Quella sera di Natale del 1886
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“C’è una cosa, Dio supremo, che Tu non puoi fare. / Ed è di impedire
che io Ti ami”. L’amore radicale, oseremmo dire bruciante, che il poeta
nutre nei confronti di Dio è espresso da due versi fulminanti in cui la
supplica si fa assoluta. Paul Claudel nella primavera
del 1900, all’età di 32 anni, si era presentato all’abbazia benedettina
di Solesmes, e qualche mese più tardi a quella di Ligugé per un ritiro.
Ma aveva compreso di non essere fatto per la vita monastica. “Fu un
momento molto crudele nella mia vita”, scrive a Louis Massignon nove
anni dopo. “Benché non sia piaciuto a Dio di farmi uno dei suoi preti,
amo profondamente le anime”, dirà ad André Gide con cui, insieme a
Jacques Rivière, fonderà La Nouvelle Revue française (1909).
Da questo momento Claudel decide di praticare la letteratura come una sorta di sacerdozio.
Sente che è questa la sua missione. E per guadagnare le anime a Dio
mette in scena le questioni morali e spirituali proprie del
cattolicesimo testimoniando i piani divini attraverso le realtà
terrestri. A tutt’oggi è riconosciuto come uno dei massimi autori
francesi del Novecento e le sue opere teatrali sono ancora rappresentate
con successo in tutto il mondo.
Era nato a Villeneuve-sur-Fère il 6 agosto 1868 –
giorno della Trasfigurazione, come lui stesso noterà anni più tardi -, e
alla nascita viene consacrato alla S. Vergine, come primo maschio. A
Villeneuve resta solo due anni, poiché il padre, che era conservatore
delle ipoteche, è costretto dal suo lavoro a continui trasferimenti,
finché nel 1882, a 13 anni, si trasferisce a Parigi con la madre e le
sorelle. Al liceo ‘Louis Le Grand’ è un allievo molto brillante: legge
Baudelaire, scopre con passione Goethe, ma è verso il poeta Arthur
Rimbaud che sente di avere una sorta di “filiazione spirituale”, forse
perché percepisce nel precoce genio letterario, sotto le apparenze di
una vita da maudit, la sua stessa sete bruciante di assoluto.
Anche Paul è un ribelle. Tutto gli dà noia. Tutto in quei primi anni
giovanili, imbevuto di idee positiviste, gli risulta intollerabile, la
morte come la vita, la solitudine e la compagnia. Comincia a cercare
delle risposte che sazino la sua fame esistenziale. Simpatizza con il
movimento anarchico del suo tempo e inizia a frequentare i “martedì
letterari” di Mallarmé. Dai quattordici ai vent’anni vive il tempo
difficile della crisi adolescenziale. “Chi sono io?”,
si chiede il giovanissimo Paul, e non sa trovare risposta. In questo
periodo, abbandonate le pratiche religiose dell’infanzia, non ha punti
fermi nella sua vita. E’ introverso e solitario. Nessuno, in famiglia
come nella cerchia di amici, sospetta la crisi profonda in cui è
immerso.
Legge molto, ma confusamente: i romanzi di Hugo, di Zola, “La vie de Jésus”
di Renan. Al liceo ‘Louis Le Grand’ imperversa la moda del positivismo
materialista di Taine e di Renan che invece di placare acuisce la sua
inquietudine interiore. Del mondo ha una visione tanto cupa e disperata
che non ha il coraggio di comunicare ad anima viva. La prima luce gli
viene dalla lettura dei versi di Rimbaud, poi accadrà quello che sarà
l’evento decisivo della sua vita. A diciotto anni, la sera di Natale del 1886,
Paul va ad ascoltare i Vespri a Notre-Dame e lì avviene il “giro di
boa”, una conversione così potente, che imprimerà un segno fortissimo
non solo alla sua anima ma finirà per avvolgere e racchiudere tutta la
sua esperienza letteraria. Colpito dal canto del Magnificat durante la
funzione dei Vespri, egli avverte il sentimento vivo della presenza di
Dio. “In un istante – scrive – il mio cuore fu toccato e io
credetti”. Claudel in quell’istante si è sentito chiamato
inequivocabilmente alla scrittura. Si può dire che solo ora comincia la
sua attività letteraria, che non sarà mai disgiunta dal suo percorso di
fede ma costituirà un tutt’uno con esso, divenendone per questo
strumento di conoscenza e di espressione artistica.
