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martedì 6 marzo 2012

Oscar Wilde, il suo amore per il Cattolicesimo

Oscar Wilde, il suo amore per il Cattolicesimo

 e la conversione in punto di morte

pubblicata da Benedetto XVI il giorno venerdì 2 marzo 2012 alle ore 15.11 ·
 Merita di essere qui ricordata una delle figure piú controverse della letteratura inglese, Oscar Wilde. Merita soprattutto che gli si scrollino di dosso numerosi luoghi comuni e letture superficiali che l'hanno a poco a poco trasformato in una vera e propria icona di una cultura trasgressiva e libertina. Certo, che la vita e l'opera di Wilde siano state costellate di provocazioni ed improntate ad una condotta molto lasciva, è innegabile. Delle sue opere in genere si ricordano soprattutto il disarmante "Ritratto di Dorian Gray", le sue sferzanti commedie e perfino una poesia, in realtà non sua, ma del suo amante Alfred Douglas, intitolata "Two loves", che contiene una frase apologetica che descrive l'amore omosessuale come quello che “dares not speak its name”, «non osa dire il suo nome», definizione strumentalmente assurta, oggi, quasi a status symbol degli amori lascivi ed ineffabili. 
Tutto questo è realtà storica che nessuno vuole negare, ma c'è un'altra verità storica, se vogliamo paradossale, che quasi tutti, in buona o in cattiva fede, sembrano trascurare: Wilde, soprattutto in carcere, leggeva avidamente Dante, la Bibbia, chiedeva ad Alfred Douglas libri su San Francesco d'Assisi. Tornato in libertà, assisteva abbastanza frequentemente a funzioni religiose cattoliche. Ma il passo finale arrivò solo in punto di morte, con il suo pentimento e la sua conversione al cattolicesimo, ma meditata a piú riprese da Wilde (che del resto morí, nel 1900, a soli 46 anni) e frutto comunque di un travagliato percorso morale e spirituale. È proprio sulla sua conversione che ci soffermeremo in questa sede, non certo per disconoscere tutti gli altri aspetti della sua esistenza e della sua opera, ma se non altro per rileggerle in un'altra prospettiva che per certi versi riabilita questa figura e comunque la sottrae alle indebite interpretazioni che lo vogliono precursore di un esasperato libertinismo, quando invece (sulla scorta di un sereno spoglio dei documenti storici) è lecito affermare che, se Wilde vivesse oggi, sarebbe da molti considerato un personaggio piuttosto «clericale». 
Il nostro breve elaborato, naturalmente, auspichiamo soltanto che possa essere d'aiuto a comprendere un po' più in profondità, sganciandosi dagli schematismi del «politicamente corretto», la complessa figura di un uomo «che per tutta la vita cercò la Bellezza e finì per incontrare la Verità»  (3).

Oscar Wilde

Dopo la sua detenzione in carcere per "sodomia" (1895-1897), Wilde trascorse gli ultimi anni tra l'Italia e la Francia. In prigione, tra l'altro, aveva scritto il celebre De profundis, una lunga lettera all'ex amante Alfred Douglas, colpevole - a dire dello stesso Wilde- della sua corruzione e della condanna. In realtà, già negli anni precedenti Oscar aveva cercato più volte di troncare il loro rapporto, che si fondava unicamente sulle più basse passioni umane: «Solo nel fango ci incontravamo», gli rinfaccia rammaricato fin dall'inizio (4). «Ma soprattutto - confessa in chiave autocritica mi rimprovero per la completa depravazione etica a cui ti permisi di trascinarmi»  (5). Dichiarandosi pentito della loro relazione, gli annunciava di avere intenzione di lasciarlo per sempre per tornare con la moglie e i due figli, che malgrado tutto non aveva mai smesso di amare. Il buon proposito, però, fu poi disatteso perché dalla morte della moglie (1898) gli fu sempre impedito dalle autorità di vederli. 

