Si
celebra oggi in tutto il mondo il World Down Syndrome Day, la Giornata
Mondiale sulla sindrome di Down, un appuntamento internazionale, sancito
da una risoluzione dell’ONU, nato per diffondere una maggiore
consapevolezza e conoscenza sulla sindrome di Down. La causa di tale
sindrome è stata identificata in una anormalità nel numero dei
cromosomi, trisomia 21, dal medico e genetista francese Jérôme Lejeune
nel 1959. All’epoca si credeva che la malattia fosse causata dalla
sifilide e che fossero le madri le probabili colpevoli: Lejeune è
riuscito a ridare dignità al malato e alla famiglia e tutta la sua
esistenza è stata spesa a difesa dei suoi piccoli pazienti e della vita
umana. Anche contro lo snaturamento della sua stessa scoperta spesso
utilizzata con scopi di eugenetica: l’amniocentesi e il cariotipo
apriranno infatti la via scientifica per eliminare prima della nascita
gli «indesiderabili».
Sulla testimonianza di Léjeune, fondatore
della genetica clinica, sarà imperniata la mostra “Che cos’è l'uomo
perché te ne ricordi? - Genetica e natura umana nello sguardo di Jerome
Léjeune”, curata dall’Associazione Euresis per il prossimo Meeting di
Rimini 2012.
Jérôme Lejeune (1926-1994) si laureò in
medicina nel 1951 e nel 1958 mentre lavorava all’Università di Parigi
nel gruppo di ricerca di Raymond Turpin (1895-1988) scoprì che nelle
cellule di pazienti affetti da Sindrome di Down sono presenti 47
cromosomi, un cromosoma soprannumerario (trisomia) nella coppia di
cromosomi che dal 1960 sarà indicata dal numero 21. Le sue osservazioni,
compiute grazie a una tecnica per lo studio cellulare sperimentata
allora solo in America, furono pubblicate il 26 gennaio 1959 nelle
Comptes Rendus de l’Académie des sciences, in un articolo firmato anche da Turpin e dalla collega Marthe Gautier.
I
risultati scientifici di Lejeune vanno oltre questa scoperta
fondamentale, rivelando i meccanismi di diversi disordini cromosomici e
aprendo in tal senso la strada della moderna citogenetica clinica. [
Immagine a sinistra: Il gruppo di ricerca di Raymond Turpin all’Università di Parigi nel 1958]
Fu
il primo a promuovere l’uso dell’acido folico come prevenzione della
spina bifida, una rara malformazione della colonna vertebrale che
colpisce il feto. Fu consulente delle Nazioni Unite come esperto sulle
radiazioni atomiche. Nel 1964 divenne professore di Genetica
Fondamentale all’Università di Parigi e nel 1965 direttore del servizio
di genetica dell’
Hôpital des Enfantes Malades di Parigi.
Nel 1974 fu nominato membro dell'
Accademia Pontificia delle Scienze.
Era legato a Giovanni Paolo II (1920-2005) da sentimenti di profonda
stima e amicizia e il Pontefice lo volle come primo presidente della
Pontificia Accademia per la Vita, istituita l’11 febbraio del 1994, poche settimane prima della sua morte.
Lejeune ricevette numerosi riconoscimenti per il suo lavoro sulle patologie cromosomiche, tra cui nel 1962 il premio Kennedy.
L’intento di questa biografia è quello di delineare il profilo storico e
personale di questo scienziato e medico anche attraverso la sua stessa
testimonianza e quella dei suoi colleghi e amici.
Sindrome di Down e Trisomia 21 … una storia che continua
La prima descrizione della Sindrome di Down (DS) è datata 1844 a opera di Édouard Séguin (1812-1880) [
Immagine che segue a destra]
che la definisce «idiozia forforacea», mettendola in rapporto cioè con
la crusca, probabilmente a causa della mollezza delle bambole fabbricate
con tale materiale.
