Oscar Wilde, il suo amore per il Cattolicesimo
e la conversione in punto di morte
pubblicata da Benedetto XVI il giorno venerdì 2 marzo 2012 alle ore 15.11 ·
Merita
di essere qui ricordata una delle figure piú controverse della
letteratura inglese, Oscar Wilde. Merita soprattutto che gli si
scrollino di dosso numerosi luoghi comuni e letture superficiali che
l'hanno a poco a poco trasformato in una vera e propria icona di una
cultura trasgressiva e libertina. Certo, che la vita e l'opera di Wilde
siano state costellate di provocazioni ed improntate ad una condotta
molto lasciva, è innegabile. Delle sue opere in genere si ricordano
soprattutto il disarmante "Ritratto di Dorian Gray", le sue sferzanti
commedie e perfino una poesia, in realtà non sua, ma del suo amante
Alfred Douglas, intitolata "Two loves", che contiene una frase
apologetica che descrive l'amore omosessuale come quello che “dares not
speak its name”, «non osa dire il suo nome», definizione strumentalmente
assurta, oggi, quasi a status symbol degli amori lascivi ed
ineffabili.
Tutto questo è realtà storica che nessuno vuole
negare, ma c'è un'altra verità storica, se vogliamo paradossale, che
quasi tutti, in buona o in cattiva fede, sembrano trascurare: Wilde,
soprattutto in carcere, leggeva avidamente Dante, la Bibbia, chiedeva ad
Alfred Douglas libri su San Francesco d'Assisi. Tornato in libertà,
assisteva abbastanza frequentemente a funzioni religiose cattoliche. Ma
il passo finale arrivò solo in punto di morte, con il suo pentimento e
la sua conversione al cattolicesimo, ma meditata a piú riprese da Wilde
(che del resto morí, nel 1900, a soli 46 anni) e frutto comunque di un
travagliato percorso morale e spirituale. È proprio sulla sua
conversione che ci soffermeremo in questa sede, non certo per
disconoscere tutti gli altri aspetti della sua esistenza e della sua
opera, ma se non altro per rileggerle in un'altra prospettiva che per
certi versi riabilita questa figura e comunque la sottrae alle indebite
interpretazioni che lo vogliono precursore di un esasperato
libertinismo, quando invece (sulla scorta di un sereno spoglio dei
documenti storici) è lecito affermare che, se Wilde vivesse oggi,
sarebbe da molti considerato un personaggio piuttosto «clericale».
Il
nostro breve elaborato, naturalmente, auspichiamo soltanto che possa
essere d'aiuto a comprendere un po' più in profondità, sganciandosi
dagli schematismi del «politicamente corretto», la complessa figura di
un uomo «che per tutta la vita cercò la Bellezza e finì per incontrare la Verità» (3).
Oscar Wilde
Dopo
la sua detenzione in carcere per "sodomia" (1895-1897), Wilde trascorse
gli ultimi anni tra l'Italia e la Francia. In prigione, tra l'altro,
aveva scritto il celebre De profundis, una
lunga lettera all'ex amante Alfred Douglas, colpevole - a dire dello
stesso Wilde- della sua corruzione e della condanna. In realtà, già
negli anni precedenti Oscar aveva cercato più volte di troncare il loro
rapporto, che si fondava unicamente sulle più basse passioni umane: «Solo nel fango ci incontravamo», gli rinfaccia rammaricato fin dall'inizio (4). «Ma soprattutto - confessa in chiave autocritica - mi rimprovero per la completa depravazione etica a cui ti permisi di trascinarmi»
(5). Dichiarandosi pentito della loro relazione, gli annunciava di
avere intenzione di lasciarlo per sempre per tornare con la moglie e i
due figli, che malgrado tutto non aveva mai smesso di amare. Il buon
proposito, però, fu poi disatteso perché dalla morte della moglie (1898)
gli fu sempre impedito dalle autorità di vederli.