Le sue condizioni di salute, intanto, peggioravano progressivamente, anche a causa dell'abuso di alcool. Al suo capezzale in un albergo di Parigi fu assistito principalmente da Robert Ross, grande amico di vecchia data che piú di tutti gli era rimasto sempre fedele. Fu proprio Ross a condurre il reverendo cattolico irlandese Cuthbert Dunne dall'amico ormai morente. Sembra che Wilde non fosse in grado di parlare, perciò Ross gli chiese se voleva vedere il sacerdote dicendogli di sollevare la mano per rispondere affermativamente. Wilde la sollevò. Il sacerdote gli domandò, con la stessa modalità, se voleva convertirsi, e Wilde sollevò nuovamente la mano. Quindi padre Dunne gli somministrò il battesimo condizionale, lo assolse e lo unse. Wilde morì cattolico. Lo stesso Padre Dunne «affermò di essere pienamente certo che Wilde lo avesse compreso quando gli disse che era lì per riceverlo nella Chiesa cattolica e dargli gli ultimi sacramenti»  (6).
Ross ebbe in seguito a dichiarare: «Non riuscì mai a parlare. Lo feci per la mia coscienza e la promessa che gli avevo fatto» (7). È quasi scontato ritenere che una persona in grado di sollevare la mano dietro precisa esortazione sia, benché morente, lucida. Tuttavia, Ross sapeva, al di là della domanda formulatagli in quel momento, che Wilde aveva più volte espresso la volontà di convertirsi al cattolicesimo, tanto che la definì, appunto, «la promessa che gli avevo fatto».
L'interesse di Wilde per il cattolicesimo era in realtà di vecchissima data. Fin da giovane si mostrò molto interessato (ma, per certi versi, piú per ragioni «artistiche» che religiose) alla Chiesa, sulla scorta degl'insegnamenti e dei canoni che il suo maestro oxoniense, John Ruskin, andava via via delineando. «Il cattolicesimo», soleva ripetere Wilde nel suo stile sornione, «è la sola religione in cui valga la pena di morire» (8). Dello stesso Dorian Gray, l’alter ego letterario di Wilde, protagonista del celebre romanzo e icona dell'edonismo, Wilde scrive che non professava alcuna fede religiosa, ma aveva una certa propensione per la religione cattolica (9). La bellezza delle chiese cattoliche, il solenne rituale latino, i bei paramenti sacri esercitavano una grande forza attrattiva per il giovane Dorian Gray. Certo, le opinioni di Wilde in materia di fede non erano affatto ortodosse, ma questi elementi, questi slanci spirituali, se ben contestualizzati, consentono di comprendere quale travaglio visse la sua anima e possono essere spiegati appunto alla luce di quanto avvenne poi, cioè la sua conversione. 

Col trascorrere del tempo, e soprattutto negli ultimi anni di vita, l'avvicinamento di Wilde al cattolicesimo si fece progressivamente più intenso. Tre settimane prima di morire dichiarò ad un corrispondente del “Daily Chronicle”: «Buona parte della mia perversione morale è dovuta al fatto che mio padre non mi permise di diventare cattolico. L'aspetto artistico della Chiesa e la fragranza dei suoi insegnamenti mi avrebbero guarito dalle mie degenerazioni. Ho intenzione di esservi accolto al più presto» (10). Non si direbbero proprio le parole di un anticlericale precursore di una cultura trasgressivo-libertina come oggi, spesso, lo si vuol far passare. Si noterà, certo, lo stile un po' sui generis delle affermazioni di Wilde. Inizialmente, infatti, neppure Ross prese sul serio le intenzioni dell'amico (quando ancora era in salute), tanto che Wilde lo soprannominò scherzosamente «il cherubino con la spada fiammeggiante, che mi proibisce di entrare nell'Eden». E, con tono altrettanto scherzoso, disse ad un altro amico: «La Chiesa cattolica è soltanto per i santi e i peccatori. Per le persone rispettabili va benissimo quella anglicana» (11). Bisogna però saper inquadrare questo tipo di linguaggio, che rientrava nello stile sferzante e sornione dell'eloquio di Wilde, sempre in cerca della battuta icastica e divertente, e ironico su tutti gli argomenti. Non va perciò confuso lo stile ironico di certe affermazioni di Wilde con la serietà del suo travaglio interiore; non si deve, per parafrasare Wilde stesso, «disperdere il grano e conservare la pula, scegliendo perfidamente» (12). 