Nel 1866 il medico britannico John Langdon Down (1828-1896) [
Immagine che segue a sinistra] descrive quello che allora veniva chiamato
Mongolian Idiot:
i capelli sono di colore brunastro, dritti e radi, la faccia è piatta e
larga, le guance sono tondeggianti, gli occhi sono obliqui, la fessura
delle palpebre è molto stretta, le labbra sono grandi e spesse, la
lingua è lunga, spessa e molto ruvida e il naso è piccolo.
Nel
1932, molto tempo prima che Joe Hin Tjio e Albert Levan dimostrassero
che il corredo cromosomico umano è costituito da 46 cromosomi (1956),
l’oculista olandese Peter Johannes Waardenburg (1886-1979) aveva
predetto l’esistenza di quelli che noi chiamiamo «disordini cromosomici»
e disse: «Vorrei stimolare i citologi a stabilire se in questo caso
(ndr. mongolismo) siamo di fronte a un’aberrazione cromosomica specifica
nell’Uomo […]».
Anche il pediatra americano Adrien Bleyer
(1878-1964) e il suo collega svizzero Guido Fanconi (1892-1979)
ipotizzarono che la Sindrome di Down fosse dovuta a un’anomalia
cromosomica. Nel 1934 Bleyer si riferisce alla DS descrivendola causata
da «[…] una mutazione gametica di tipo decrescente». Egli definisce una
«mutazione decrescente» come una cosa che disturba «[…] l’ordine
biologico dell’inizio della vita […]». Fanconi nel 1939 parla di
«mongolismo» come una razza speciale, che differisce da quella normale
sulla base di molteplici «tratti razziali» mongoloidi. Egli pensava che
ogni organo, ogni cellula, variasse strutturalmente da quelli normali e
scriveva: «[…] È possibile che un difetto cromosomico specifico possa
insorgere durante la divisione delle cellule germinali; la cellula
germinale difettosa è ancora capace di dividere, ma la sua prole
altrettanto alterata si sviluppa in direzione mongolide».
All’inizio
degli anni Cinquanta del Novecento, Turpin, che era professore di
clinica pediatrica all’università di Parigi, suggerì a Lejeune di
concentrare le sue ricerche sulle cause della DS. Già nel 1953 i due
scienziati si erano accorti di una connessione fra le caratteristiche di
un individuo e i suoi dermatoglifi, un termine che si riferisce alle
impronte digitali e alle linee sulla mano. La struttura di queste linee,
che rimangono le stesse durante la vita di un individuo, è determinata
durante i primi stadi dello sviluppo embrionale e assumono un aspetto
particolare negli individui down.
A partire dal 1958 Lejeune inizia
a coltivare tessuti di bambini down per studiarne i cromosomi. Viene
utilizzata in particolare una tecnica allora d’avanguardia imparata
dalla collega Gautier negli Stati Uniti e scopre la presenza di 47
cromosomi, invece di 46 nelle cellule di questi bambini.
Nel
gennaio 1959 i risultati vennero pubblicati in una comunicazione su
«cromosomi umani in coltura di tessuti» (Lejeune J, Gauthier M, Turpin
R.
Les chromosomes humains en culture de tissus. CR Hebd Seances Acad Sci (Paris)
1959; 248: 602-3.) in cui si dimostrava, per la prima volta, che le
caratteristiche patologiche del mongolismo risultavano da un accidente
cromosomico. Negli anni seguenti il termine «mongolismo» fu sostituito
da «trisomia 21».
Dagli anni Novanta si rincorrono due teorie
riguardanti le cause della DS. La visione «riduzionista» di Anthony
Epstein (1921-…) sostiene che le singole anomalie del fenotipo possono
essere assegnate e mappate in una specifica regione del genoma, mentre
quella «organicista» di John Opitz (1935-…), al contrario, è convinta
che il processo di sviluppo di un organismo soggetto alla selezione
naturale è canalizzato in modo tale da garantire un ben definito
prodotto finale, a dispetto di variazioni minori che si sono verificate
durante lo sviluppo; in caso di condizioni anormali, la canalizzazione è
compromessa e si verificano anomalie
(1).
