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Due
storie toccanti di chi ha servito in prima persona la cultura della
morte e ora, proprio perché forte di questa esperienza, si batte per la
cultura della vita.
Dal sito della Pro-Life Action League conosciamo la storia di Carol Everett, medico ed ex-abortista americana: «Quando abbiamo aperto la nostra primi clinica», racconta oggi, «nel primo mese abbiamo procurato 45 aborti. L’ultimo mese che ci sono stata, avevamo procurato oltre 500 aborti in un mese». Un lavoro redditizio, dato che ha fruttato oltre un milione di dollari l’anno. La
svolta nella vita di Carol avvenne proprio poco dopo l’apertura della
quinta clinica “della morte”: lei e il marito ebbero necessità di
un consulente finanziario, guarda caso cristiano, che
fu determinante per la loro conversione. Carol, che anni prima aveva
abortito il terzo figlio su pressione del marito e da allora era
lentamente caduta in una spirale di infelicità, rimase folgorata dalle sue ragioni,
e il 27° giorno di consulenza abbandonò la sua carriera di abortista.
Prese avvio la sua missione di medico pro-life: la prima accusa fu
rivolta ai servizi telefonici pensati per le giovani rimaste incinte, i
quali subdolamente instillano l’idea dell’aborto senza menzionare
l’ipotesi di tenere il bambino.
Da esperta ex-abortista, Carol spiega: «In realtà, non ci sono parole per descrivere l’aborto». Non solo perché è estremamente doloroso per una donna, «ho visto sei persone dover tenere ferma una donna mentre le procuravano l’aborto», ma perché lo è ancora di più per il bambino, ucciso in modo straziante. Le reazioni? «Due»
– risponde. La prima è che la donna dica: “ho ucciso il mio bambino”.
E’ la reazione più comune e la più sana, dimostra che la donna si rende conto
di ciò che ha fatto ed è pronta ad affrontare la cosa per conviverci
per il resto della sua vita. La seconda è che la donna invece decida di negare ciò che ha fatto, non lo vuole affrontare, e rifiuta il pensiero. «Le persone si rendono conto di aver ucciso il loro figlio in media dopo cinque anni», riflette oggi la dott.ssa Everett, la quale si dice convinta del fatto che ogni volta che gli attivisti pro-life manifestano davanti una clinica, accendono una luce dentro di essa, perché rendono coloro che vanno ad abortire responsabili delle loro azioni, li
portano a riflettere. Questa è la missione che Carol si è posta, e che
ha reso la sua vita finalmente felice, vissuta in pienezza.
Su “Tempi.it” un’altra storia ricca di significato. E’ quella di Antonio Oriente, medico italiano e anche lui ex abortista (ne avevamo già parlato). Appena laureato ha cominciato a praticare gli aborti: «La legge diceva che si poteva fare. Non c’è modo migliore di evitare le proprie responsabilità». Però, «accadeva che alla fine degli interventi, quasi inconsciamente, facevo terminare l’operazione alle infermiere». Pensava di aiutare i pazienti, «ma mi sbagliavo: dandogli la possibilità di uccidere un figlio rovinavo anche loro e mentivo a me stesso». Poi l’incontro con la sua futura moglie, pediatra: «una
donna che lottava per la vita e amava i bambini. Mi ha sposato senza
sapere che ero abortista e quando l’ha scoperto ha cercato di farmi
smettere, ma io non ci sentivo proprio». Ironia della sorte, lui che per lavoro uccideva i figli degli altri, non riusciva ad averne di suoi: «Tornavo
a casa la sera e mia moglie piangeva. Così cominciai a crollare: ero
stimato, risolvevo i problemi della sterilità altrui, ma davanti a mia
moglie ero impotente. Davo risposte a tutti e non riuscivo a darne una a
me».
Una sera una coppia di pazienti, vedendolo in questo stato, lo invitano senza successo ad un incontro di preghiera,
cosa troppo distante da lui. Tuttavia dopo alcuni giorni cambia idea,
ritrovandosi in una chiesa dedicata alla Madonna del Rosario durante un
incontro del movimento ecclesiale “Rinnovamento nello Spirito”. Tornerà più volte a questo appuntamento, fino a cambiare intimamente: «Ho
visto tutta la verità e ho cominciato a pregare davanti al crocifisso.
Mi sono reso conto che chiedevo un figlio a un Padre buono mentre
uccidevo quelli degli altri». Arriva anche la promessa di interrompere l’attività abortista: «Da quel giorno non ho più smesso di lottare per la vita. Viaggio in tutta Europa per combattere la cultura della morte,
per dire che cosa sono aborto e fecondazione assistita, per dire che
non c’è problema economico, familiare o di relazione che non si possa
affrontare e per raccontare che la vita ripaga sempre. Non mi può fermare nessuno: ora voglio tutelare la vita che ho bistrattato e ucciso per tanti anni».
Ma la conversione non è mai senza prezzo. Contrariamente a quanto si dice, gli obiettori di coscienza trovano grosse difficoltà: Il dott. Oriente ha ricevuto minacce dai superiori:
“non puoi rifiutarti di dare la pillola”; “non puoi rifiutarti di
rilasciare i certificati abortivi, non esiste obiezione di coscienza”.
Oggi la vita di Antonio è più difficile, eppure afferma: «Ringrazio
il Signore che l’ha resa davvero vita, che mi ha ridato la libertà, la
possibilità di scegliere e di fare davvero quello che voglio e non
quello che vuole la società. Ringrazio di essere diventato un medico,
perché chi uccide non lo è». E conclude: «voglio raccontare quant’è bello spendersi per la vita anche se guadagno di meno ed è più faticoso».
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