Cronaca
EDUCAZIONE/ Carrón: una diversità umana contro il torpore. Bagnasco: una questione antropologica
venerdì 19 marzo 2010
Ieri
sera al Palasharp di Milano oltre 10.000 persone hanno accolto con molto
calore l’intervento del Presidente della Conferenza Episcopale
Italiana, S. Em. Card. Angelo Bagnasco, e del Presidente della
Fraternità di Comunione e Liberazione, don Julian Carron, sul tema
“L’avventura Educativa”.
L’incontro, moderato da Roberto Fontolan, si è aperto con l’intervento di Mons. Mario Delpini, Vescovo ausiliare della Diocesi di Milano, che ha portato il saluto e il ringraziamento agli organizzatori dell’Arcivescovo di Milano, Card. Dionigi Tettamanzi, e da alcune interessanti testimonianze provenienti dal mondo della scuola, dell’università e del lavoro.
L’avventura educativa - Introduzione di Julián Carrón
L’incontro, moderato da Roberto Fontolan, si è aperto con l’intervento di Mons. Mario Delpini, Vescovo ausiliare della Diocesi di Milano, che ha portato il saluto e il ringraziamento agli organizzatori dell’Arcivescovo di Milano, Card. Dionigi Tettamanzi, e da alcune interessanti testimonianze provenienti dal mondo della scuola, dell’università e del lavoro.
L’avventura educativa - Introduzione di Julián Carrón
«Il tema principale, per noi, in tutti i
nostri discorsi, è l’educazione: come educarci, in che cosa consiste e
come si svolge l’educazione, un’educazione che sia vera, cioè corrispondente all’umano» (L. Giussani, Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005, p. 15).
Niente più di questa frase di don Luigi
Giussani spiega in modo solare e definitivo come il carisma a lui donato
trovi nell’educazione la sua dimensione più decisiva. La sua costante
preoccupazione - che per grazia di Dio è divenuta anche la nostra - è
stata quella di «educare il cuore dell’uomo così come Dio l’ha fatto» (Il rischio educativo,
pp. 15-16), cioè di evocarne e sostenerne l’apertura instancabile alla
realtà, sospinta da quei desideri nativi e da quelle esigenze
inestirpabili che ne costituiscono la stoffa, prima ancora di qualsiasi
condizionamento culturale e sociale.
In questo momento storico, ancora una
volta, la sfida più decisiva che ci incalza è proprio quella
dell’educazione. Due anni fa il santo padre Benedetto XVI ha messo
davanti a tutti i cristiani e agli uomini di buona volontà questa
urgenza: «Educare [...] non è mai stato facile, e oggi sembra diventare
sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i
sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si
parla perciò di una grande “emergenza educativa”, confermata dagli
insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per
formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un
senso alla propria vita. [...] Proprio da qui nasce la difficoltà forse
più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi
dell'educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita» (Benedetto
XVI, Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008).
Sta venendo dunque meno - è sotto gli
occhi di tutti - la solidità dell’umano. Per certi versi, noi abbiamo
vissuto della rendita di una tradizione. Adesso che il cristianesimo, la
tradizione, è sempre meno incidente e che prevale tutt’altro, ci
troviamo davanti a una paralisi, a una incapacità di interessarsi ad
alcunché (lo sanno bene gli insegnanti che entrano in classe ogni
giorno).
Con la sua dote profetica, don Giussani
individuava già nel 1987 questa deriva, che oggi è dilagata: «È come se
tutti i giovani [e adesso, possiamo dire, anche molti adulti] di oggi
fossero tutti stati investiti dalle radiazioni di Chernobyl [da
un’enorme esplosione nucleare]: l’organismo, strutturalmente, è come
prima, ma dinamicamente non è più lo stesso. Vi è stato come un plagio
fisiologico operato dalla mentalità dominante» (L. Giussani, L’io rinasce in un incontro (1986-1987), BUR, Milano 2010, p. 181, in corso di pubblicazione).
Questa mentalità provoca una estraneità a
noi stessi, che rende astratti nel rapporto con se stessi e
affettivamente scarichi. La conseguenza è quel «misterioso torpore», di
cui parlava tanti anni fa Pietro Citati (P. Citati, «Gli eterni
adolescenti», la Repubblica, 2/8/1999, p. 1). Questo ci dice la
profondità della crisi. Non è innanzitutto di natura morale, ma è una
vera e propria crisi dell’umano.
