La bellezza di tutto il mondo di Dio e del suo grande mistero
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Quand’ero giovane, molto tempo fa, sono passati quasi quarant’anni,
padre Anfim ed io erravamo per tutta la Russia chiedendo la carità per il nostro monastero;
una notte pernottammo sulla riva di un grosso fiume navigabile, insieme ai pescatori, e
accanto a noi si venne a sedere un ragazzo contadino, d’aspetto dignitoso, sui diciotto
anni, a giudicare dall’apparenza; il giorno dopo doveva correre alla sua destinazione per
tirare un barcone di mercanti con l’alzaia. Notai che egli guardava dritto davanti a sé con
lo sguardo limpido e commosso. Era una notte di luglio, luminosa, calma, mite,
dall’ampio fiume saliva un vapore che ci rinfrescava, di tanto in tanto udivamo lo
sciacquettio dei pesciolini, gli uccellini tacevano, era tutto silenzioso e magnifico, ogni
cosa innalzava una preghiera a Dio. Noi due soltanto eravamo svegli, il ragazzo ed io, e
parlavamo della bellezza di tutto il mondo di Dio e del suo grande mistero.
Ogni filo d’erba, ogni moscerino, ogni formica e ape dorata, ogni creatura conosce il
proprio cammino così bene da lasciar sbalorditi, pur non avendone consapevolezza, essi
testimoniano del mistero divino, e lo realizzano incessantemente, questo io dicevo e
intanto vedevo che il cuore di quel giovane si infiammava. Mi disse che amava la foresta e
gli uccelli del bosco, era un buon uccellatore, conosceva il fischio di tutti gli uccelli,
sapeva come attirare ciascuna specie; disse pure che non c’era niente di più bello per lui
che stare nella foresta, ma del resto tutto era bello. “È vero”, gli risposi io, “è tutto bello e
magnifico perché tutto è verità. Guarda”, continuai, ” il cavallo, quell’animale sublime,
così vicino all’uomo, oppure il bue, che lo nutre e lavora per lui, pensieroso e a capo
chino, guarda le loro facce: quanta mitezza, quanta devozione verso l’uomo che pure
spesso li picchia senza pietà, quanta placidità, quanta fiducia e quanta bellezza nelle loro
facce! Quello che commuove è pensare che essi sono liberi da qualunque peccato, giacché
tutto è perfetto, tutto tranne l’uomo, tutto è senza macchia, e Cristo è con quelle creature
da più tempo che con noi”.
“Perché”, domandò il giovane, “Cristo è anche con loro?” “E come potrebbe essere
diversamente”, risposi io, “giacché il Verbo vale per tutti, e tutta la creazione e tutte le
creature, finanche ogni singola fogliolina, aspirano al Verbo, cantano la gloria di Dio,
piangono il Cristo, compiendo inconsapevolmente il mistero della loro vita libera da
peccato. Ecco”, gli dissi, “nella foresta si aggira un terribile orso, minaccioso e feroce, ma
lui non ne ha nessuna colpa”. E gli raccontai che una volta un orso si avvicinò ad un
grande santo in eremitaggio in una piccola cella nella foresta, e il grande santo ebbe pietà
di lui, uscì dalla sua cella, senza avere paura, e gli dette un pezzo di pane: “Va’ e che
Cristo sia con te!”, gli disse e la belva feroce si allontanò senza fargli del male. Il ragazzo
si commosse per il fatto che l’orso si fosse allontanato senza fare alcun male e che Cristo
era con lui. “Ah com’è bello, com’è bello e meraviglioso il mondo di Dio!” Se ne stava
seduto assorto nei suoi pensieri, tranquillo e sereno. Vidi che aveva capito. E scivolò
accanto a me nel suo sonno leggero e innocente.
Che Dio benedica la giovinezza! Pregai anche per lui e poi andai a dormire. Signore,
manda la pace e la luce al tuo popolo
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