Il genoma come un’orchestra sinfonica
Se si confrontano due malattie genetiche
come la Trisomia 21 e la Monosomia 21, si può osservare l’effetto di un
cromosoma in più o in meno: si conoscono dei malati che hanno un
frammento di cromosoma 21 perso e questi hanno orecchie grandi, dita
lunghe e mani gracili, mentre quelli che hanno un frammento di cromosoma
21 in più, hanno mani corte, dita corte e orecchie piccole.
Lo
sviluppo embrionale è spostato in un senso quando c’è un cromosoma in
più e nel senso opposto quando invece manca un cromosoma. Quando si
tratta non più del corpo, ma dello spirito, l’eccesso o il difetto
producono sempre lo stesso effetto: una malattia dell’intelligenza.
Lejeune spiegava questo concetto paragonando i geni a dei musicisti di un’orchestra. [
Immagine a destra: il Prof. Lejeune con i suoi piccoli pazienti]
I
geni sono abbastanza simili a dei musicisti che leggono i loro spartiti
e gli spartiti sono scritti sulle basi puriniche e pirimidiniche sul
DNA che è una molecola lunga un metro in una cellula riproduttrice e due
metri in qualunque altra cellula del corpo: questa è la partitura e, se
tutto va bene, tutti leggono alla stessa velocità e l’orchestra segue
il maestro, ma se c’è un musicista in più, ed è il caso della Trisomia
21, è come se questo musicista andasse troppo veloce; se al contrario
manca un musicista, è come se ce ne fosse uno troppo lento. Quando un
musicista va troppo veloce, e va troppo veloce in un «solo», allora
trasforma un «andante» in un «allegretto», cioè un orecchio troppo
piccolo e delle ditta troppo corte; se al contrario va troppo lento,
trasforma l’«allegretto» in un «largo» e farà delle dita troppo lunghe e
delle orecchie troppo grandi. Così egli avrà cambiato un tratto, senza
distruggere la sinfonia, ma se ora il musicista che va troppo veloce o
troppo lento suona in un «tutti», nel momento in cui tutta l’orchestra è
concertante, non importa se egli suona più o meno veloce degli altri,
produrrà comunque una cacofonia.
L’intelligenza umana è la
rappresentazione superiore della materia animata ed è evidente che per
l’intelligenza umana, deve essere tutta l’orchestra a suonare bene nello
stesso momento e non un solo gene adibito a creare un dito o un
orecchio. Tutta la difficoltà della ricerca è come scoprire il musicista
discorde, perché l’orchestra della vita ha circa cinquantamila
musicisti. Lejeune è convinto che sia ragionevolmente e umanamente
possibile la prospettiva di trovare un rimedio alla malattia
dell’intelligenza: «Troveremo. È impossibile non trovare. È uno sforzo
intellettuale molto meno difficile che mandare un uomo sulla Luna»,
scrive.
Il messaggio della vita
Lejeune si pone di fronte alla natura
umana alla luce delle conoscenze scientifiche, ma anche seguendo, come
credente, un metodo conforme alle «leggi dello Spirito», basandosi sulla
profonda convinzione che è lo Spirito a dare la vita: senza di esso non
c'è materia vivente, la materia non può vivere e non può riprodursi.
«All’inizio c’è un messaggio. Questo messaggio è nella vita e questo
messaggio è vita. E se questo messaggio è un messaggio umano, questa è
la vita di un uomo», afferma. Quello che è trasmesso da una generazione
all’altra non è la materia, ma l’informazione trasportata dalla materia.
C’è un messaggio lungo circa un metro scritto sul DNA nella testa di
uno spermatozoo e un altro lungo un metro dentro l’ovulo: nella prima
cellula umana è già presente tutta l’informazione per spiegare ognuna
delle qualità della persona che nascerà dopo nove mesi. Se tutta
l’informazione è presente fin dall’inizio, questo vuol dire che è lo
Spirito che anima la materia e la materia aiuta lo Spirito a
manifestarsi.
