Il messaggio cristiano,
il primato degli umili e la rivoluzione sociale
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Quando il quotidiano “Il Giornale” arresta per qualche giorno la sua guerra personale contro ogni decisione del sindaco di Milano, Giuliano Pisapia o il ministro Andrea Riccardi, è anche interessante darvi una lettura. Allo stesso modo si può dire del principale quotidiano italiano, “Il Corriere della Sera”. Quando interrompe l’opera di divulgazione dell’omosessualità, l’attacco ininterrotto (aldilà della cronaca) a Roberto Formigoni e alla Lombardia, allora si può tornare ad apprezzarlo.
Si scoprono così pagine culturali davvero interessanti, come quella dedicata qualche giorno fa al Vangelo e all’opera di rivoluzione culturale operata da Gesù. La firma è di Pietro Citati, noto scrittore e critico letterario italiano, il quale commenta questo brano del Vangelo di Matteo, dove Gesù dice: «Io
ti glorifico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai
nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate
ai piccoli». Questo viene definito da Citati il «cuore del paradosso cristiano». La rivelazione cristiana viene nascosta ai sapienti e agli intelligenti,
cioè ai filosofi, agli scienziati, ai maestri di sapienza e di cultura,
che ebraismo e classicismo hanno da sempre esaltato. La storia del
mondo, dice Civati, è rovesciata, il cristianesimo si offre ai népioi, cioè nel greco classico ai bambini, agli indifesi, agli stolti, agli inesperti, agli ultimi (“che saranno i primi”), ai semplici di cuore. Il Dio cristiano dona sapienza ad essi, li protegge, li difende e concede loro la luce della rivelazione. Il vero népios, afferma lo scrittore, «è sopratutto Gesù,
che ci ha fatto conoscere quel Dio che nessuno aveva mai visto, e che
ha scorto tutti i misteri della natura e della storia e i cuori degli
uomini, che prima di lui restavano avvolti dalla tenebra».
Così il rovesciamento è compiuto, la condizione di népios, lo spirito di innocenza e di umiltà, che ai nostri occhi sembra insignificante, contiene una saggezza profondissima e ineffabile, alla quale la sapienza tecnica degli intelligenti non si potrà mai adeguare. Lo scrittore parla poi del capovolgimento assoluto della storia, cioè la stessa Incarnazione di Dio: non è più l’uomo che si umilia, o che viene umiliato: ma Dio che umilia se stesso, assumendo il corpo di un uomo, sia pure quello di un néuios
, accettando di salire con questo corpo sulla croce, come scandalo e
follia per gli uomini e per l’universo, e vivendo secondo umiltà (e
mitezza e mansuetudine) nei suoi pochi anni di vita.
Il cristianesimo donò questa una nuova dignità agli indifesi, a donne e bambini. Eliminò, oltretutto, il concetto di proprietà:
essendo innanzitutto figli di Dio, i bambini e la donna non potevano
più essere trattati come un mero possedimento da parte del maschio.
Questa rivoluzione sociale è la spiegazione più convincente di come da 12 apostoli si sia passati in 350 anni a 32 milioni di cristiani. Lo riconoscono gli stessi detrattori del cristianesimo, come gli italiani Corrado Augias e Mauro Pesce: «Non si può apprezzare la forza di queste parole [le parole di Gesù verso i bambini, Nrd] se
non si considera che i bambini, in una società contadina primitiva,
erano nulla, erano non persone, proprio come i miserabili. Un bambino
non aveva nemmeno diritto alla vita. Se suo padre non lo accettava come
membro della famiglia, poteva benissimo gettarlo per la strada e farlo
morire, oppure cederlo a qualcuno come schiavo» (C. Augias e M. Pesce, “Inchiesta su Gesù”, Mondadori 2006, pag. 90).
Luca PavaniQuel primato degli umili che rovesciò il mondo
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Il paradosso del Vangelo: la verità negata ai sapienti
In quel tempo Gesù rispondendo disse: «Io ti glorifico, Padre,
Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai
sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre,
perché così piacque al tuo cospetto. Ogni cosa mi è stata rivelata dal
Padre mio. E nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno
conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia
rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete affaticati e gravati, e io
vi ristorerò. Prendete su voi il mio giogo, e imparate da me, poiché io
sono mite e umile di cuore. E troverete ristoro per le vostre anime.
Poiché il mio giogo è soave e il mio peso è leggero».