Le sue
condizioni di salute, intanto, peggioravano progressivamente, anche a
causa dell'abuso di alcool. Al suo capezzale in un albergo di Parigi fu
assistito principalmente da Robert Ross, grande amico di vecchia data
che piú di tutti gli era rimasto sempre fedele. Fu proprio Ross a
condurre il reverendo cattolico irlandese Cuthbert Dunne dall'amico
ormai morente. Sembra che Wilde non fosse in grado di parlare, perciò
Ross gli chiese se voleva vedere il sacerdote dicendogli di sollevare la
mano per rispondere affermativamente. Wilde la sollevò. Il sacerdote
gli domandò, con la stessa modalità, se voleva convertirsi, e Wilde
sollevò nuovamente la mano. Quindi padre Dunne gli somministrò il
battesimo condizionale, lo assolse e lo unse. Wilde morì cattolico. Lo
stesso Padre Dunne «affermò di essere pienamente certo che Wilde lo
avesse compreso quando gli disse che era lì per riceverlo nella Chiesa
cattolica e dargli gli ultimi sacramenti» (6).
Ross ebbe in seguito a dichiarare: «Non riuscì mai a parlare. Lo feci per la mia coscienza e la promessa che gli avevo fatto»
(7). È quasi scontato ritenere che una persona in grado di sollevare la
mano dietro precisa esortazione sia, benché morente, lucida. Tuttavia,
Ross sapeva, al di là della domanda formulatagli in quel momento, che
Wilde aveva più volte espresso la volontà di convertirsi al
cattolicesimo, tanto che la definì, appunto, «la promessa che gli avevo fatto».
L'interesse
di Wilde per il cattolicesimo era in realtà di vecchissima data. Fin da
giovane si mostrò molto interessato (ma, per certi versi, piú per
ragioni «artistiche» che religiose) alla Chiesa, sulla scorta
degl'insegnamenti e dei canoni che il suo maestro oxoniense, John
Ruskin, andava via via delineando. «Il cattolicesimo», soleva ripetere Wilde nel suo stile sornione, «è la sola religione in cui valga la pena di morire»
(8). Dello stesso Dorian Gray, l’alter ego letterario di Wilde,
protagonista del celebre romanzo e icona dell'edonismo, Wilde scrive che
non professava alcuna fede religiosa, ma aveva una certa propensione
per la religione cattolica (9). La bellezza delle chiese cattoliche, il
solenne rituale latino, i bei paramenti sacri esercitavano una grande
forza attrattiva per il giovane Dorian Gray. Certo, le opinioni di Wilde
in materia di fede non erano affatto ortodosse, ma questi elementi,
questi slanci spirituali, se ben contestualizzati, consentono di
comprendere quale travaglio visse la sua anima e possono essere spiegati
appunto alla luce di quanto avvenne poi, cioè la sua conversione.
Col
trascorrere del tempo, e soprattutto negli ultimi anni di vita,
l'avvicinamento di Wilde al cattolicesimo si fece progressivamente più
intenso. Tre settimane prima di morire dichiarò ad un corrispondente del
“Daily Chronicle”: «Buona parte della mia perversione
morale è dovuta al fatto che mio padre non mi permise di diventare
cattolico. L'aspetto artistico della Chiesa e la fragranza dei suoi
insegnamenti mi avrebbero guarito dalle mie degenerazioni. Ho intenzione
di esservi accolto al più presto» (10). Non si direbbero
proprio le parole di un anticlericale precursore di una cultura
trasgressivo-libertina come oggi, spesso, lo si vuol far passare. Si
noterà, certo, lo stile un po' sui generis delle affermazioni di Wilde.
Inizialmente, infatti, neppure Ross prese sul serio le intenzioni
dell'amico (quando ancora era in salute), tanto che Wilde lo
soprannominò scherzosamente «il cherubino con la spada fiammeggiante, che mi proibisce di entrare nell'Eden». E, con tono altrettanto scherzoso, disse ad un altro amico: «La Chiesa cattolica è soltanto per i santi e i peccatori. Per le persone rispettabili va benissimo quella anglicana»
(11). Bisogna però saper inquadrare questo tipo di linguaggio, che
rientrava nello stile sferzante e sornione dell'eloquio di Wilde, sempre
in cerca della battuta icastica e divertente, e ironico su tutti gli
argomenti. Non va perciò confuso lo stile ironico di certe affermazioni
di Wilde con la serietà del suo travaglio interiore; non si deve, per
parafrasare Wilde stesso, «disperdere il grano e conservare la pula, scegliendo perfidamente» (12).