Lejeune infastidisce l’ambiente sociale del tempo,
perché è senza dubbio lo scienziato che ha contribuito maggiormente a
far sì che la questione dell’aborto non fosse messa a tacere: nel 1970
in Francia viene stilata la proposta di legge Peyret, la quale prevedeva
come ammissibile la soppressione del feto se si fosse riscontrata
l’esistenza di un’embriopatia incurabile. Lejeune capisce che la sua
scoperta può essere usata contro coloro che egli aveva promesso di
proteggere e guarire: decide di difendere pubblicamente davanti a
telecamere e microfoni la vita umana ed i suoi pazienti.
Si trova
coinvolto in una lotta, la cui violenza lo supera, per aver voluto
affermare con decisione e chiarezza una verità scientifica dalla quale
derivava un impegno morale: l’embrione a qualsiasi stadio della sua
crescita è un individuo, un uomo. Sua madre non lo «fa» umano: è umano
per sua natura, perché ha ricevuto il patrimonio genetico della nostra
specie.
A
New York, in un’assemblea dell’ONU riguardante l’aborto, prende la
parola e racconta di quel bambino unico, che non sarà mai ripetibile, di
cui si sta mettendo in gioco la vita. Egli afferma: «Ecco
un’istituzione per la salute che si trasforma in istituzione di morte».
Gioca con le parole inglesi
institute of health,
institute of death. La sera stessa, scrivendo a sua moglie, confida: «Oggi pomeriggio ho perduto il premio Nobel».
Il
suo amico e collega, Lucien Israël (1926-…) spiega: «Sarebbe
interessante sapere, perché il Comitato del Nobel è stato sotto
pressione così intensamente e così a lungo per evitare che il premio
venisse assegnato a Lejeune, l’uomo che ha scoperto che il numero dei
cromosomi potrebbe cambiare durante la fecondazione umana, che questi
cambiamenti potrebbero causare malattie caratteristiche e che queste
malattie risultano dalla troppa o troppo poca influenza da parte dei
geni colpiti durante lo sviluppo. Per il mondo scientifico, il fatto che
Jérôme Lejeune non abbia ricevuto il premio Nobel è una grave
anomalia».
Il membro dell’Istituto Francese Pierre Chaunu
(1923-2009) aggiunge: «Ha meritato il premio Nobel, ma non lo ha mai
ricevuto. Sono meno consapevole degli onori che ha effettivamente
ricevuto rispetto a quelli che gli sono stati negati, perché ha
rifiutato di piegarsi al potere dell’
establishment e all’orrore
dei tempi. Jérôme Lejeune non poteva tollerare il massacro degli
innocenti». Sul settimanale satirico francese Charlie Hebdo che
generalmente era molto ostile a Lejeune, il 20 aprile 1994, si legge: «È
stato uno dei rari biologi francesi a fare una scoperta critica […], ma
le sue opinioni gli sono costate il premio Nobel che meritava».
Un’esistenza a difesa della vita: testimone al processo di Maryville
Nell’agosto 1989, Lejeune era stato
chiamato a testimoniare in un processo relativo a un divorzio in una
cittadina del Tennesee. Una donna aveva generato, in accordo con il
marito, sette embrioni tramite la fecondazione in vitro che
successivamente erano stati congelati. Mentre il marito voleva
eliminarli, la moglie chiedeva che fossero affidati a lei affinché
fossero salvati e condotti alla vita. Lejeune affermò: «La giovane donna
ha risposto come la vera madre con Salomone. Il giudizio di Salomone
capita, almeno quanto ne so, ogni tremila anni circa: se siamo in quel
momento, vale lo spostamento!». La moglie si chiamava Mary, il processo
avvenne a Maryville e l’avvocato era un certo Christenberry.
In
quanto genetista Lejeune spiegò che era ormai ben stabilito che tutte le
informazioni necessarie e atte allo sviluppo erano già presenti al
momento del concepimento e che non vi era dubbio che si trattasse di
esseri umani anche se molto giovani. Erano pertanto degli esseri e la
definizione del loro patrimonio genetico consentiva di affermare che
erano uomini: un essere che è umano, è un essere umano.