Si tratta di un principio profondamente cristiano, che nel De profundis descrive con parole molto toccanti: «Il credo di Cristo non ammette dubbi. E che sia il vero credo io non lo dubito. Naturalmente, il peccatore deve pentirsi. Ma perché? Semplicemente perché altrimenti sarebbe incapace di capire quanto ha fatto. Il momento della contrizione è il momento dell'iniziazione. Di più: è lo strumento con cui si muta il proprio passato. I greci consideravano una cosa simile impossibile. Spesso dicevano quel loro aforisma gnomico: "Neppure gli dèi possono mutare il passato". Cristo dimostrò che il più comune peccatore poteva farlo, che anzi era l'unica cosa che il più comune peccatore sapesse fare [...]. È difficile, per la maggior parte della gente, afferrare quest'idea. Oso dire che occorre andare in carcere per capirla bene. In tal caso, forse, vale la pena d'andarvi»  (13). Uscito di prigione dichiarerà ancora ad un amico: «La pietà è un sentimento meraviglioso, che prima non conoscevo [...]. Sapete quale nobile sentimento sia la pietà? Ringrazio Dio, sì, ogni sera ringrazio Dio in ginocchio di avermela fatta conoscere. Sono entrato in prigione con un cuore di pietra; non pensavo che al mio piacere... Ora invece il mio cuore si è aperto alla pietà. Ho capito che la pietà è il sentimento più profondo, più bello che esista. Ed ecco perché non serbo rancore verso chi mi ha condannato, né per nessuno dei miei detrattori: è merito loro se ho imparato cos'è la pietà»  (14). «Il momento supremo per un uomo - confida Wilde nel "De profundis" è quello in cui s'inginocchia nella polvere, e si batte il petto, e confessa tutti i peccati della sua esistenza»  (15).

Colpisce, tra le numerose sorprese del personaggio, che la quasi totalità dei suoi più cari amici, a un certo momento della propria vita, abbandonò la vecchia condotta dissoluta e si convertì al cattolicesimo romano. L'ex amante Alfred Douglas, innanzitutto. Poi Robert Ross, il suo migliore amico. Il suo secondogenito, Vyvyan, che volle divenne cattolico già a tredici anni. John Gray (1866-1934), che aveva ispirato allo scrittore la figura dell'omonimo Dorian e che dopo la conversione si fece addirittura sacerdote. Il poeta André Raffalovich (1864-1934), che divenne terziario domenicano. Il pittore Aubrey Beardsley (1872-1898), che aveva curato le illustrazioni della prima edizione di Salomè. Alcuni vecchi amici di Oxford, come Hunter Blair, fattosi poi benedettino. E ancora molti altri. Perfino il padre di Alfred Douglas, il marchese di Queensberry (1844-1900), l'uomo che lo aveva rovinato facendolo condannare in tribunale, e che si professava ateo e materialista, in punto di morte chiese i Sacramenti cattolici. Una serie di circostanze che permette di comprendere quale humus si celasse in realtà dietro la corruzione dell'ambiente di Wilde.


Oscar Wilde - oltre ad essere il re dei salotti londinesi - era solito trascorre ore a conversare con i padri gesuiti. Agli esordi della sua carriera letteraria, a Londra, frequentava spesso il Brompton Oratory, la chiesa dei Padri pratoriani, dove ebbe modo di aprire le pieghe più intime della sua anima ad un sacerdote, Padre Sebastien Bowden, col quale ebbe anche una corrispondenza epistolare (16). Ad una lettura attenta, in effetti, le sue maggiori opere risultano intrise tutte di un profondo spirito cattolico: le fiabe, dove sono decantati i valori del sacrificio e della carità; le poesie, tanto spesso dedicate a temi mistici; i drammi, uno dei quali rappresenta la vicenda biblica di Erode e Salomè; il già citato De profundis; e via discorrendo. I suoi stessi riferimenti culturali ruotavano attorno alla religione cattolica: le sue letture preferite erano Dante, San Francesco, Sant'Agostino, le Sacre Scritture. Ma sopratutto il Cardinale John Henry Newman (1801-1890), beatificato nel 2010 da papa Benedetto XVI. Per intenderci, il cardinale Newman, teologo e filosofo, è considerato uno dei più grandi prosatori inglesi della storia nonchè il più autorevole apologista della fede che la Gran Bretagna abbia prodotto. Si tratta di un intelligentissimo sacerdote anglicano che, attraverso i suoi studi, nella sua opera Sviluppo della dottrina cristiana, pubblicato nel 1845, arrivò alla conclusione che «la Chiesa Cattolica era formalmente dalla parte della ragione», e che essa era l'unica e la sola Chiesa a conservare interamente la Verità. Riassuntive di questo profondo processo di conversione, sono le parole che si leggono nel suo diario, del gennaio 1863: «Come protestante, la mia religione mi sembrava misera, non però la mia vita. E ora, da cattolico, la mia vita è misera, non però la mia religione». 