Si tratta di un principio profondamente cristiano, che nel De profundis descrive con parole molto toccanti: «Il credo di Cristo non ammette dubbi. E che sia il vero credo io non lo dubito. Naturalmente,
il peccatore deve pentirsi. Ma perché? Semplicemente perché altrimenti
sarebbe incapace di capire quanto ha fatto. Il momento della contrizione
è il momento dell'iniziazione. Di più: è lo strumento con cui si muta
il proprio passato. I greci consideravano una cosa simile impossibile.
Spesso dicevano quel loro aforisma gnomico: "Neppure gli dèi possono
mutare il passato". Cristo dimostrò che il più comune peccatore poteva
farlo, che anzi era l'unica cosa che il più comune peccatore sapesse
fare [...]. È difficile, per la maggior parte della gente,
afferrare quest'idea. Oso dire che occorre andare in carcere per capirla
bene. In tal caso, forse, vale la pena d'andarvi» (13). Uscito di prigione dichiarerà ancora ad un amico: «La pietà è un sentimento meraviglioso, che prima non conoscevo [...].
Sapete quale nobile sentimento sia la pietà? Ringrazio Dio, sì, ogni
sera ringrazio Dio in ginocchio di avermela fatta conoscere. Sono
entrato in prigione con un cuore di pietra; non pensavo che al mio
piacere... Ora invece il mio cuore si è aperto alla pietà. Ho capito che
la pietà è il sentimento più profondo, più bello che esista. Ed ecco
perché non serbo rancore verso chi mi ha condannato, né per nessuno dei
miei detrattori: è merito loro se ho imparato cos'è la pietà» (14). «Il momento supremo per un uomo - confida Wilde nel "De profundis" - è quello in cui s'inginocchia nella polvere, e si batte il petto, e confessa tutti i peccati della sua esistenza» (15).
Colpisce,
tra le numerose sorprese del personaggio, che la quasi totalità dei
suoi più cari amici, a un certo momento della propria vita, abbandonò la
vecchia condotta dissoluta e si convertì al cattolicesimo romano. L'ex
amante Alfred Douglas, innanzitutto. Poi Robert Ross, il suo migliore amico. Il suo secondogenito, Vyvyan, che volle divenne cattolico già a tredici anni. John Gray (1866-1934),
che aveva ispirato allo scrittore la figura dell'omonimo Dorian e che
dopo la conversione si fece addirittura sacerdote. Il poeta André Raffalovich (1864-1934), che divenne terziario domenicano. Il pittore Aubrey Beardsley (1872-1898), che aveva curato le illustrazioni della prima edizione di Salomè. Alcuni vecchi amici di Oxford, come Hunter Blair, fattosi poi benedettino. E ancora molti altri. Perfino il padre di Alfred Douglas, il marchese di Queensberry (1844-1900),
l'uomo che lo aveva rovinato facendolo condannare in tribunale, e che
si professava ateo e materialista, in punto di morte chiese i Sacramenti
cattolici. Una serie di circostanze che permette di comprendere quale humus si celasse in realtà dietro la corruzione dell'ambiente di Wilde.
Oscar
Wilde - oltre ad essere il re dei salotti londinesi - era solito
trascorre ore a conversare con i padri gesuiti. Agli esordi della sua
carriera letteraria, a Londra, frequentava spesso il Brompton Oratory, la chiesa dei Padri pratoriani, dove ebbe modo di aprire le pieghe più intime della sua anima ad un sacerdote, Padre Sebastien Bowden,
col quale ebbe anche una corrispondenza epistolare (16). Ad una lettura
attenta, in effetti, le sue maggiori opere risultano intrise tutte di
un profondo spirito cattolico: le fiabe, dove sono decantati i valori
del sacrificio e della carità; le poesie, tanto spesso dedicate a temi
mistici; i drammi, uno dei quali rappresenta la vicenda biblica di Erode
e Salomè; il già citato De profundis; e via discorrendo. I
suoi stessi riferimenti culturali ruotavano attorno alla religione
cattolica: le sue letture preferite erano Dante, San Francesco, Sant'Agostino, le Sacre Scritture. Ma sopratutto il Cardinale John Henry Newman (1801-1890), beatificato
nel 2010 da papa Benedetto XVI. Per intenderci, il cardinale Newman,
teologo e filosofo, è considerato uno dei più grandi prosatori inglesi
della storia nonchè il più autorevole apologista della fede che la Gran
Bretagna abbia prodotto. Si tratta di un intelligentissimo sacerdote
anglicano che, attraverso i suoi studi, nella sua opera Sviluppo della dottrina cristiana, pubblicato nel 1845, arrivò alla conclusione che «la Chiesa Cattolica era formalmente dalla parte della ragione»,
e che essa era l'unica e la sola Chiesa a conservare interamente la
Verità. Riassuntive di questo profondo processo di conversione, sono le
parole che si leggono nel suo diario, del gennaio 1863: «Come
protestante, la mia religione mi sembrava misera, non però la mia vita.