Il
fatto che fossero stati conservati sospesi nel tempo non cambiava la
sostanza: il tempo per loro era stato sospeso, ma se fosse stato loro
restituito avrebbero riacquistato la vita. Il giudice scrisse una
sentenza di quaranta pagine in un mese, in cui sentenziò come Salomone:
«Colui al quale devono essere affidati i bambini è colui che si propone
di dar loro la vita».
La logica di Giuda
Lejeune afferma che la sapienza è il
coronamento dell’intelligenza umana; in ambito medico si è obbligati ad
avere la saggezza di sapere il motivo per cui si intende usare una
determinata tecnica: si deve sapere qual è il fine di tutta la
disciplina medica. Accanto ai mezzi di diagnosi e di trattamento, si può
definire la medicina: «odio per la malattia e amore per il paziente».
Se si volesse eliminare il paziente per sradicare il male, si avrebbe la
negazione della medicina, ma difendere ogni paziente, prendersi cura
d’ogni uomo, implica che ciascuno di noi debba essere considerato
«unico» e «insostituibile». E la rabbia che rendeva pazzi i bambini?
Alcuni dottori li soffocavano tra due materassi per impedire loro di
soffrire.
Pasteur ha cercato con ogni mezzo di salvarli. Coloro che
in buona coscienza li mandavano al Creatore hanno forse fatto progredire
la scienza? No. È stato colui che di fronte alla morte, alla sofferenza
e alla malattia non ha accettato di dimettersi.
Lejeune sferzava
quelli che chiamava i «sapienti del caso… che fingono di credere che sia
possibile sostenere le opinioni più contraddittorie a patto che il
discorso segua un ordine logico. Per giustificare l’omicidio hanno
inventato la fantastica ipotesi che non si uccideva nessuno. Sono
riusciti a far passare tale sorprendente affermazione: un ometto di due
mesi, un ometto di dieci settimane non sono né uomini né esseri
viventi».
Lejeune
definisce «la logica di Giuda», la logica di coloro che compiono i
propri interessi a discapito dei più deboli, siano essi embrioni,
disabili o anziani. Si basa su tre punti.
Il primo punto è la
«distrazione». Verrà detto: non interessatevi dell’essere umano che
inizia a vivere o a quello che sta per scomparire, guardate piuttosto
tutte le difficoltà che esso fa pesare sulla società o sui suoi genitori
in termini di tempo, denaro e tempo dedicato a lui. Non guardate il
soggetto in questione, guardate la famiglia, la società e l’economia.
Il
secondo punto è l’«inversione». Si dirà in tutte le discussioni:
guardate il bene che si farebbe con tutte le cure, tutti i soldi, tutta
la dedizione che si profondono per questo soggetto, guardate come si
potrebbe fare meglio le autostrade e come si potrebbe fornire meglio il
terzo mondo. Si dice che tanto varrebbe non fare niente per costui
eventualmente si farebbe qualcosa di meglio per gli altri.
Il terzo e
ultimo punto è la «perversione». Si applicherà bene sia all’embrione
sia all’anziano: non c’è che da sopprimere l’innocente. Un uomo ha già
fatto questo ragionamento, Giuda. Egli ha trovato che costava troppo
caro rompere una bottiglia di profumo, ha mostrato tutto il bene che si
sarebbe potuto fare con quel denaro e il risultato è stato la
perversione assoluta, la condanna di un innocente.
Accoglienza dell’uomo e cura della persona
Quando una coppia con il loro bambino
andava da Lejeune per la prima volta, aveva in genere appena saputo
dell’handicap. I genitori erano disorientati, preoccupati e sfiniti.
Così racconta una coppia: «Per noi il futuro era nero. Ci sentivamo
incapaci di tenere questo bambino che stava per infrangere la nostra
felicità e nello stesso tempo era impossibile abbandonarlo. Eravamo
arrivati al punto di detestare il bambino e detestare noi stessi, perché
lo detestavamo».
Il professore li accoglie sorridendo, cortese,
affabile, ma rispettoso. Rivolto al neonato chiede il nome e lo chiama:
«Allora mio piccolo Pierre, vieni con me?». Lo prende tra le braccia,
chiede alla mamma di indossare un camice bianco e di accomodarsi. La
mamma si siede e gli restituisce tra le braccia Pierre. Poi si siede
anche lui, davanti ai genitori e ausculta il bambino sulle ginocchia
della mamma. «Questi semplici gesti sono stati per noi una rivelazione.
