Questa volta, invece, le
loro mani non volevano sciogliersi
Dalla lontana riva opposta giungeva, appena percettibile,
una canzone. Laggiù nella steppa immensa, inondata dal sole,
nereggiavano, puntini appena visibili, le tende dei nomadi.
Laggiù c'era la libertà e vivevano altri uomini, completamente
diversi da questi; laggiù era come se il tempo si fosse fermato,
come se non fossero ancora passati i secoli di Abramo e delle
sue greggi. Raskòlnikov, seduto, fissava quel panorama senza
distoglierne lo sguardo; dai pensieri passava alle fantasticherie,
alla pura contemplazione; non pensava a nulla, eppure una
strana angoscia lo agitava tormentandolo.
A un tratto, si trovò accanto Sònja. Si era avvicinata pian piano
e gli si era seduta accanto. Era ancora molto presto, il freddo
del mattino non s'era ancora attenuato. Lei indossava il suo
povero vecchio mantello e quel tale scialletto verde. Il suo viso
mostrava ancora i segni della malattia: era più magro, più
pallido, più affilato. Gli sorrise dolcemente, piena di gioia, ma,
come al solito, gli tese la mano quasi con timore.
Gliela tendeva sempre così, con timidezza, e a volte non gliela
tendeva affatto, come prevedendo che lui l'avrebbe respinta.
Lui la prendeva, di solito, quasi con avversione; in genere la
accoglieva con una specie di stizza, e spesso non apriva bocca
durante tutta la visita. Allora, lei sentiva quasi paura di lui, e se
ne andava profondamente addolorata Questa volta, invece, le
loro mani non volevano sciogliersi; egli le lanciò una rapida
occhiata, non disse niente e abbassò lo sguardo. Erano soli,
nessuno li vedeva. La guardia di scorta, in quel momento,
guardava da un'altra parte.
Nemmeno lui, poi, avrebbe saputo dire com'era accaduto. A un
tratto si sentì come afferrato e gettato ai piedi di lei. Piangeva,
e le abbracciava le ginocchia. Dapprima Sònja si spaventò a
morte, il viso le si fece d'un pallore mortale.
Balzò in piedi e lo guardò tremando; ma subito, in quello stesso
istante, capì tutto. Nei suoi occhi brillò una felicità infinita;
capì, e per lei non ci fu più alcun dubbio: egli l'amava, l'amava
immensamente: alla fine, quel momento tanto atteso era
arrivato...
Avrebbero voluto parlare, ma non potevano. Avevano le
lacrime agli occhi. Tutti e due erano pallidi e magri, ma sui loro
volti sbiancati dalla malattia splendeva già la luce di un futuro
diverso, di una completa rinascita, di una vita nuova. Li aveva
risuscitati l'amore: il cuore dell'uno, ormai, racchiudeva
un'inesauribile sorgente di vita per il cuore dell'altro.
Erano decisi ad attendere, a pazientare. Restavano loro ancora
sette anni di quella vita; e prima d'allora, quanto intollerabile
dolore e quanta felicità! Ma egli era rinato e lo sapeva, lo
sentiva con certezza in tutto il suo essere rinnovato; e lei, lei
non viveva che della vita di lui! La sera di quello stesso giorno,
quando le baracche erano già state chiuse, Raskòlnikov,
sdraiato sul tavolaccio, pensava a Sònja. Quel giorno, gli era
sembrato perfino che gli altri forzati, prima suoi nemici, lo
guardassero in un modo diverso. Era stato lui a rivolger loro
per primo la parola, e loro gli avevano risposto affabilmente.
Se ne rendeva conto solo adesso; ma non era giusto, del resto,
che fosse così? Ogni cosa, ormai, non doveva forse mutare?
Pensava a lei. Ricordò come l'aveva sempre tormentata, come
aveva straziato il suo cuore; ricordò il suo visino pallido,
smunto; ma quei ricordi non lo facevano più soffrire: sapeva
con che amore infinito, ormai, avrebbe ripagato tutte le sue
sofferenze.
E poi, che importanza avevano, ora, tutte le pene passate? Ogni
cosa, perfino il suo delitto, perfino la condanna e la
deportazione, gli parvero allora, in quel primo impulso, come
fatti esteriori, estranei, cose che non erano accadute a lui.
Quella sera, tuttavia, non gli era possibile pensare a lungo ad
una sola cosa, né concentrarsi in un solo pensiero; non riusciva
a ragionare su nessun problema: poteva soltanto sentire... Alla
dialettica era subentrata la vita, e nella sua coscienza si
preparava ormai qualcosa di completamente, oscuramente
diverso.
Sotto il suo guanciale c'era il Vangelo. Lo prese
macchinalmente. Quel libro apparteneva a lei, era lo stesso dal
quale lei gli aveva letto i versetti sulla resurrezione di Lazzaro.
Nei primi tempi della sua deportazione, egli pensava che Sònja
lo avrebbe tormentato con la religione, che si sarebbe messa a
parlargli del Vangelo e a imporgli di leggere dei libri.
Invece, con sua grandissima sorpresa, lei non aveva affrontato
nemmeno una volta quest'argomento, e nemmeno gli aveva mai
offerto il Vangelo. Era stato lui a chiederglielo, poco prima
della sua malattia, e lei gli aveva portato il libro senza una sola
parola. Fino a quel momento, del resto, lui non l'aveva
nemmeno aperto.
Nemmeno adesso l'aprì; ma per la mente gli passò, rapido,
questo pensiero: «Posso non avere le sue stesse convinzioni,
ormai? O almeno, i suoi stessi sentimenti, le sue stesse
aspirazioni?...»
Anche lei fu molto agitata, tutto quel giorno, e di notte si sentì
perfino male di nuovo. Ma era così felice da aver quasi paura
della sua stessa felicità. Sette anni, soltanto sette anni!
All'inizio della loro felicità, in quei primi momenti, tutt'e due
erano pronti a considerare quei sette anni come sette giorni...
Egli ignorava perfino che quella nuova vita non gli veniva data
così, gratuitamente; che avrebbe dovuto pagarla, e a caro
prezzo: pagarla compiendo qualcosa di grande negli anni a
venire.
Ma qui, ormai, comincia una nuova storia, la storia della
rinascita di un uomo, della sua graduale trasformazione, del
suo lento passaggio da un mondo a un altro mondo, del suo
incontro con una realtà nuova e fino a quel momento
completamente ignorata. Potrebbe essere l'argomento di un
nuovo racconto; ma il nostro, intanto, è finito
Nessun commento:
Posta un commento