E ora, da cattolico, la mia vita è misera, non però la mia religione».
John Henry Newman
Dai
Padri della Chiesa ad intellettuali della statura di Newman, questa fu
la fonte a cui si abbeverò Oscar Wilde. Durante la carcerazione,
racconta, «ogni mattina, dopo aver pulito la cella e lavato la mia gavetta, ho letto un poco dei Vangeli»
(17). Certo le sue opinioni in materia di fede non erano sempre
ortodosse; ma questi elementi, questi slanci spirituali, se ben
contestualizzati, consentono di comprendere quale travaglio visse la sua
anima e possono essere spiegati appunto alla luce di quanto avvenne
poi, cioè la conversione.
Quando fu universitario poi, già
era stato sul punto di battezzarsi. Il padre, noto oftalmologo
dell’epoca, nonché massone ed anti-cattolico, glielo proibì, minacciando
di tagliargli i viveri. Nel 1877, inoltre, incontrò in segreto Papa Pio
IX, che ammirava fortemente, a cui dedicò persino un sonetto, e per il
quale nutriva profondo rispetto - e all’epoca non era certo di moda
stimare Pio IX - tanto che, a quanti gli chiedevano della sua fede,
rispondeva: «Non sono cattolico, sono solo papista». Quel sonetto si chiamava "Urbs Sacra Aeterna":
"Roma, quale mai Storia fu la tua!
Per più secoli la tua spada repubblicana resse
Il mondo ai primi albori, e fosti poi Regina delle genti,
Fin che i villosi Goti le tue strade corsero, e oggi
Sopra le tue mura (Oh, città coronata dal Signore, e dagli uomini disincoronata!)
Ondeggia ai vènti il rosso e il bianco e il verde
Dal tricolore detestato. Quando avesti la tua gloria?
Forse quando, avide di potenza, le tue aquile
Si levarono incontro al doppio sole, e tremarono i popoli
Al tuo cenno? No, la tua gloria attese questo giorno,
Quando innanzi al Santissimo Pastore
Della Chiesa di Dio fatto prigioniero,
S'inginocchiano in pianto i pellegrini".
Papa Pio IX, beatificato nel 2000 da Papa Giovanni Paolo II
Non
poteva essere altrimenti: eccelso esteta e amante della bellezza in
ogni sua forma, Wilde era convinto che l’identità culturale e storica di
Roma e degli altri territori che avevano formato gli Stati della Chiesa
era profondamente e irrimediabilmente cattolica, come il resto
dell’Italia tra l’altro. Per tale ragione impedire ai Papi e alla Chiesa
di continuare la loro missione evangelica, politica e culturale tramite
il governo temporale non poteva sembrargli altro che un sacrilegio
imperdonabile, oltre che un’azione lesiva per l’Italia stessa. Pur senza
essere cattolico, la stessa abitazione di Oscar Wilde testimoniava una
chiara simpatia per la Chiesa di Roma: erano state appese foto del papa
Pio IX e del cardinale Manning, mentre la presenza di una Madonna di
gesso accoglieva i suoi ospiti.