Non stava esaminando un malato, ma il nostro bambino. Ci ha spiegato
tutto, com’era la malattia e quale avvenire attendeva nostro figlio e
noi. Ci ha rassicurati rispondendo a ogni nostra domanda, ogni nostra
angoscia. Siamo ripartiti con il nostro bambino e la pace nel cuore. Ci
ha fatto scoprire l’amore di genitori».
Ciò che sorprende è la forza
di convinzione e la capacità di consigliare di un uomo che
all’improvviso consentono ai genitori di prendere decisioni con
cognizione di causa. Prima erano dubbiosi, tormentati, disorientati da
pareri spesso discordi. Egli non sceglie al posto loro, presenta loro la
responsabilità di genitori e offre anche tutti gli elementi per
scegliere liberamente.
Missioni diplomatiche in Unione Sovietica
Lejeune è andato più volte in missione
come diplomatico nell’Unione Sovietica, infatti nel 1964 avrebbe dovuto
tenere una conferenza all’Accademia delle Scienze sovietica ed esporre
le scoperte della genetica moderna: nonostante un boicottaggio delle
autorità sovietiche riuscì a parlare nel padiglione francese
dell’esposizione universale a Mosca.
In
URSS la dottrina ufficiale era il «lyssenkoismo», dallo scienziato
Trofim Denissovitch Lyssenko (1898-1976), il quale negando il ruolo dei
geni e dei cromosomi nella trasmissione ereditaria, sosteneva che
l’ereditarietà fosse dovuta solamente all’ambiente circostante e che
quindi un uomo potesse essere il frutto dell’educazione, nello specifico
quella comunista.
Lejeune scrive: «[…] Tutto ciò che di buono o di
cattivo tu impari nella vita, ti trasforma geneticamente e tu puoi
trasmetterlo ai tuoi figli. È un’assurdità scientifica che faceva comodo
al potere comunista: un buon comunista aveva dei figli buoni comunisti
[…]».
Alla conferenza arrivarono clandestinamente nascosti nei
cappotti con il bavero alzato e il berretto di pelliccia, nonostante il
caldo, i colleghi genetisti dell’Accademia sovietica, attratti dalle
novità e verità scientifiche di Lejeune.
Nel dicembre 1981 due membri della
Pontificia Accademia delle Scienze, Lejeune e Giovanni Battista Marini-Bettolo (1915-1996) si recarono da Leonid II’ič Brežnev (1906-1982) [
Immagine sopra a sinistra],
segretario generale del partito comunista, con lo scopo di portare un
messaggio di pace e saggezza a una grande potenza in possesso della
bomba atomica.
L’incontro fu cordiale e molto caloroso, come disse
lo stesso Lejeune: «[…] Brežnev mi riceve con incredibile fasto e un
cerimoniale degno degli zar. Sul suo impassibile volto scorgo un
bagliore di complicità mentre leggo il messaggio del Papa. […] Dopo aver
letto un discorso formale, mi rivolge parole di pace, come un uomo che
non aspira che al riposo. Il fatto mi ha impressionato molto […]».
Giovanni Paolo II e Jérôme Lejeune
L’amicizia che legava Lejeune e Giovanni
Paolo II era profonda. Entrambi ritenevano che l’aborto fosse la
principale minaccia alla pace e che, volendo difendere la pace,
bisognava difendere la vita. Entrambi rifiutavano di venire a patti con
qualsiasi forma di razzismo. Entrambi erano certi che la qualità di una
civiltà si misura in base al rispetto che essa nutre verso i suoi membri
più deboli: l’amore, l’abnegazione e il denaro, spesi per proteggere i
diseredati, sono il giusto prezzo, perché una società rimanga umana.
Nello stesso anno della morte, il Papa, pur sapendo che Lejeune era gravemente malato, lo nominò primo presidente della Pontificia Accademia per la Vita.