A che cosa appellarsi, allora, per
ripartire? Non possiamo fare appello alla tradizione, che per tanti è
completamente sconosciuta o è gravemente frammentata in coloro in cui ne
rimane traccia. L’unico appiglio che abbiamo è quello che nessun potere
può distruggere e che rimane sotto tutte le possibili macerie:
l’«esperienza elementare» (L. Giussani, Il senso religioso,
Rizzoli, Milano 1997, p. 8) dell’uomo, il suo cuore che contiene le
esigenze costitutive di verità, di bellezza, di giustizia...
È qui dove il cristianesimo può, di
nuovo, mostrare la sua verità e dare un contributo decisivo, proprio
dove tutti gli altri stanno fallendo. Questo contributo sarà possibile
solo se l’attuale circostanza storica - così difficoltosa - verrà
affrontata come una grande avventura, come una opportunità per una nuova
autocoscienza della natura del cristianesimo. Infatti, una fede ridotta
a etica o a spiritualismo (a questo è stato ridotto il cristianesimo
dalla modernità) non è in grado di rispondere alla sfida. La storia lo
ha ampiamente documentato. Solo un cristianesimo che si presenta secondo
la sua vera natura, cioè quella di “fatto storico” che si documenta in
una diversità umana, può essere in grado di dare un vero contributo a
questa situazione problematica.
E allora, «dove si può ritrovare […] la
persona?» si domandava don Giussani. «Quella che sto per dare non è una
risposta alla situazione in cui versiamo […]; è una regola, una legge
universale da quando l’uomo c’è: la persona ritrova se stessa in un
incontro vivo, vale a dire in una presenza in cui si imbatte e che
sprigiona un’attrattiva, […] vale a dire provoca al fatto che il cuore
nostro, con quello di cui è costituito, con le esigenze che lo
costituiscono, c’è, esiste». È una presenza che muove, che produce uno
sconvolgimento carico di ragionevolezza, una sommossa del nostro cuore.
Quella presenza fa ritrovare l’originalità della propria vita, cioè «una
corrispondenza alla vita secondo la totalità delle sue dimensioni.
Insomma, la persona si ritrova quando si fa largo in essa una presenza -
questa è la prima evidenza - che corrisponde alla natura della vita, e
così l’uomo non è più nella solitudine » (L’io rinasce in un incontro, p. 1834).
Due sono allora i fattori di una rinascita dell’esperienza educativa.
In primo luogo, la consapevolezza del
metodo. L’unica cosa in grado di svegliare l’io dal suo torpore, non è
una organizzazione o un richiamo etico più accanito, ma l’imbattersi in
una diversità umana. Perché questo possa accadere occorrono - ed è il
secondo fattore indispensabile - degli adulti che incarnino nella loro
vita una «risposta plausibile» (così la definiva a Genova Sua Eminenza
il cardinale Angelo Bagnasco, nell’omelia alla Messa per il quinto
anniversario della morte di don Giussani, Genova, 23 febbraio 2010), che
possa offrirsi agli altri. Si tratta di una straordinaria possibilità
di verifica: partecipando all’avventura educativa, cercando cioè di
introdurre altri uomini alla totalità del reale, viene a galla senza
possibilità di astrazioni se noi per primi partecipiamo all’avventura
della conoscenza. Don Giussani ci ha sempre detto che la forma
dell’educazione è la «comunicazione di sé» (L. Giussani, Realtà e giovinezza. La sfida,
Società Editrice Internazionale, Torino 1995, p. 172), cioè del proprio
modo di rapportasi con la realtà; perciò noi possiamo educare solo se
per primi accettiamo la sfida del reale, comprese le paure, le
difficoltà, le obiezioni. Proprio questo mostrerà a tutti la portata
della fede come risposta alle esigenze di un uomo ragionevole del nostro
tempo. E renderà per ciascuno di noi entusiasmante e carica di speranza
l’avventura educativa.
