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sabato 10 marzo 2012

noi siamo pieni delle tue impronte,

Prima di tutto, 
Signore, 
tu mi devi rendere ciò che ti ho dato 
la mia dimensione di donna, 
la mia diffidenza. 
Ho ricominciato a lavorare il mio terreno 
con la mano di un contadino 
che ara silenziosamente e con pace 
i colli della disperazione, 
e finalmente sono sorti mille giardini, 
è esplosa la primavera. 
La primavera del canto è uguale alla poesia 
ma dentro c’è il seme d’amore 
che è il tuo compiacimento. 
Non si può dire che la poesia è un corpo astratto 
se si fa astrazione da quella carne divina 
che entra nella nostra carne. 
In fondo io sono una donna casta 
perché ogni uomo che ho incontrato 
non era che un’ombra 
in confronto alla tua luce 
e oscurava il tuo volto. 
E come si fa a conoscere il tuo volto
te lo spiego io:
basta vedere qualcosa
che reca la tua impronta.
E noi siamo pieni delle tue impronte,
come se tu fossi passato in ogni casa
a lasciare i segni visibili
del tuo potere.
Siamo stanchi,
siamo nati stanchi e senza speranza,
poi un giorno qualcuno ci bacia,
ma non è l’uomo:
è l’essenza divina del tuo potere.
Ma non sono i figli,
anche se i figli sono uguali a te,
che sei Figlio di Dio.
Non è la terra e non è il mare,
non è la pazienza e non è la morte,
è soltanto il tuo vagito interiore
di un bimbo,
di un uomo che vuole nascere
per farti morire e poi risorgere. 

Io che sono madre posso dirti 
che ogni volta che si partorisce un figlio 
si muore 
e poi si rinasce 
e non si capisce come in questa soglia 
di vita e di morte 
sia chiaro il mistero del perché la prima parola, 
la parola tua 
non abbia mai offuscato i nostri pensieri. 
E se tu vieni alle mie porte 
lo fai con una veste candida 
come se fossi il precursore di un grande evento. 
E ti dirò che per anni 
io ti ho scambiato per il demonio 
perché eri così perentorio, 
così avido, 
così insinuante, 
come il peggiore degli amanti, 
e difatti mi hai fatta soffrire, 
talmente soffrire 
che non potevo fare a meno di te.
 

Alda Merini 

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