Leopardi alla Madonna: "Tu che sei grande e sicura, abbi pietà di tante miserie"
Da molto tempo, critici letterari famosi si confrontano sul tema del pessimismo di Giacomo Leopardi, se fosse autentico sino in fondo e non, invece, l'effetto di un matto amore, forte suo malgrado, per la vita e le sue speranze disilluse. Allo stesso modo emerge l'interrogativo sul suo sentimento religioso, ma, una perlustrazione integrale dell'opera leopardiana darà esiti impensati, perché il poeta più volte esalta la figura della Madonna e la invoca. Infatti, un argomento poco conosciuto, nonostante la popolarità del più grande poeta italiano dell'Ottocento, è il tenero, sorprendente legame intimo, che non diminuì mai, con la Vergine Maria.
Un legame nato al Santuario di Loreto (Ancona), dove Giacomo, dalla vicina Recanati andò più volte, fin da bambino, soprattutto condotto dal padre Monaldo, appassionato del mistero della traslazione della dimora di Maria, sulla quale condusse studi minuziosi e prolungati. Secondo la tradizione, la Santa Casa di Nazareth, il 10 dicembre 1294, era stata trasportata sul colle di Loreto. In quel luogo a lui così caro, il poeta porterà anche l'amico e scrittore Pietro Giordani, quando, nel settembre 1818, dopo i primi scambi epistolari, ottenne di poterlo ospitare nella casa paterna.
Il 23 novembre 1825, ventisettenne,il poeta scrisse una preghiera alla Madonna per la sorella Paolina: "A Maria. E' vero che siamo tutti malvagi, ma non ne godiamo, siamo tanto infelici. E' vero che questa vita e questi mali sono brevi e nulli, ma noi pure siam piccoli e ci riescono lunghissimi e insopportabili. Tu che sei già grande e sicura, abbi pietà di tante miserie".
Certamente, nello scrivere questa preghiera avrà ripensato ai momenti di raccoglimento che condivise da piccolo, con Paolina, davanti al dipinto della Madonna Consolatrice degli afflitti, che dominava nella cappella gentilizia dei conti Leopardi.
Il poeta, inoltre, lasciò altre due preghiere dedicate alla Madonna. La prima è l'invocazione contenuta nel quinto canto del poemetto in terzine dantesche, "Appressamento della morte", scritto nel dicembre 1816, a 18 anni: "O Vergin Diva, se prosteso mai / caddi in membrarti, a questo mondo basso / se mai ti dissi Madre e se t'amai, / deh tu soccorri lo spirito lasso / quando de l'ore udrà l'ultimo suono, / deh tu m'aita ne l'orrendo passo". Il richiamo a Dante, quindi, non si limitò alla metrica, perché la conclusione, proprio come nella "Divina Commedia", si incentrava su un'invocazione alla Santa Vergine. Giacomo invoca la Madonna perché possa soccorrerlo nell'ora della morte, un impeto del cuore che esprime anche negli abbozzi degli "Inni cristiani", progettati e mai attuati da Leopardi nell'estate del 1819.
Il critico letterario Giovanni Getto l'ha commentata così:"Sono poche righe, ma di una pienezza e di una sincerità tali da farne una preghiera unica, quale non è dato di trovare facilmente nella letteratura di devozione". Una invocazione che invita a pregare.
La seconda preghiera ,poco conosciuta, è "Alla Regina degli angeli e dei fiori": "Lodiamo la Vergine bellissima, / tutta purissima,il cui celeste candore / macchia giammai offuscò. / Lodiamo la Vergine che per la sua / purezza fu eletta ad essere madre / del Divin Salvatore. / Tutto a Lei dobbiamo, giacché per Lei / ci furono aperte le porte del cielo / e l'infernale serpente, nostro nemico, / venne conquiso. La Vergine di Nazaret / ci ha salvati, e qual gratitudine dovremmo / mai a sì nobile e gentile Signora? / Forse vi sarà fra le creature, / creatura più bella che la somigli / per bellezza e candore? / ...Noi con più confidenza ci appresseremo / a Lei per pregarla di tutto cuore che vegli / su di noi, che c'indirizzi pel retto sentiero / della virtù. Sì, arda il cuor nostro di amore / per sì cara fanciulla, / la quale è pur nostra madre...".
E, prima di morire (14 giugno 1837), nonostante precedentemente avesse detto di non credere a nulla, Giacomo si confessò e volle ricevere l'unzione degli infermi.
Giuseppe Pizzuti, docente
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