John Henry Newman

Dai Padri della Chiesa ad intellettuali della statura di Newman, questa fu la fonte a cui si abbeverò Oscar Wilde. Durante la carcerazione, racconta, «ogni mattina, dopo aver pulito la cella e lavato la mia gavetta, ho letto un poco dei Vangeli»  (17). Certo le sue opinioni in materia di fede non erano sempre ortodosse; ma questi elementi, questi slanci spirituali, se ben contestualizzati, consentono di comprendere quale travaglio visse la sua anima e possono essere spiegati appunto alla luce di quanto avvenne poi, cioè la conversione.

Quando fu universitario poi, già era stato sul punto di battezzarsi. Il padre, noto oftalmologo dell’epoca, nonché massone ed anti-cattolico, glielo proibì, minacciando di tagliargli i viveri. Nel 1877, inoltre, incontrò in segreto Papa Pio IX, che ammirava fortemente, a cui dedicò persino un sonetto, e per il quale nutriva profondo rispetto - e all’epoca non era certo di moda stimare Pio IX - tanto che, a quanti gli chiedevano della sua fede, rispondeva: «Non sono cattolico, sono solo papista». Quel sonetto si chiamava "Urbs Sacra Aeterna":

"Roma, quale mai Storia fu la tua!
Per più secoli la tua spada repubblicana resse
Il mondo ai primi albori, e fosti poi Regina delle genti,
Fin che i villosi Goti le tue strade corsero, e oggi
Sopra le tue mura (Oh, città coronata dal Signore, e dagli uomini disincoronata!)
Ondeggia ai vènti il rosso e il bianco e il verde
Dal tricolore detestato. Quando avesti la tua gloria?
Forse quando, avide di potenza, le tue aquile
Si levarono incontro al doppio sole, e tremarono i popoli
Al tuo cenno? No, la tua gloria attese questo giorno,
Quando innanzi al Santissimo Pastore
Della Chiesa di Dio fatto prigioniero,
S'inginocchiano in pianto i pellegrini".

Papa Pio IX, beatificato nel 2000 da Papa Giovanni Paolo II

Non poteva essere altrimenti: eccelso esteta e amante della bellezza in ogni sua forma, Wilde era convinto che l’identità culturale e storica di Roma e degli altri territori che avevano formato gli Stati della Chiesa era profondamente e irrimediabilmente cattolica, come il resto dell’Italia tra l’altro. Per tale ragione impedire ai Papi e alla Chiesa di continuare la loro missione evangelica, politica e culturale tramite il governo temporale non poteva sembrargli altro che un sacrilegio imperdonabile, oltre che un’azione lesiva per l’Italia stessa. Pur senza essere cattolico, la stessa abitazione di Oscar Wilde testimoniava una chiara simpatia per la Chiesa di Roma: erano state appese foto del papa Pio IX e del cardinale Manning, mentre la presenza di una Madonna di gesso accoglieva i suoi ospiti.
Ancora Ross testimonia che Wilde si era «inginocchiato come un vero cattolico» davanti ad un prete di Notre-Dame a Parigi, ad un altro prete a Napoli (18). Anzi, merita menzione il grande interesse di Wilde per Leone XIII, alle cui udienze andò molto spesso. La prima volta poté andarci in maniera del tutto casuale o, se vogliamo, provvidenziale. Il Sabato Santo del 1900 uno sconosciuto avvicinò Wilde e gli chiese se avesse avuto piacere di vedere il Papa il giorno dopo, Wilde rispose «Non sum dignus» e l'uomo gli consegnò il biglietto necessario per essere ammesso alla cerimonia pontificia. Il giorno successivo Wilde fu tra le prime file a ricevere, nel giorno di Pasqua, la benedizione Urbi et Orbi. Così il giorno dopo descrisse l'evento: «Ieri ero in prima fila con i pellegrini in Vaticano ed ho ricevuto la benedizione del Santo Padre. Era meraviglioso mentre sfilava di fronte a me portato sulla sua sedia gestatoria, non era né carne né sangue, ma un'anima candida vestita di bianco, un artista ed un santo. Non ho mai visto nulla di simile alla straordinaria grazia dei suoi modi; di tanto in tanto si sollevava probabilmente per benedire i pellegrini, ma certamente le sue benedizioni erano rivolte a me» (19). Leone XIII aveva quel portamento aristocratico, mite e ricco di grazia, che oggi caratterizza in maniera assai simile anche Benedetto XVI.

