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giovedì 1 marzo 2012

Musica: Lucio Dalla


Musica: Lucio Dalla: 

"Canto per Dio"

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"Credo più alle cose che non si vedono che a quelle che si vedono" dice il cantautore. Che alla vigilia dell'uscita del suo ultimo cd, parla a ruota libera di vita, amore, fede e altri misteri

Il video

Foto di Marco Alemanno
LUCIO DALLA è un po' diverso da come ce lo aspettiamo. Be', adesso ha un tutore alla gamba e sta bloccato a casa sua, in via d’Azeglio, a Bologna. Ma non è per questo. Legge le encicliche, i libri di Papa Ratzinger, La vita di Gesù e gli altri, e poi quelli del teologo Vito Mancuso, e va a Messa tutte le domeniche e canta le lodi del Signore, mentre la gente si volta ancora stupita quando riconosce la sua voce, come succede alla parrocchia di San Domenico. Dice che ha avuto fortuna, ma che la fortuna è un intreccio divino difficile da spiegare se non credi. Ci sentiamo come se non parlassimo di canzonette. La verità è che non sono mai canzonette.
[an error occurred while processing this directive]L’ultimo disco che ha fatto sta per uscire l’8 novembre, e in fondo è come una lettura della sua vita, come se si fosse girato indietro a guardarla. Si intitola Questo è amore, 31 brani - 4 inediti, fra cui un duetto con Marco Mengoni - che ha ripescato dal suo passato meno conosciuto. Il più struggente di tutti, però, è Anema e core e lui dice che spera di aver fatto un capolavoro. Ma dentro a quelle canzoni c’è qualcos’altro che ci appartiene, perché nella sua storia c’è anche la nostra. Una vita di provincia: il clarinetto che gli regalò sua madre a 13 anni, la scuola dei preti, il primo complesso jazz, la Bologna della rivolta e quella del benessere, il successo, il poeta Roberto Roversi e l’amico Gianni Morandi, l’Italia di Berlusconi e l’Italia del Duemila. In tutta questa strada chissà cos’è rimasto davvero.

Roberto Roversi è rimasto?
Ho imparato tutto da lui. Lui è mio padre. Da tutti i punti di vista. Siamo ancora molto legati.

Morandi?
Grande amico. Mi vorrebbe convincere ad andare a Sanremo. Se mi viene in mente una follia ci vado.

Cioè?
Una sorta di canzone sul tipo di Radames, quella che c’è in quest’ultimo disco. Mi piace giocare con la teatralità, come feci con Attenti al lupo. Vediamo.

Parliamo dell’amore, ti va?
C'è un filo rosso, c'è una sorta di mistero religioso nell'amore. Ma io ho sempre messo molta attenzione nel cercare la parte spirituale dell'amore.

Tu come lo definiresti l'amore?
È un processo di assoluta ricreazione, un sentimento ingestibile, incontenibile. L'amore e la vita sono due cose combinate insieme.

E la vita cos'è?
È una cosa straordinaria. Qualsiasi sistema di vita. E l'elemento dove il mistero, la trascendenza, c'entra di più.

Parli come un credente. Ma da quando Lucio Dalla crede in Dio?
Guarda, non è tanto dalla ragione che nasce la fede. Il meccanismo del credere è dentro di noi, nasce assieme a noi. È una rigenerazione, credere. Io sono credente e credulone. Sono disposto a credere. Anzi, faccio fatica a capire quelli che non credono. Io credo che la morte sia solo la fine del primo tempo.

E hai sempre pensato queste cose?
Ci ho sempre creduto. È stato uno sviluppo continuo, ed è sempre rimasto intatto questo stupore davanti al mistero. Credo più nelle cose che non si vedono che in quelle che si vedono. Quello che non vediamo c'è di più. Sono tutto fuori che un saggio, ma alla fine ho visto molto.

Guardando la tua vita?
Anche. Suonavo con Chat Baker che avevo 16 anni, sai cosa vuol dire per uno che sognava di fare solo il musicista? Sono fortunato, ma le cose non sono così semplici.

E il successo ti è arrivato con una canzone su Gesù...
Ma non c'entra. Non la conoscevo neanche Paola Pallottino (l'autrice di 4 marzo 1943, ndr) Venne lei a cercarmi alle Tremiti dov'ero in vacanza e mi consegnò questo testo del 4 marzo. Venne lì con le due figlie piccole che aveva. Mi misi a fischiettarla. Poi in un'osteria la cantai a Chico Buarque de Hollanda. Quando la ascoltò si mise a piangere. È cominciato così, tutto è stato casuale. Eppure guarda che questa casualità è molto più precisa. È come il profumo, ha le sue regole, bisogna solo stare attenti a beccarla. Se pensi che io non so una nota di musica...

Ma dài...
Lo giuro. Ho orecchio. Quando feci Pulcinella di Igor Stravinskij, sentivo che mancava una specie di ouverture e l'ho realizzata. Ma è una cosa che ho fatto a orecchio.

È come dire che la vita premia chi lo merita, giusto?
No. Premia chi capisce. Chi si rende conto di quello che ha.

Ma sei stato tu a convincere Morandi a credere in Dio?
Nooo! Ne abbiamo parlato. Si è incuriosito vedendo che ero un credente. Bisogna ringraziare il cielo quando cambiamo: la mutazione è un segno della continuità dell'esistenza.

E di Papa Ratzinger cosa pensi?
Non mi sento di parlarne bene. Neanche male. Ho letto i suoi libri. Li trovo molto faticosi. C'è una dimensione di vivere la fede che è più da teologo che da credente. E penso che ci sia molta più religiosità in Vito Mancuso.

Wojtyla?
L'ho incontrato diverse volte. Mi piaceva molto, era uno fuori dai codici.

E cosa pensa uno come te del divorzio o dell'aborto?
Credo che l'aborto sia un dramma e vada affrontato con un atteggiamento molto più profondo rispetto ai dogmi.

Cambiando discorso, il tuo vino lo fai ancora?
No, sono astemio. L'avevo chiamato Stronzetto dell'Etna, era un bianco con molta gradazione prodotto nella mia vigna in Sicilia. Carmelo Bene s'era preso una ciucca terribile bevendolo, da non stare più in piedi. E la sera dopo consegnandomi un premio aveva detto "Ecco quello stronzetto di Lucio Dalla". Lo chiamai così per questo, il mio vino.

E il parrucchino?
Quello lo porto sempre.

Ma allora è vero...
Certo che è vero. Io sono molto clownesco, mi piace divertirmi.

Invece, il Lucio Dalla che crede in Dio come potremmo definirlo?
Non so. Personalmente mi sento vicino a un gruppo luterano del Cinquecento, gli Spirituali, di cui faceva parte Michelangelo...


Su "Io donna", 5-11 novembre 2011

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