Ricoprì la carica per trentatré giorni e morì il 3 aprile 1994, giorno
di Pasqua. «Fratel Jérôme», così lo chiamò il Santo Padre nel messaggio
del 4 aprile, il giorno dopo la morte.
«[…] Il professor Lejeune ha
assunto pienamente la responsabilità specifica dello scienziato, pronto a
divenire “segno di contraddizione”, senza considerare le pressioni
esercitate dalla società permissiva né l’ostracismo di cui era soggetto
[…]».
Il 25 febbraio 2007 l’arcivescovo di Parigi mons. André
Vingt-Trois (1942-…) ha nominato padre Naud, priore dell’abbazia di
Saint Wandrille, postulatore della causa di beatificazione: l'annuncio
viene dato durante la XIII Assemblea Generale della Pontificia Accademia
per la Vita.
Le avventure di Pollicino La
genetica moderna si riassume in questo credo elementare: all’inizio è
dato un messaggio, questo messaggio è nella vita, esso è la vita. Vera e
propria parafrasi dell’inizio di un vecchio libro che ben conoscete,
tale credo è quello del genetista più materialista possibile. Perché?
Perché con certezza sappiamo che tutte le informazioni che definiranno
l’individuo, che condizioneranno non solo il suo sviluppo, ma anche la
sua crescita, sono contenute nella prima cellula. E tutto questo lo
sappiamo con una certezza assoluta che vince ogni dubbio, perché se tale
informazione non fosse già contenuta in essa, non potrebbe entrarvi
mai più; nessuna informazione, infatti, entra in un uovo dopo che è
stato fecondato. […] Si obbietterà: all’inizio, due o tre giorni
appena dopo la fecondazione, non esiste che un ammasso di cellule! Che
dico, è solo una cellula, quella nata dall’unione dell’ovulo e dello
spermatozoo. Certo le cellule si moltiplicano attivamente, ma la
piccola morula che si installa nella parete dell’utero è già veramente
diversa dalla madre? Io lo credo; ha già la propria individualità e,
cosa incredibile, è già in grado di comandare l’organismo della mamma. Il
minuscolo embrione, di sei o sette giorni, con appena un millimetro e
mezzo di altezza tutto compreso, prende immediatamente in mano la
direzione delle operazioni. È lui che blocca il ciclo materno e obbliga
il giallo organismo ovario a funzionare. Sebbene tanto piccolo, con un
ordine chimico, obbliga la mamma a conservargli la protezione. Già fa
di lei ciò che vuole e Dio sa fino a che punto lo farà negli anni a
venire! Dopo quindici giorni di ritardo nel ciclo, cioè quando lui
ha già un mese di vita, poiché la fecondazione è accaduta quindici
giorni prima, l’essere umano misura quattro millimetri e mezzo. Da una
settimana il suo cuore batte, braccia, gambe, testa e cervello hanno
già iniziato a formarsi. A sessanta giorni, cioè a due mesi di
vita, o a un mese e mezzo di ritardo dal ciclo, il piccolo misura
appena tre centimetri dalla testa all’estremità delle natiche. Starebbe
a suo agio in un guscio di noce. Invisibile in un pugno chiuso,
rischierebbe di essere volontariamente schiacciato senza che ce ne
accorgessimo. Ma aprite il pugno: è quasi completo, mani, piedi, testa,
organi e cervello sono pronti ai loro posti e d’ora in poi non faranno
che ingrandire. Guardatelo da più vicino: potreste leggergli la mano e
predirgli il futuro! Ancora più vicino, con un semplice microscopio,
potreste decodificare le impronte digitali. Tutto in regola per
ottenere la carta di identità nazionale. […] L’incredibile
Pollicino, l’uomo più piccolo del mio pollice, esiste veramente; non è
quello della famosa fiaba, ma colui che ciascuno di noi è stato nel
seno della madre. Ma, diranno alcuni, il cervello non è completo che al
quinto, sesto mese. No, no, sarà completamente a posto soltanto al
momento della nascita, tutte le connessioni termineranno a sei o sette