Attraverso l’incontro di questa sera
vorremmo, dunque, corrispondere alla preoccupazione educativa della
Chiesa italiana, riecheggiata anche di recente nelle parole del nostro
arcivescovo Dionigi Tettamanzi (durante la Messa per il quinto
anniversario della morte di don Giussani): «Il giudizio cristiano sulla
realtà, la formazione della coscienza secondo la fede cristiana si pone
come fondamento e forza di quell’impegno educativo che rappresenta senza alcun dubbio, come spesso ripete il Santo Padre, una delle attuali priorità pastorali della Chiesa. I
Vescovi italiani intendono raccogliere questa sfida e la presentano
come decisiva per il prossimo decennio pastorale. Penso che
l’insegnamento, la vita, le opere di don Giussani abbiano al riguardo
ancora tanto da offrire alle nostre comunità» (D. Tettamanzi,
«Un’eredità spirituale e pastorale da vivere», Omelia alla Messa nel V
anniversario della morte di Luigi Giussani, Milano, 22 febbraio 2010).
Strappare l’uomo dal torpore,
richiamarlo all’essere: questo è il livello elementare e decisivo
dell’educazione. E questo è davvero possibile, come esito, solo se
accettiamo e diventa nostro lo sguardo di Cristo sulla realtà: «Dio si
dà, dà se stesso all’uomo. E Dio cos’è? La sorgente dell’essere. Dio dà
all’uomo l’essere: dà all’uomo di essere; dà all’uomo di essere di più,
di crescere; dà all’uomo di essere completamente se stesso, di crescere
fino alla sua compiutezza, cioè dona all’uomo di essere felice» (L.
Giussani, Si può vivere così?, Rizzoli, Milano 2007, p. 327).
L’avventura educativa - lezione del card. Angelo Bagnasco
Istanze educative e questione antropologica
0. Premessa
Sono lieto di essere qui con voi per
parlare di qualcosa che non solo ci sta a cuore, ma che sentiamo essere
parte del nostro essere persone e credenti. Cioè del nostro essere
discepoli del Maestro – il Signore Gesù – che non cessa di educare ad
una umanità nuova e piena. Egli continua a parlare all’intelligenza e a
scaldare il cuore di coloro che si aprono alla sua verità e al suo amore
e accolgono la compagnia dei fratelli per fare esperienza della novità
del Vangelo e così annunciare a tutti la gioia e il fascino di un
incontro che cambia la vita e che fa fiorire l’umano. La Chiesa continua
l’opera del suo Signore, e la sua storia bimillenaria è un intreccio di
evangelizzazione e di educazione: annunciare la persona di Cristo, vero
Dio e vero uomo, significa portare a pienezza l’uomo e quindi creare
cultura e civiltà. A volte, a fronte di tante situazioni di violenza
vecchie e nuove, al mondo ancora così lacerato da squilibri e
ingiustizie, o a forme di involuzione culturale, potremmo chiederci:
quanto ha inciso il Cristianesimo nell’elevazione dell’umanità, quanto
efficace è stata ed è la predicazione della fede? Potremmo risponderci: e
che cosa sarebbe stato e sarebbe il mondo senza il Vangelo di
Cristo? Senza la presenza della Chiesa con i suoi sacerdoti, i religiosi
e le religiose, i laici, i gruppi, le associazioni, i movimenti, le
istituzioni di carità e di promozione, di ascolto? Senza il vortice di
continua preghiera che si eleva a Dio da ogni parte della terra da
secoli e che eleva i cuori di moltitudini, rende la coscienza migliore,
la rafforza contro il male? Senza quella rete sterminata di piccole luci
che rendono l’universo più luminoso? E dove sarebbe quel popolo immenso
sparso sino ai confini della terra fatto di persone umili e buone che
fanno la storia vera – quella del bene – con la loro vita riferita a
Cristo? Conosciamo i limiti e gli errori della condizione umana, ma ciò
non può oscurare l’esperienza secolare della comunità cristiana.
I
Vescovi italiani hanno scelto, come Orientamenti Pastorali per il
decennio appena iniziato, proprio la sfida educativa: responsabilità e
grazia! Grazia perché significa continuare a “comunicare il vangelo in
un mondo che cambia”, e significa declinarlo nella dimensione specifica
dell’educazione. Responsabilità perché se educare mai è stato facile,
oggi si tratta di accettare la sfida che viene dalla complessità spesso
contraddittoria della cultura e della società. Il Santo Padre Benedetto
XVI non solo ci esorta a questo con il limpido e puntuale Magistero, ma
ci precede sulla via educativa del popolo di Dio, avendo chiaramente
nello sguardo e nel cuore ogni uomo, poiché l’umanità piena che si
rivela in Gesù, e in Lui si incontra, non esclude nessuno.