(Vangelo di Matteo 11,25-30; i primi versetti sono, quasi nella stessa forma, nel Vangelo di Luca, 10, 21-22)
(Vangelo di Matteo 11,25-30; i primi versetti sono, quasi nella stessa forma, nel Vangelo di Luca, 10, 21-22)
Il frammento del Vangelo di Matteo, che vorrei commentare,
comincia con una nota solenne. «Io ti glorifico, Padre, Signore del
cielo e della terra»: vale a dire, io confesso il mio peccato, e insieme
ti lodo, ti ringrazio, ti esalto, invoco il tuo nome, professo la mia
fede in te, ti prometto solennemente come tu mi prometti. In queste
parole risuona l'eco di un passo di Enoc: «In quel giorno, tutti ad una
voce cominceremo a lodare, esaltare, glorificare, magnificare nello
spirito della fede, della sapienza, della misericordia, della giustizia,
della pace e della bontà, e tutti quanti diranno con una sola voce:
"Lodatelo, e il nome del Signore degli spiriti sia glorificato per ogni
eternità"». Questa solenne glorificazione promette, a tutti quanti
confessano che Gesù è il Signore, la salvezza alla fine dei tempi.
Perché il lettore di Matteo glorifica Dio con queste parole solenni?
La spiegazione potrebbe essere molto semplice: egli glorifica Dio
perché ha creato l'universo, o perché è buono, o perché ci soccorre, o
perché ci ama.
In realtà, il testo dice tutt'altro: Dio ha nascosto qualcosa
(che per ora resta indeterminato) agli uni e lo ha rivelato agli altri.
Se ci chiediamo chi sono gli uni, penetriamo di colpo nel cuore del
paradosso cristiano. Gli uni, ai quali la rivelazione viene nascosta,
sono i sapienti e gli intelligenti, cioè i maestri professionali di
sapienza e di cultura, che specialmente l'ebraismo ha tanto esaltato, e
tutti i sapienti e gli intelligenti che nei secoli cristiani educheranno
i popoli e i re, e pretenderanno di conoscere, essi soli, il vero
segreto della realtà e della verità. San Paolo insiste con grandioso
estremismo: «Disperderò la sapienza dei sapienti e renderò vana
l'intelligenza degli intelligenti», sviluppando un passo di Isaia. Con
queste parole, la storia del mondo è rovesciata: la luce non illumina
più chi dovrebbe ricevere e diffondere la luce in tutto il mondo. Né
sapienti né intelligenti: il cristianesimo ha sempre avuto scarsa
tenerezza per loro, se non ricevono dal cielo un altro dono.
A chi va dunque la rivelazione? Con immenso scandalo del mondo
greco-latino, Gesù risponde: ai népioi . Nel greco classico népioi
significa: i bambini, i figli, i figli degli animali, gli indifesi, gli
stolti, gli inesperti, coloro che mancano di discernimento e non
comprendono né la realtà né la volontà degli dei né i segni del destino.
Tutto cambia con Isaia, i salmi e gli scritti di Qumran: népios è il
pio che sta sotto la protezione di Dio, il quale dona sapienza ai
semplici, li protegge, li difende e concede loro la luce della
rivelazione. Dopo la distruzione del Tempio, un Rabbi disse: «Dal giorno
in cui fu distrutto il tempio, la profezia venne tolta ai profeti e
data ai folli e ai bambini». Il vero népios è sopratutto Gesù, che ci ha
fatto conoscere quel Dio che nessuno aveva mai visto, e che ha scorto
tutti i misteri della natura e della storia e i cuori degli uomini, che
prima di lui restavano avvolti dalla tenebra.
Così il rovesciamento è compiuto, la vera filosofia sta al di
sopra della filosofia razionale: la condizione di népios , lo spirito di
innocenza e di umiltà, che ai nostri occhi sembra insignificante,
contiene una saggezza profondissima e ineffabile, alla quale la sapienza
tecnica degli intelligenti non si potrà mai adeguare.
Non sappiamo ancora, fino a questo momento, quale sarà il contenuto della rivelazione,
indicato con un generico «queste cose». Sappiamo soltanto che tutto ci
sarà rivelato, perché, come dice un altro passo di Matteo, «non c'è
nulla di nascosto che non sarà rivelato, né nulla di occulto che non
sarà conosciuto». Se Eraclito aveva detto che dio non dice apertamente
né nasconde, ma accenna, Matteo parla di rivelazione piena e completa,
che ci viene offerta già in questo momento, quando il percorso di Gesù
non è ancora compiuto, e noi non conosciamo le verità della fine dei
tempi.
Esempio • Questo dipinto si trova in una delle celle del Convento di San Marco a Firenze. Raffigura il «Discorso della Montagna» e fu affrescato da Beato Angelico fra il 1438 e il 1450 circa. • Giovanni da Fiesole (Vicchio, 1395 circa – Roma, 1455), detto Beato Angelico, fu un pittore beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1984. Già dopo la sua morte venne chiamato Angelico (dal Vasari) per la religiosità delle sue opere e per le sue personali doti di umanità e umiltà. |
Il Vangelo procede ora per paradossi e capovolgimenti, ora per riprese. Qui
abbiamo una ripresa. Il contenuto della rivelazione annunciata è una
nuova rivelazione, promulgata in una grande formula. Noi, dunque,
possediamo la conoscenza del Padre, ottenuta esclusivamente attraverso
la mediazione del Figlio; e la conoscenza del Figlio, ottenuta
esclusivamente attraverso la mediazione del Padre. C'è una
corrispondenza perfetta tra le due conoscenze, che si sommano in una
sola: «queste cose» sono il mistero di Dio, nel quale sono nascosti
tutti i misteri della sapienza. E non basta. C'è una ulteriore
rivelazione: perché il Figlio vuole confidare a coloro che egli ha
scelto (non sappiamo chi) il cuore del suo messaggio, cioè la
corrispondenza perfetta tra il Padre e il Figlio, nella quale ogni
figura è specchio perfetto dell'altra.
