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domenica 30 settembre 2012

L'ESERCIZIO DELL'AUTORITA'

L'ESERCIZIO DELL'AUTORITA'
di Erich Fromm
Prefazione
Erich Fromm (1900-1980)
Erich Fromm
(1900-1980)
Tra i maggiori esponenti del neo-freudismo americano troviamo assieme a Henry Stack Sullivan e Karen Horney soprattutto Erich Fromm. Uno dei libri più significativi di quest'ultimo è Avere o essere? (1976). In quest'opera Fromm mette sul conto della categoria dell'avere le repressioni come le ossessioni e i pervertimenti sessuali, il dispotismo del potere politico, il risentimento e l'invidia che sono alla base dei conflitti sociali. La modalità dell'essere ha invece come requisiti l'indipendenza, la libertà e la presenza della ragione critica. Essa si manifesta nel lavoro produttivo, che non è necessariamente quello dell'artista o dello scienziato, ma è caratterizzato dalla soddisfazione che gli è immanente, dalla gioia di una partecipazione attiva e responsabile ad un piano la cui utilità è evidente per tutti.
Nell'avere ed essere come esperienza quotidiana, da cui è tratto
L'esercizio dell'autorità,  Fromm afferma che dal momento che la società in cui viviamo è dedita all'acquisizione di proprietà e di guadagno, «raramente ci capita di trovarvi manifestazioni della modalità esistenziale dell'essere, e la maggior parte di noi considera la modalità dell'avere come la più naturale, anzi l'unico stile di vita accettabile». L'esercizio dell'autorità è - quindi - uno dei semplici esempi di come l'essere e l'avere si manifestano nella vita quotidiana.
Luca Liguori
(2 febbraio 2004)
 