Ancora Ross testimonia che Wilde
si era «inginocchiato come un vero cattolico» davanti ad un prete di
Notre-Dame a Parigi, ad un altro prete a Napoli (18). Anzi, merita
menzione il grande interesse di Wilde per Leone XIII, alle cui udienze
andò molto spesso. La prima volta poté andarci in maniera del tutto
casuale o, se vogliamo, provvidenziale. Il Sabato Santo del 1900 uno
sconosciuto avvicinò Wilde e gli chiese se avesse avuto piacere di
vedere il Papa il giorno dopo, Wilde rispose «Non sum dignus» e l'uomo
gli consegnò il biglietto necessario per essere ammesso alla cerimonia
pontificia. Il giorno successivo Wilde fu tra le prime file a ricevere,
nel giorno di Pasqua, la benedizione Urbi et Orbi. Così il giorno dopo
descrisse l'evento: «Ieri ero in prima fila con i pellegrini in
Vaticano ed ho ricevuto la benedizione del Santo Padre. Era meraviglioso
mentre sfilava di fronte a me portato sulla sua sedia gestatoria, non
era né carne né sangue, ma un'anima candida vestita di bianco, un
artista ed un santo. Non ho mai visto nulla di simile alla straordinaria
grazia dei suoi modi; di tanto in tanto si sollevava probabilmente per
benedire i pellegrini, ma certamente le sue benedizioni erano rivolte a
me» (19). Leone XIII aveva quel portamento aristocratico, mite e
ricco di grazia, che oggi caratterizza in maniera assai simile anche
Benedetto XVI.
Papa Leone XIII, autore della storica enciclica "Rerum Novarum", su cui si fonda la Dottrina Sociale della Chiesa.
In seguito così Wilde ricordò la figura di Leone XIII: «Quando
vidi il vecchio bianco Pontefice, successore degli Apostoli e padre
della Cristianità, portato in alto sopra la folla, passarmi vicino e
benedirmi dove ero inginocchiato, io sentii la mia fragilità di corpo e
di anima scivolare via da me come un abito consunto, e ne provai piena
consapevolezza». A papa Pecci Wilde attribuì addirittura di
averlo miracolato, facendolo guarire, dopo la benedizione pasquale, da
una grave forma di dermatite: «Il Vicario di Cristo ha fatto tutto»,
dichiarò. Da quel momento iniziò ad andare molto spesso, durante il suo
soggiorno romano, alle udienze pontificie.
In
conclusione, si può più che ragionevolmente credere alla sincerità e
alla legittimità della conversione di Wilde al cattolicesimo.
Indubbiamente ciò non cancella la sua condotta eterodossa, ma scopo di
questa rivisitazione critica non è certo quello di presentare Oscar
Wilde come un modello cristiano da seguire, bensì quello di restituirlo
alla verità storica, oltre allo spessore letterario che gli spetta,
senza arbitrarie ed indebite forzature che portano a faziose
interpretazioni della sua figura, e senza giudicare impietosamente
quest'uomo che, pur avendo vissuto nel peccato e nell'errore, con la sua
umiltà e la sua redenzione può forse fungere, oggi, da esempio per
moltissime persone:
"And there, till Christ call forth the dead,
In silence let him lie".
"Lasciatelo in silenzio,
Verrà Cristo a suscitare i morti".
(Oscar Wilde, The Ballad of Reading Gaol, VI, vv. 7-8, trad. F. Buffoni)
3 P. Gulisano, Il ritratto di Oscar Wilde, seconda di copertina.
4 O. Wilde, De profundis, Mondadori, Milano 1988, pag. 17.
5 Ibid., pag. 11.
6 P. A. Spadaro s.j., Sempre la mezzanotte nel cuore. A cento anni dalla morte di Oscar Wilde, in La Civiltà Cattolica, anno CLI, nº 3607, pagg. 17-30, pag. 22, nota nº 18.
7 R. Ellmann, Oscar Wilde, Rizzoli, Milano 1991, pag. 670.
8 R. Ellmann, op. cit., pag. 669.
9 O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, in Opere, pagg. 145-146.
10 Ibid.
11 Ibid.
12 The Ballad of Reading Gaol, V, vv. 11-12, trad. F. Buffoni).
13 O. Wilde, De profundis, pagg. 105-106.
14 A. Gide, Oscar Wilde, Mercure de France, Parigi 1989, pagg. 39-40.
15 O. Wilde, De profundis, pagg. 129-130.
16 P. Gulisano, op. cit., pagg. 77-79.
17 O. Wilde, De profundis, pag. 99.
18 R. Ellmann, op. cit., pag. 669 e pag 718, nota nº 84.
19 O. Wilde, Due lettere, in Opere, pag. 1607.
Ivi è possibile leggere due delle tante storie, semplici ma dal grande significato, in cui emerge chiaramente la profonda religiosità cristiana di Wilde:
Il Gigante egoista
Il Principe Felice
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