Gli uomini, che in questo momento stanno ascoltando la rivelazione,
subiscono tutti un giogo e sono tutti «affaticati e gravati». Il giogo
è, in prima linea, quello di Dio: il giogo della sapienza, dei cieli,
del Santo, della Torà, dei comandamenti, della penitenza, che il fedele
deve ad ogni costo accollarsi. Ma ci sono altri gioghi: quello della
sapienza rabbinica, che viene applicato alla vita quotidiana e diventa
onerosissimo: quello delle nostre passioni regolate o sregolate, delle
nostre fantasticherie e dei nostri pensieri, di cui noi stessi ci
graviamo; tutto quel peso intollerabile che è l'esistenza di ogni essere
umano, condotta di giorno in giorno, passo dopo passo, sotto una cappa
che ci affatica, ci grava, ci spossa, ci sfinisce, ci esaurisce.
Non possiamo pretendere che quello di Gesù non sia un giogo né un peso:
Gesù stesso non lo pretende; per sua natura, ogni religione è un giogo e
un peso, che l'anima irradia intorno a sé. La differenza tra le altre
religioni e quella annunciata da Gesù è che il giogo cristiano è dolce e
soave e che il suo peso è lievissimo e imponderabile; tanto che non
sembra gravare né affaticare, e noi finiamo per non avvertirlo. C'è una
sola religione così lieve: quella taoista, che muta come la nuvola, la
pioggia, l'arcobaleno; e ama la cedevolezza, la molteplicità, la
flessibilità, le contraddizioni, e sopratutto il vuoto che attraversa e
colma le cose, quasi fossero diafane e tenui come l'aria.
Con una breve escursione, il discorso ritorna a Gesù: «Imparate
da me, che sono mite e umile di cuore». È l'unica volta nei Vangeli che
Gesù dice «imparate da me»; perché egli, che è il Modello, rifugge dal
presentarsi come modello. Qui c'è la parola fondamentale del nostro
passo, e forse di tutti i Vangeli, e forse di tutto il cristianesimo:
«Sono umile di cuore» dice Gesù. Nella grecità classica tapeinós
significa: misero, insignificante, basso, debole, umile, povero. Con i
salmi e la traduzione dei Settanta comincia il rovesciamento del
significato. «Il Signore protegge i piccoli: ero umiliato, ed egli mi ha
salvato». Gli adepti di Qumran si definiscono: i poveri, gli umili. I
rabbini sanno che Dio esalta chi si umilia e umilia chi si esalta,
anticipando la frase dei Vangeli: «chi si innalza sarà abbassato, e chi
si abbassa sarà innalzato», frase che ricorre tre volte. Rabbi Hillel
dice stupendamente: «la mia umiliazione è la mia esaltazione, e la mia
esaltazione è la mia umiliazione».
Infine giungiamo al capovolgimento assoluto. Non è più l'uomo che
si umilia, o che viene umiliato: ma Gesù che umilia se stesso,
assumendo il corpo di un uomo, sia pure quello di un néuios , accettando
di salire con questo corpo sulla croce, come scandalo e follia per gli
uomini e per l'universo, e vivendo secondo umiltà (e mitezza e
mansuetudine) nei suoi pochi anni di vita.
Tutto è mutato: le parole, i simboli e i valori si sono
trasformati; e con il suo tocco lieve, Matteo, che a nome di Gesù aveva
già annunciato: «Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno
dei cieli», dice con la voce profondissima di Gesù: «io sono umile di
cuore».
L'ultima parola di questa figura mite e umile, che proprio per
questo ascende sul culmine della storia, è anapáusis : cessazione,
tregua, riposo, pace, ristoro, quiete. Non è una parola nuova, perché
già i testi sapienziali, apocalittici e gnostici avevano annunciato il
ristoro delle anime affaticate e gravate. Ma questa volta anapáusis è
incommensurabile: suppone una quiete dell'anima così intima e profonda
come non era mai stata conosciuta, perché tutti i pensieri, le
sensazioni, le passioni, le inquietudini, le beatitudini, le sofferenze,
i pesi e i gioghi sono caduti lasciando l'anima vuota e pura; e poi la
quiete si estende lontano, sempre più lontano, come dice san Paolo, nel
riposo infinito dell'eone futuro.
13 marzo 2012 | 17:18
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