Cultura
PASCOLI/
Può il nostro sguardo "vedere" l'assenza?
mercoledì 22 agosto 2012
Ci si
avvia alla fine del centenario dalla morte di Pascoli, alla fine dei
numerosi convegni in cui sì è parlato e riparlato del poeta dal punto di
vista del linguaggio, delle tematiche, delle scelte stilistiche, e
forse sì, anche un poco del grande mistero che portà in sé la sua
poesia. “La poesia è poesia quando porta in sé un segreto”
diceva il grande Ungaretti, e se siamo disposti ad ascoltarlo e a
metterci in discussione, Pascoli il suo segreto ce lo fa intravedere.
Oggi al Meeting di Rimini si discuterà proprio della poesia di Giovanni
Pascoli come combustione di mistero ed estenuante ricerca del vero. A
farlo sarà Davide Rondoni, che in un recente articolo parlando di
Pascoli diceva: “Poeta del dettaglio e di cosmogonie, curvo sulle
Myricae e attonito spettatore d’un misterioso nulla universale, Pascoli
racconta di aver assunto la sua attitudine poetica in certe sere in cui
la madre, vedova per l’omicidio del marito, stava davanti a casa a
fissare chissà cosa all’orizzonte. Uno sguardo vedovo, dunque. E cosa è
uno sguardo del genere? E’ pieno di una presenza e di una assenza
contemporaneamente. Sguardo che vede l’assente. Fissa chissà cosa.
Avverte la presenza piangendone l’assenza”.
La duplicità è sempre presente nella
poesia di Pascoli, come se lui e le sue parole stessero continuamente in
bilico tra assenza e presenza, cielo e terra, vita e morte. Questi
elementi stanno nel mondo in compresenza, come quando nella prefazione
ai Canti di Castelvecchio dice: “Ma la
vita, senza il pensier della morte, senza, cioè, religione, senza quello
che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o intermittente o
continuo, o stolido o tragico”. Oppure nel poema Il Ciocco: “[…]
Tempo sarà che Tu, Terra, percossa/ dall’urto di una vagabonda mole/,
divampi come una meteora rossa;/ e in te scompaia, in te mutata in
Sole/, morte con vita, come arde e scompare/ la carta scritta con le sue
parole”.
La vita nella morte e la morte nella vita sono un aspetto fondamentale della poesia pascoliana, non a caso i Canti di Castelvecchio
sono dedicati ai genitori, poiché la poesia non li lasci essere morti,
ma che doni vita, che faccia fiorire grandi Ninfee sulle loro tombe.
Duplicità nello sguardo tra cielo e terra, si diceva prima. Quando ci
fa guardare il cielo, Pascoli lo fa con una precisione estrema, ci
nomina decine di stelle, ci parla di soli e pianeti e universi. Ma
sapere i nomi delle stelle non basta, Pascoli si ritrova di fronte
all’infinito e allo spavento che l’infinito può dare. Sempre da Il Ciocco: “[…]
Ma se al fine dei tempi entra il silenzio?/ Se tutto nel silenzio
entra? La stella/ della rugiada e l’astro dell’assenzio?/ Atair? Algol?
Se, dopo la procella/ dell’Universo, lenta cade e i Soli/ la neve della
Eternità cancella?/ […]/ errerà forse, in quell’eremitaggio/ del Cosmo,
alcuno in cerca del mistero/; e nello spettro ammirerà d’un raggio/ la
traccia ignita dell’uman pensiero”.
Ecco
cosa vorrebbe che rimanesse nell’universo dopo il nostro passaggio: il
pensiero umano. Il pensiero, luce dell’uomo, secondo una visione non
religiosa, ma strenuamente attenta al rapporto tra limite e infinito,
tra universale e particolare. Il titolo dell’incontro al Meeting è
“…sotto le stelle, il libro del mistero”. Il libro del mistero è quello
che un uomo osservato da Pascoli sfoglia e risfoglia nella poesia Il libro, appartenente ai Primi Poemetti. “Sosta...
Trovò? Non gemono le porte/ più, tutto oscilla in un silenzio austero./
Legge?... Un istante; e volta le contorte/ pagine, e torna ad inseguire
il vero. […] Sempre. Io lo sento, tra le voci erranti,/ invisibile, là,
come il pensiero,/ che sfoglia, avanti indietro, indietro avanti,/
sotto le stelle, il libro del mistero”. Pascoli, avendo sfogliato
le pagine del mondo con la sua poesia carica di mistero e auscultazione
di quanto ci circonda, si cala perfettamente nel tema del Meeting 2012:
“La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”.
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