anni e il meccanismo chimico ed elettrico sarà perfettamente rodato
soltanto a quattordici, quindici anni! Nel nostro Pollicino di due mesi
funziona già anche il sistema nervoso? E sì, se il suo labbro
superiore viene sfiorato da un capello, muove braccia, corpo e testa in
un movimento di fuga. […] A quattro mesi si agita talmente che la
mamma si accorge dei suoi movimenti. Grazie alla leggerezza della sua
capsula da astronauta può fare piroette che all’aria aperta potrà
ripetere solo fra qualche anno. A cinque mesi afferra con forza il
bastoncino che gli metto in mano e inizia a ciucciare il pollice in
attesa di essere liberato. […] Perché discutere allora? Perché
chiedersi se questi ometti esistono veramente? Raziocinare e far finta
di credere come un illustre batteriologo che il sistema nervoso non
esiste prima dei cinque mesi! Oggi giorno la scienza ci svela un po’ di
più le meraviglie della vita nascosta, del mondo pullulante di vita
degli uomini minuscoli, ancora più incantevole che quello dei racconti
delle favole. È sulla storia vera che i racconti sono stati forgiati; e
se le avventure di Pollicino hanno da sempre affascinato l’infanzia è
proprio perché l’adulto che ora siamo è stato un tempo Pollicino nel
seno della mamma.
(Clara Lejeune, La vita è una sfida, Cantagalli, Siena, 2008 - Pagg. 58-61)
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La Fondazione Jérôme Lejeune La Fondazione Jérôme Lejeune
è una fondazione francese che si occupa della ricerca sulle genetiche
malattie dell'intelligenza, ai primi posti delle quali la Trisomia 21,
proseguendo così l'opera alla quale Jérôme Lejeune ha dedicato la sua
vita. È stata riconosciuta di utilità pubblica su parere del
Consiglio di Stato il 20 marzo 1996. La Fondazione ha tre obbiettivi:
la ricerca, il trattamento e la difesa. La «ricerca»:
in Francia, la Fondazione è il primo finanziatore della ricerca sulle
malattie genetiche dell’intelligenza e sviluppa e coordina il lavoro
dei ricercatori, dei programmi e dei fondi, in Francia e all’estero. Il «trattamento»: l’Istituto Jérôme Lejeune
è l'organizzazione della Fondazione dedicata alla cura dei pazienti.
Oltre alle cure mediche, altri specialisti accompagnano i pazienti
facilitando la loro integrazione, in particolare nelle scuole. La «difesa»:
la Fondazione difende la vita delle persone disabili fin dal momento
del concepimento: in un contesto sociale in cui l’accelerazione del
progresso scientifico pone domande fondamentali, la Fondazione ha
l’esperienza per assistere i pazienti e partecipare al dibattito
scientifico ed etico. |
Filippo Peschiera
(Dottore
Magistrale in Scienze Chimiche, Università degli Studi di Milano.
Membro del Centro di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede
(DISF), Pontificia Università della Santa Croce, Roma)
Note
- Oggi si
ritiene che le complesse alterazioni fenotipiche della DS siano
determinate da un numero ristretto di geni localizzati sul cromosoma 21
in una regione che, dal punto di vista molecolare, è denominata Down
Syndrome Critical Region (DSCR) (Korenberg et al, 1990). I prodotti di
tali geni risulterebbero sensibili alla presenza di una copia extra del
cromosoma 21 (Hattori et al, 2000).
Indicazioni Bibliografiche
- Jérôme Lejeune, Il messaggio della vita, Cantagalli, Siena, 2002.
- Clara Lejeune, La vita è una sfida, Cantagalli, Siena, 2008.
- Jean-Marie Le Méné, Il professor Lejeune, fondatore della genetica moderna, Cantagalli, Siena, 2008.
- AA.VV., L’esperienza cristiana nella scienza, Quaderni di Città di Vita, Firenze, 1988.
- Neri G, Opitz JM, Down Syndrome: Comments and Reflections on the 50th Anniversary of Lejeune’s Discovery, Am J Med Genet Part A 149A:2647-2654, 2009.