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venerdì 3 dicembre 2021

Questa volta, invece, le loro mani non volevano sciogliersi

Questa volta, invece, le

loro mani non volevano sciogliersi

 Dalla lontana riva opposta giungeva, appena percettibile,

una canzone. Laggiù nella steppa immensa, inondata dal sole,

nereggiavano, puntini appena visibili, le tende dei nomadi.

Laggiù c'era la libertà e vivevano altri uomini, completamente

diversi da questi; laggiù era come se il tempo si fosse fermato,

come se non fossero ancora passati i secoli di Abramo e delle

sue greggi. Raskòlnikov, seduto, fissava quel panorama senza

distoglierne lo sguardo; dai pensieri passava alle fantasticherie,

alla pura contemplazione; non pensava a nulla, eppure una

strana angoscia lo agitava tormentandolo.

A un tratto, si trovò accanto Sònja. Si era avvicinata pian piano

e gli si era seduta accanto. Era ancora molto presto, il freddo

del mattino non s'era ancora attenuato. Lei indossava il suo

povero vecchio mantello e quel tale scialletto verde. Il suo viso

mostrava ancora i segni della malattia: era più magro, più

pallido, più affilato. Gli sorrise dolcemente, piena di gioia, ma,

come al solito, gli tese la mano quasi con timore.

Gliela tendeva sempre così, con timidezza, e a volte non gliela

tendeva affatto, come prevedendo che lui l'avrebbe respinta.

Lui la prendeva, di solito, quasi con avversione; in genere la

accoglieva con una specie di stizza, e spesso non apriva bocca

durante tutta la visita. Allora, lei sentiva quasi paura di lui, e se

ne andava profondamente addolorata Questa volta, invece, le

loro mani non volevano sciogliersi; egli le lanciò una rapida

occhiata, non disse niente e abbassò lo sguardo. Erano soli,

nessuno li vedeva. La guardia di scorta, in quel momento,

guardava da un'altra parte.

Nemmeno lui, poi, avrebbe saputo dire com'era accaduto. A un

tratto si sentì come afferrato e gettato ai piedi di lei. Piangeva,

e le abbracciava le ginocchia. Dapprima Sònja si spaventò a

morte, il viso le si fece d'un pallore mortale.

Balzò in piedi e lo guardò tremando; ma subito, in quello stesso

istante, capì tutto. Nei suoi occhi brillò una felicità infinita;

capì, e per lei non ci fu più alcun dubbio: egli l'amava, l'amava

immensamente: alla fine, quel momento tanto atteso era

arrivato...

Avrebbero voluto parlare, ma non potevano. Avevano le

lacrime agli occhi. Tutti e due erano pallidi e magri, ma sui loro

volti sbiancati dalla malattia splendeva già la luce di un futuro

diverso, di una completa rinascita, di una vita nuova. Li aveva

risuscitati l'amore: il cuore dell'uno, ormai, racchiudeva

un'inesauribile sorgente di vita per il cuore dell'altro.

Erano decisi ad attendere, a pazientare. Restavano loro ancora

sette anni di quella vita; e prima d'allora, quanto intollerabile

dolore e quanta felicità! Ma egli era rinato e lo sapeva, lo

sentiva con certezza in tutto il suo essere rinnovato; e lei, lei

non viveva che della vita di lui! La sera di quello stesso giorno,

quando le baracche erano già state chiuse, Raskòlnikov,

sdraiato sul tavolaccio, pensava a Sònja. Quel giorno, gli era

sembrato perfino che gli altri forzati, prima suoi nemici, lo

guardassero in un modo diverso. Era stato lui a rivolger loro

per primo la parola, e loro gli avevano risposto affabilmente.

Se ne rendeva conto solo adesso; ma non era giusto, del resto,

che fosse così? Ogni cosa, ormai, non doveva forse mutare?

Pensava a lei. Ricordò come l'aveva sempre tormentata, come

aveva straziato il suo cuore; ricordò il suo visino pallido,

smunto; ma quei ricordi non lo facevano più soffrire: sapeva

con che amore infinito, ormai, avrebbe ripagato tutte le sue

sofferenze.

E poi, che importanza avevano, ora, tutte le pene passate? Ogni

cosa, perfino il suo delitto, perfino la condanna e la

deportazione, gli parvero allora, in quel primo impulso, come

fatti esteriori, estranei, cose che non erano accadute a lui.

Quella sera, tuttavia, non gli era possibile pensare a lungo ad

una sola cosa, né concentrarsi in un solo pensiero; non riusciva

a ragionare su nessun problema: poteva soltanto sentire... Alla

dialettica era subentrata la vita, e nella sua coscienza si

preparava ormai qualcosa di completamente, oscuramente

diverso.

Sotto il suo guanciale c'era il Vangelo. Lo prese

macchinalmente. Quel libro apparteneva a lei, era lo stesso dal

quale lei gli aveva letto i versetti sulla resurrezione di Lazzaro.

Nei primi tempi della sua deportazione, egli pensava che Sònja

lo avrebbe tormentato con la religione, che si sarebbe messa a

parlargli del Vangelo e a imporgli di leggere dei libri.

Invece, con sua grandissima sorpresa, lei non aveva affrontato

nemmeno una volta quest'argomento, e nemmeno gli aveva mai

offerto il Vangelo. Era stato lui a chiederglielo, poco prima

della sua malattia, e lei gli aveva portato il libro senza una sola

parola. Fino a quel momento, del resto, lui non l'aveva

nemmeno aperto.

Nemmeno adesso l'aprì; ma per la mente gli passò, rapido,

questo pensiero: «Posso non avere le sue stesse convinzioni,

ormai? O almeno, i suoi stessi sentimenti, le sue stesse

aspirazioni?...»

Anche lei fu molto agitata, tutto quel giorno, e di notte si sentì

perfino male di nuovo. Ma era così felice da aver quasi paura

della sua stessa felicità. Sette anni, soltanto sette anni!

All'inizio della loro felicità, in quei primi momenti, tutt'e due

erano pronti a considerare quei sette anni come sette giorni...

Egli ignorava perfino che quella nuova vita non gli veniva data

così, gratuitamente; che avrebbe dovuto pagarla, e a caro

prezzo: pagarla compiendo qualcosa di grande negli anni a

venire.

Ma qui, ormai, comincia una nuova storia, la storia della

rinascita di un uomo, della sua graduale trasformazione, del

suo lento passaggio da un mondo a un altro mondo, del suo

incontro con una realtà nuova e fino a quel momento

completamente ignorata. Potrebbe essere l'argomento di un

nuovo racconto; ma il nostro, intanto, è finito

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