L'esercizio dell'autorità
Un altro esempio della differenza tra le modalità dell'avere e dell'essere è fornito dall'esercizio dell'autorità. L'elemento cruciale è costituito dal divario tra avere autorità ed essere un'autorità. Quasi tutti noi esercitiamo, almeno per un certo periodo della nostra vita, un'autorità. Devono farlo coloro che allevano bambini, e che lo vogliano o meno, per proteggere i propri figli da pericoli e fornire loro almeno un minimo di consigli su come comportarsi in varie situazioni. In una società patriarcale, anche le donne sono oggetto di autorità per la maggior parte degli uomini. Gran parte dei membri di una società burocratica, gerarchicamente organizzata qual è appunto la nostra, esercita autorità, con l'eccezione di coloro che appartengono all'infimo livello sociale, e che sono soltanto oggetto di autorità.
Questa visione dell'autorità secondo le due modalità è possibile a patto che si riconosca che essa è un termine ampio, dotato di due significati affatto diversi: può essere sia «razionale» sia «irrazionale». L'autorità razionale si fonda sulla competenza, e aiuta a crescere coloro che a essa si appoggiano. L'autorità irrazionale si basa sul potere e serve a sfruttare la persona che a essa è asservita. (Ho trattato il divario in questione nel mio Escape from Freedom.)
Nelle società più primitive, vale a dire quelle dei cacciatori e raccoglitori, l'autorità viene esercitata dalla persona generalmente riconosciuta come competente: su quali doti si basi la competenza, dipende in larga misura dalle circostanze specifiche, ma generalmente nel novero devono rientrare esperienza, saggezza, generosità, abilità, «presenza» e coraggio. Presso molte di queste tribù, non esiste autorità permanente: un'autorità emerge in caso di necessità, oppure si hanno diverse autorità per differenti occasioni, come guerra, pratiche religiose, appianamento di contese. Quando accade che le qualità su cui si fonda l'autorità scompaiono o impallidiscono, l'autorità stessa ha fine. Una forma assai simile di autorità è rilevabile in molte società di primati, nell'ambito delle quali la competenza molto spesso non è stabilita dalla forza fisica, ma da qualità come l'esperienza e la «saggezza». Mediante un ingegnosissimo esperimento con scimmie, J.M.R. Delgado (1967) ha comprovato che, qualora l'animale dominante perda anche solo per un momento le qualità che ne costituiscono la competenza, la sua autorità cessa.
L'autorità secondo la modalità dell'essere non è fondata soltanto sulla competenza dell'individuo per quanto riguarda l'assolvimento di certe funzioni sociali, ma anche, e nella stessa misura, sulla vera essenza di una personalità pervenuta a un alto grado di crescita e integrazione. Persone del genere irradiano autorità e non sono costrette a impartire ordini, a minacciare, a corrompere; si tratta di individui altamente sviluppati i quali dimostrano, con ciò che sono - e non principalmente con ciò che fanno o dicono -, quello che gli uomini possono essere. I grandi Maestri di Vita erano appunto autorità del genere e, sia pure a un minor grado di perfezione, individui simili sono reperibili a tutti i livelli di istruzione e nelle più disparate culture. Per inciso, il problema dell'istruzione si impernia appunto su questo: se i genitori fossero essi stessi più sviluppati e capaci di autonomia, la contrapposizione tra educazione autoritaria ed educazione secondo il modello del laissez-faire non avrebbe ragione di esistere. Il bambino, che ha bisogno di quest'autorità secondo la modalità dell'essere, reagisce a essa con grande entusiasmo, mentre si ribella alle pressioni o all'indifferenza di individui che, con il loro stesso comportamento, dimostrano di non aver compiuto a loro volta lo sforzo che pretendono dal figlio che cresce.
In seguito alla formazione di società basate su un ordine gerarchico e assai più ampie e complesse di quelle dei cacciatori e raccoglitori, l'autorità basata sulla competenza cede il passo all'autorità basata sul rango sociale. Con questo, non si vuole dire che l'autorità esistente sia per forza di cose incompetente, ma soltanto che la competenza non costituisce un elemento essenziale dell'autorità. Che si abbia a che fare con l'autorità monarchica - nel qual caso, a decidere delle qualità della competenza è la lotteria dei geni - o con un criminale privo di scrupoli che riesca a diventare un'autorità mediante assassinii e tradimenti, oppure, come tanto di frequente accade nel moderno sistema democratico, con autorità elette sulla scorta della loro maggiore o minore fotogenia o della quantità di denaro che possono investire nella propria campagna elettorale, sono tutti casi in cui può mancare quasi assolutamente il rapporto tra competenza e autorità.
Ma gravi problemi sussistono anche nei casi di autorità istituita sulla base di una certa competenza: un leader può essere competente in un campo, incompetente in un altro (per esempio, un uomo di stato può rivelarsi competente in guerra e incompetente in una situazione di pace); oppure, un capo, onesto e coraggioso all'inizio della propria carriera, può perdere tali qualità perché cede alla seduzione del potere; ancora, l'età o disturbi fisici possono comportare un certo deterioramento. Infine, non va dimenticato che è molto più facile giudicare il comportamento di un'autorità per i membri di una piccola tribù, che non per i milioni di individui del nostro sistema, i quali conoscono il proprio candidato soltanto attraverso l'immagine artificiale creata da specialisti in pubbliche relazioni.
Quali che siano le ragioni della perdita delle qualità su cui si basa la competenza, è certo che in gran parte delle società vaste e gerarchicamente organizzate si verifica il processo di alienazione dell'autorità, nel senso che la competenza iniziale, effettiva o presunta, viene trasferita all'uniforme o al titolo dell'autorità. Se questa veste la divisa appropriata o si fregia del titolo adeguato, tale segno esteriore di competenza prende il posto della competenza effettiva e delle relative qualità. Il re - per usare questo titolo come simbolo di siffatto tipo di autorità - può essere idiota, perfido, malvagio, vale a dire del tutto incompetente a essere un'autorità, pure ha autorità. Finché è investito del titolo, si suppone che abbia le qualità della competenza; anche se l'imperatore è nudo, tutti credono che indossi splendidi abiti.
Il fatto che la gente scambi uniformi e titoli per le effettive qualità della competenza non è qualcosa che accade di per sé. Coloro che possiedono questi simboli di autorità e coloro che ne beneficiano devono attutire il modo di pensare realistico, vale a dire critico, dei loro subordinati, e far sì che credano alla finzione. Chiunque si soffermi a riflettere su quanto s'è detto, si renderà conto delle macchinazioni della propaganda, dei metodi cui si fa ricorso per togliere di mezzo il giudizio critico, di come la mente, mediante il ricorso a cliché, venga addormentata e sottomessa, di come la gente sia resa ottusa perché diventi dipendente e perda la capacità di prestar fede ai propri occhi e alla propria capacità di giudizio. Si è così resi ciechi alla realtà dalla finzione in cui si crede.
 
Erich Fromm

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