Papa Leone XIII, autore della storica enciclica "Rerum Novarum", su cui si fonda la Dottrina Sociale della Chiesa.

In seguito così Wilde ricordò la figura di Leone XIII: «Quando vidi il vecchio bianco Pontefice, successore degli Apostoli e padre della Cristianità, portato in alto sopra la folla, passarmi vicino e benedirmi dove ero inginocchiato, io sentii la mia fragilità di corpo e di anima scivolare via da me come un abito consunto, e ne provai piena consapevolezza». A papa Pecci Wilde attribuì addirittura di averlo miracolato, facendolo guarire, dopo la benedizione pasquale, da una grave forma di dermatite: «Il Vicario di Cristo ha fatto tutto», dichiarò. Da quel momento iniziò ad andare molto spesso, durante il suo soggiorno romano, alle udienze pontificie. 

In conclusione, si può più che ragionevolmente credere alla sincerità e alla legittimità della conversione di Wilde al cattolicesimo. Indubbiamente ciò non cancella la sua condotta eterodossa, ma scopo di questa rivisitazione critica non è certo quello di presentare Oscar Wilde come un modello cristiano da seguire, bensì quello di restituirlo alla verità storica, oltre allo spessore letterario che gli spetta, senza arbitrarie ed indebite forzature che portano a faziose interpretazioni della sua figura, e senza giudicare impietosamente quest'uomo che, pur avendo vissuto nel peccato e nell'errore, con la sua umiltà e la sua redenzione può forse fungere, oggi, da esempio per moltissime persone:

"And there, till Christ call forth the dead,
In silence let him lie".

"Lasciatelo in silenzio,
Verrà Cristo a suscitare i morti".

(Oscar Wilde, The Ballad of Reading Gaol, VI, vv. 7-8, trad. F. Buffoni)

3  P. Gulisano, Il ritratto di Oscar Wilde, seconda di copertina.
4  O. Wilde, De profundis, Mondadori, Milano 1988, pag. 17.
Ibid., pag. 11.
6  P. A. Spadaro s.j., Sempre la mezzanotte nel cuore. A cento anni dalla morte di Oscar Wilde, in La Civiltà Cattolica, anno CLI, nº 3607, pagg. 17-30, pag. 22, nota nº 18.
7  R. Ellmann, Oscar Wilde, Rizzoli, Milano 1991, pag. 670.
8  R. Ellmann, op. cit., pag. 669.
9  O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, in Opere, pagg. 145-146.
10 Ibid.
11 Ibid.
12 The Ballad of Reading Gaol, V, vv. 11-12, trad. F. Buffoni).
13 O. Wilde, De profundis, pagg. 105-106.
14 A. Gide, Oscar Wilde, Mercure de France, Parigi 1989, pagg. 39-40.
15 O. Wilde, De profundis, pagg. 129-130.
16  P. Gulisano, op. cit., pagg. 77-79.
17  O. Wilde, De profundis, pag. 99.
18  R. Ellmann, op. cit., pag. 669 e pag 718, nota nº 84.
19  O. Wilde, Due lettere, in Opere, pag. 1607.

Ivi è possibile leggere due delle tante storie, semplici ma dal grande significato, in cui emerge chiaramente la profonda religiosità cristiana di Wilde:

Il Gigante egoista
Il Principe Felice

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