La fortuna dei redenti
***
di Giacomo Biffi
Gesù di Nazaret, nato a Betlemme duemila anni fa,
morto crocifisso e dissanguato sull’altura del Golgota, è risorto e oggi
è vivo: veramente, realmente, corporalmente vivo.
Un gruppo di donne ansiose e spaventate, un gruppo di
uomini increduli e senza speranza, sono progressivamente arrivati a
questa certezza, incalzati da una serie di esperienze inconfutabili:
prima il sepolcro aperto e vuoto, segno che alla morte la sua più ambita
preda era stata ritolta; poi l’annunzio dell’angelo, messaggero
splendente del cielo (“è risorto, non è qui”); infine l’incontro aperto
con lo stesso Maestro amato, ritornato alla vita.
I medesimi occhi che l’avevano contemplato
agonizzante sul patibolo, adesso lo vedono eloquente e palpitante nel
fulgore di un’esistenza nuova. Le medesime mani che avevano composto
nella tomba le sue membra inerti, adesso lo toccano e lo stringono vivo e
concreto, tanto che possono mettere il dito nelle sue mani piagate e la
mano nella ferita del suo costato (cf Gv 20,27).
Questa fede dei primi discepoli ha raggiunto tutte le
regioni della terra, ha attraversato i secoli ed è arrivata a noi. E
noi stanotte, qui come in tutte le chiese del mondo, ancora una volta
l’abbiamo proclamata; e ci siamo lasciati avvolgere dalla sua luce e
permeare dalla sua gioia.
“Sarete miei testimoni fino agli estremi confini
della terra” (cf At 1,8), aveva detto agli Apostoli. Essi hanno
obbedito, anche a prezzo del loro sangue. La loro parola è giunta fino a
noi, e così anche noi abbiamo avuto la fortuna di celebrare la Pasqua
del Signore.
Il germe della verità salvifica e della vita risorta è
penetrato nel nostro essere mediante il battesimo. Rinascendo
dall’acqua e dallo Spirito Santo, secondo la parola di Gesù (cf Gv 3,5)
diventiamo “figli della luce” (cf Gv 12,36) e “figli della risurrezione”
(Lc 20,36), e tutta la realtà ai nostri occhi si trasfigura: i giorni
dell’uomo, che sembrano così spesso vani e insignificanti, acquistano
uno scopo e una mèta; il dolore si apre a una speranza; la solitudine ha
una compagnia, il peccato ha un perdono; la morte diventa l’ingresso a
un’esistenza più vera.
* * *
“Sarete miei testimoni”: adesso gli “apostoli” siamo
noi, tocca a noi portare ai nostri contemporanei la “buona notizia”
della vittoria pasquale. Domandiamo allora, in questa “santissima
notte”, la grazia di saper rendere la nostra apostolica testimonianza
con le parole e con la vita.
Dobbiamo testimoniare che la vita ha uno scopo. In
una società che amplifica ed esalta i mezzi e gli agi, mentre ignora e
censura le ultime finalità e le ragioni, i credenti nella risurrezione
mostrino e dimostrino senza pavidità che non nell’egoismo
individualistico, non nel permissivismo senza regole, non nelle varie
evasioni deliranti va ricercata la strada per arrivare alla felicità, ma
nella perenne novità della rivoluzione cristiana. Solo il Signore
risorto può ridare senso e bellezza ai giorni dell’uomo.
Dobbiamo testimoniare che il dolore ha una luce di speranza. Chi
si rifiuta di collegarlo col mistero della sofferenza e della gloria di
Cristo, non lo elimina e non lo riduce; soltanto lo rende un’assurdità
atroce che non può essere sopportata. Al chiarore dell’evento pasquale
invece la sofferenza umana si sublima e si rivela nella sua autentica
natura di prova, di purificazione, di redenzione, di premessa alla gioia
che non vien meno.
Dobbiamo testimoniare che la solitudine umana ha una compagnia, perché
Cristo risorto è davvero vicino a ciascuno di noi. Mai come oggi l’uomo
si sente così spesso derelitto ed estraniato, nel suo ambiente di
lavoro, nella sua città, perfino nella sua famiglia. Mai come oggi
avverte la necessità pungente di qualcuno che lo ascolti, che lo
conforti, che l’aiuti. Ogni comunità cristiana è interpellata da questo
isolamento multiforme, che domanda il soccorso della sua attenzione e
del suo amore fraterno così che appaia meno astratta e lontana la
promessa di colui che ha detto: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni
fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
Dobbiamo testimoniare che non c’è peccato che non possa avere perdono. Non
c’è vita sbagliata, non c’è abitudine cattiva, non c’è sgomento di
rimorso, che non trovi in Cristo riparazione e ripresa. Il Figlio di Dio
è morto per noi, per liberarci da ogni possibile male; ed è risorto
perché ogni esistenza, per quanto contaminata e deteriorata, rinasca in
una riconquistata purezza e ritrovi la sua vocazione all’autentica
gioia.
Dobbiamo testimoniare che la morte diventa, in
Cristo risorto, il transito sereno dalle tristezze della terra al lieto
splendore del Regno di Dio. Non è più la catastrofe che annienta e
vanifica tutto; non è più il salto nel baratro orrendo del nulla; non è
più la sconfitta dell’uomo, definitiva e senza rivincita. E’ anzi la
nostra piena realizzazione, è il passaggio al mondo eterno, dove tutto
si invera, dove ogni nostro anelito si placa, dove si ricostituisce la
comunione gratificante con coloro che abbiamo amato e che ci hanno
amato.
* * *
“Sarete miei testimoni”.
Grande, come si vede, è la fortuna dei redenti e
rinnovati dalla Pasqua del Signore, grande è la fortuna del popolo dei
battezzati.
Ma grande è anche il compito che essi ricevono dal
Risorto, alta e impegnativa la loro missione. Colui che ce l’affida,
proprio perché possiamo rendergli una buona testimonianza non manca mai
di effondere su di noi – dalla destra del Padre dove regna glorioso – il
vigore, la consolazione, il coraggio del suo Spirito di verità.
OMELIA NELLA SANTA MESSA DELLA NOTTE NELLA SOLENNE VEGLIA PASQUALE
Sabato 22 aprile2000 – ore 22,30 – Cattedrale San Pietro
Sabato 22 aprile2000 – ore 22,30 – Cattedrale San Pietro
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