsiasi creazione d’uomo, emana un intenso
odore di sangue e violenza, di politica e bassezza. E nondimeno mi
capita di tanto in tanto, d’invidiare al cattolico la possibilità di
recitarle davanti a un altare, le sue preghiere, anziché nel chiuso di
una stanzetta spesso troppo angusta, e di filtrarla attraverso la grata
di un confessionale, la confessione dei suoi peccati, anziché esporli
sempre e soltanto all’ironia di un’autocritica solitaria».
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