La felice espressione “emergenza
educativa”, divenuta tanto familiare in questi ultimi tempi dentro e
fuori della Chiesa, può risultare particolarmente arricchita se la si
legge con un occhio attento alla lezione di un grande filosofo e teologo
dell’ottocento italiano, il beato Antonio Rosmini. La sua prospettiva
mi sembra vada ad incrociare punti cruciali emergenti nell’attuale
contesto culturale e pastorale.
E per cogliere tutta la portata del
contributo positivo che può venirci dalla prospettiva rosminiana, e che
va nella direzione di un arricchimento del senso che all’ “emergenza
educativa” ha voluto dare lo stesso Benedetto XVI, torna utile ricordare
che le “emergenze”, per loro natura, non fanno parte della vita
ordinaria e della storia quotidiana delle persone; esse irrompono tanto
improvvise quanto inattese. Mentre né inattesa né improvvisa può essere
ritenuta l’esigenza di educare e di educarsi, dal momento che, come
scrive il Rosmini, «l’educazione è un affare gravissimo» (Dell’educazione cristiana,
Città Nuova ed., Roma 1994, p.47), nel senso di “affare di grande
portata”, per il fatto che essa mira a «rendere l’uomo stesso buono con
riguardo a tutte le circostanze nelle quali si trova; [rendere l’uomo]
capace di usare di esse, e di tutti gli altri mezzi al vero vantaggio di
sé e d’altri; e [renderlo] così autore del proprio bene e specialmente
della propria virtù e della propria felicità» (Idem, Scritti vari di metodo e di pedagogia,
Unione Tipografica Ed., Torino 1883, p.499). E questo, aggiunge
Rosmini, appartiene ad ogni uomo, in ogni fase della sua vita, dal
momento che a tutti gli uomini è chiesto spendersi per realizzare il
bene.
In altri termini, se è vero che la società contemporanea è attraversata sempre più da deficit
preoccupanti di “buona educazione”, è anche vero che una risposta
efficace non può venire da una comunità che si limita ad affrontare
questo deficit come se si trattasse di una “emergenza” piuttosto che di un “compito” quotidiano.
E, a richiedere che quello pedagogico
venga considerato un compito quotidiano, non sono circostanze
episodiche, seppure preoccupanti né il moltiplicarsi dei segnali di
cattiva o inesistente educazione. A chiedere che quello pedagogico venga
considerato un compito quotidiano è la natura stessa dell’uomo. Tanto
che non è affatto azzardato affermare che la “questione pedagogica” (o
se si vuole, l’emergenza educativa) va di pari passo con la “questione
antropologica”.
Le circostanze che fecero da sfondo alle
pagine pedagogiche del nostro Autore presentano forti analogie con
quelle odierne, che stanno chiamando a raccolta le energie più sensibili
intorno all’emergenza educativa e, tra queste, la stessa Chiesa
italiana.
È noto l’enorme dispendio di energie
messo in campo sia dall’Illuminismo sia dal Liberalismo di fine
Settecento inizi Ottocento. Sia l’uno che l’altro non tralasciarono il
ricorso a strumenti di propaganda e di formazione che facevano
coincidere la razionalizzazione delle attività lavorative e il
miglioramento della qualità della vita con un deciso e progressivo
allontanamento dalla religione e dall’etica cristiana. La conseguenza
più immediata dell’offensiva illuministico-liberale si presentò subito
con i caratteri di una evidente frattura tra cristianesimo e società
civile e politica, aprendo per la Chiesa un nuovo ed inedito fronte
missionario.
Rosmini, di fronte a questa situazione,
non veste né i panni del rinunciatario né quelli dell’ottuso oppositore:
la validità della sua impostazione – “apologetica”, nel senso più alto
della parola - trova fondamento nello stretto legame tra filosofia,
antropologia, pedagogia; legame che, a sua volta, garantisce la
consequenzialità tra pensiero teologico ed istanze etiche, politiche e
di natura giuridica.
In questo quadro, l’educazione della
persona non si presenta affatto come un compito marginale o comunque da
invocare in momenti di “emergenza”, quanto piuttosto come la
prosecuzione del “governo divino del mondo” «con cui ordinando e
disponendo gli avvenimenti (Dio) educò il genere umano e l’educa di
continuo» (Idem, Sistema filosofico, n. 244).
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