BOSONE DI HIGGS/
A volte basta una particella
per combattere il relativismo
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giovedì 5 luglio 2012
Approfondisci
CERN/ Il bosone di Higgs si presenta, e subito ci interroga
CERN/ Si avvicina l’Higgs-day, tra rumors e prudenza. E qualche sorpresa
vai al dossier LHC: la corsa ultraveloce verso i misteri della materia
Per
il mondo della fisica, mercoledì 4 aprile è una data storica. Al Cern
di Ginevra, l’annuncio: il bosone di Higgs, la particella che dà massa a
tutte le altre, esiste. La commozione dell’84enne Peter Higgs, il
fisico inglese che ne ipotizzò l’esistenza nel 1964, è palpabile. Ma sui
media, il suo nome quasi scompare: i titoli sono univoci, vertono tutti
sulla “particella di Dio”. Soprannome che deriva dal titolo, imposto da
un editor, del libro scritto sul tema dal premio Nobel Leon Lederman,
per il quale, però quella non era “the god particle”, ma “the goddamn
particle”, la particella “dannata”. Questione di marketing, che però ha
fatto emergere prepotentemente e immediatamente le ripercussioni sulla
concezione della vita che una scoperta scientifica di tale importanza
produce. Perché, come considera Giuseppe Tanzella-Nitti, astronomo,
professore ordinario di Teologia fondamentale e direttore del Centro di
documentazione interdisciplinare di Scienza e Fede della Pontifica
università della Santa Croce, con cui ilSussidiario.net ha voluto
riflettere sull’evento, «ogni passo in avanti nella nostra conoscenza
certa della natura è sempre un passo in avanti verso la verità delle
cose e, in ultima analisi, verso la Verità con la maiuscola».
Con la scoperta di questa
particella tutto sembra andare a posto nei nostri modelli della materia
che compone tutto l’universo: è una conferma che l'universo è dominato
da ordine, simmetria e armonia? E se sì, cosa significa?
Il modello standard che organizza le
proprietà delle particelle elementari è altamente simmetrico ed
elegante, ma non è l’unico esempio. Basti pensare alla Tavola Periodica
di Mendeleev, o alle stesse equazioni di Maxwell che descrivono
l’elettromagnetismo. La buona scienza sembra avere un rapporto
privilegiato con l’ordine e la simmetria: non è un rapporto che leggiamo
solo nel nostro intelletto, deve avere anche un sufficiente riscontro
oggettivo nelle cose. La notizia che il Bosone di Higgs sembra sia stato
finalmente rivelato, ci conferma in fondo nella stessa idea. Adesso
sappiamo che le 24 particelle fondamentali e le quattro forze di natura
possono stare insieme, in un unico grande quadro teorico. Qualcuno
potrebbe chiedersi da dove vengano questa razionalità e questa eleganza
e, più arditamente, se esse abbiano qualche legame con l’idea che
l’Universo fisico sia il riflesso di una intelligenza creatrice... Posta
così, la domanda esula da quanto possa dirci il metodo scientifico, che
di per sé si basa sulle quantità misurabili e non si interroga sulle
cause davvero ultime della realtà. È tuttavia significativo che lo
scienziato, come uomo, resti sorpreso di ciò e se ne chieda una
spiegazione. La domanda diviene allora filosofica o forse perfino
teologica: non possiamo rispondervi chiedendo nuove misure al Large
Hadron Collider, ma è interessante che, in quanto domanda, essa venga
oggi suscitata anche, ormai, dalla ricerca scientifica, e nasca nei
nostri laboratori.
Qual è la reazione di un teologo quando avviene una scoperta così importante per la nostra concezione dell’universo?
Posso parlarle della mia reazione, non
certo rappresentativa di tutti coloro che, come me, sono studiosi di
teologia. Capire meglio come funziona la natura è una conoscenza che
arricchisce ogni altra disciplina, teologia compresa. Già nel XIII
secolo Tommaso d’Aquino, nella Summa contra Gentiles,
rimproverava coloro che ritenevano ininfluente avere conoscenze
approfondite della natura, purché si avesse una corretta conoscenza di
Dio. A costoro l’Angelico chiariva che se non abbiamo idee giuste sulle
cose create, non possiamo neanche avere un’idea corretta di Dio. È una
lezione, credo, che non ha perso d’attualità.
Dopo una scoperta così, l’universo diventa forse meno misterioso?
Direi di no. Il mistero continua, gli
orizzonti si allargano. Le domande che la scienza ci pone sono sempre
più profonde e non vengono esaurite da una nuova misura. L’orizzonte
della nostra conoscenza, anche di quella scientifica, è aperto
all’essere, alla totalità. E questo semplicemente perché la conoscenza è
una dimensione del nostro spirito, illimitato perché trascende la
materia. Il mondo materiale potrà un giorno finire, ma la conoscenza che
abbiamo di esso, nella misura incui partecipa della conoscenza di Dio,
non termina mai.
È noto che i fisici, a proposito
del bosone di Higgs, non amino la dizione “particella di Dio”. Perché?
Perché secondo lei quando si arriva a parlare dei costituenti ultimi
(sia pure in via provvisoria) della materia, si chiama in causa il nome
di Dio?
Non
è la prima volta che la domanda su Dio o la parola Dio emerge quando la
scienza, come in questo caso, si confronta con le ricerche più
fondamentali, quelle che si interrogano sull’origine di tutte le cose o
sull’origine della razionalità che pare legare fra loro i vari
componenti della natura. Espediente editoriale o mediatico? Certamente
sì, in buona parte, come fra l’altro già sappiamo. In realtà il motivo è
più profondo. Non si può non giungere ai mattoni fondamentali della
materia (fisica delle particelle) o alla grande questione dell’origine
del cosmo (cosmologia) senza percepire che ci si sta confrontando con
qualcosa di grande, senza chiedersi se questo mondo abbia un creatore o
se almeno incarni un progetto, una razionalità. Personalmente vedo con
molto interesse i progressi della ricerca scientifica e il fatto che vi
emerga anche solo un interrogativo su Dio. Siamo in controtendenza
rispetto ad un clima relativista. Lo scienziato cerca la verità e
qualche volta si chiede, appunto, se valga la pena di indicarla, forse
anche solo per dibattervi, con la Maiuscola.
Conoscere come sono fatte le
cose cosa ci può dire di chi le ha create? Quest’ultima scoperta,
secondo lei, può confermare o smentire la fede di un credente? Perché?
Credo di averle già risposto
indirettamente attraverso le riflessioni precedenti. La natura ci parla
certamente di Dio, sebbene lo faccia attraverso una conoscenza che deve
fare ricorso anche all’inferenza filosofica, capace di ascendere dal
finito all’infinito, dagli effetti alla Causa prima. Nessuna scoperta
scientifica, se è davvero tale, conferma o nega l’esistenza di Dio.
Tuttavia, in modo indiretto, getta luce sul creato, senza per questo
istruirci sul motivo profondo, sul perché ultimo della creazione. Dio ha
creato l’universo perché ha amato ciascuno di noi, volendoci chiamare
all’esistenza. Questo è il motivo davvero ultimo, il più profondo. La
scienza ci fa vedere quanto ricco, articolato e misterioso è il cammino
che dall’origine del cosmo porta fino all’uomo e ne rende possibile la
vita sul nostro pianeta. La scienza può ricostruire l’origine nel tempo e
il tragitto di un cammino. La fede in un Dio creatore ci dice perché
questa strada è stata aperta e dove era diretta.
(Vittorio Crippa)