Tre anni dopo pubblica l’opera teatrale “Testa d’oro”.
“Certamente – gli dirà Mallarmé – il teatro è in lei”. Ma Paul in
quegli anni decide di impegnarsi soprattutto nel diritto e nelle scienze
politiche; superato un concorso comincia a lavorare presso il ministero
degli affari esteri. Viene nominato viceconsole e mandato a New York,
successivamente a Boston (1893). Lì stabilisce quella che sarà la sua
regola di vita: sveglia ogni mattina alle 6 per pregare o recarsi a
Messa; lavori personali fino alle 10, il resto del tempo dedicato alla
diplomazia. Scrive due nuove pièces, “La città” e “Lo scambio”,
in cui esprime la sua scoperta della città e della società del
profitto. Sente di aver trovato nel poema e soprattutto nel teatro la
sua personale forma espressiva. Il suo stile è impetuoso, passionale,
quasi violento, a tratti impenetrabile. Pensiamo per esempio al primo
abbozzo del dramma “La giovane Violaine” che nasce da una antitesi
potente, e irrisolta, tra cielo e terra, tra l’attaccamento profondo
alle cose del mondo e il desiderio ineludibile di Dio, che nessuna brama
terrena, appagata o no, può mai riuscire a saziare.
A 27 anni s’imbarca per la Cina. Su consiglio del suo confessore,
porta con sé le due “summe” di Tommaso d’Aquino, che leggerà per cinque
anni. Qui scrive la prima parte di “Conoscenza dell’Est”, la sua prima opera in prosa, che i contemporanei definiscono come il massimo traguardo raggiunto dalla lingua francese.
Nel 1909 lascia la Cina per andare a Praga: qui termina “L’Annonce faite à Marie”,
una delle più belle pièce teatrali di tutti i tempi, che sarà
rappresentato per la prima volta al Théátre de l’Oeuvre di Parigi nel
1912, ricevendo un’accoglienza trionfale da un pubblico costituito
soprattutto di giovani. La pièce s’incentra su un tema particolarmente
caro a Claudel: ogni essere umano vive nel mondo per volontà di Dio che
ha affidato a ciascuno una missione specifica sulla terra. E’ un compito
unico che ciascuno ha per sé, diverso da tutti gli altri, ma che
concorre alla fine all’armonia di tutto il creato. Lo stesso titolo
dell’opera ne spiega la portata: l’annuncio dell’angelo a Maria Vergine
fu il segno concreto della volontà divina che chiamava la giovane ad una
missione nel mondo che avrebbe non solo sconvolto la sua vita ma
cambiato radicalmente le sorti dell’intera umanità. E’ stato il
manifestarsi, limpido e concreto, di una vocazione. L’Annuncio
di Claudel parte da questo dato per porre in luce l’errore che può
compiere l’essere umano di fronte a questo, ritenendo che la propria
vocazione dipenda in ultima analisi esclusivamente da se stessi.
Dopo la cessazione dall’attività diplomatica avvenuta nel 1935,
Claudel si ritira nel suo castello di Brangues per dedicarsi
intensamente all’esplorazione dei segreti e dei misteri di quella che
per lui è la fonte di ogni poesia e di ogni grazia, la Bibbia, scrivendo
numerosi commenti alla Sacra Scrittura: “L’Introduction au Livre de Ruth” (1937), “Un poète regarde la Croix” (1938), “Le Cantique des Cantiques” (1948-1954), “L’Apocalypse” (1952), solo per citare i più noti.
Per il teatro realizza altre pièces, come “La crisi meridiana”, “La scarpina di raso” e l’oratorio drammatico “Il libro di Cristoforo Colombo”.
Ma rimane “L’Annuncio a Maria” l’opera che Claudel amava di
più. Quando, nel 1955, venne rappresentata alla Comédie-Française, si
organizzò la replica nel suo appartamento. La prima ebbe luogo il 17
febbraio, di fronte al presidente della Repubblica. Ma solo cinque
giorni più tardi il cuore di Paul Claudel cedette. Morì infatti il 23
febbraio 1955, poco dopo aver ricevuto la comunione. Le ultime parole
che il figlio maggiore intese dalla sua bocca furono: “Non ho paura”.
(c) Maria Di Lorenzo – all rights reserved
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