Particelle elementari e scintille divine
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di Giorgio Masiero*
*fisico e docente universitario
*fisico e docente universitario
Era trascorso appena un decimo di
miliardesimo di secondo, eppure ne erano accadute di cose. In questo
tempo si era consumata la rottura della perfetta simmetria dell’Inizio:
erano emersi i 4 diversi campi di forza (gravitazionale,
elettromagnetico, nucleare debole e nucleare forte) ed alcune dozzine di
famiglie di eteree particelle. Mancava ancora tuttavia una qualità, senza la quale il mondo sarebbe rimasto per sempre un ologramma dove tutto schizza alla velocità della luce: la massa.
Uscì allora dal cilindro del creato un quinto campo, diffuso ovunque
nell’ancor minuscolo spazio-tempo: dalla sua auto-interazione nacque una
nuova particella, mentre dall’interazione con le altre particelle,
molte acquisirono massa. Dopo la luce, fu la massa dunque. 13,7 miliardi
di anni fa.
50 anni fa, Peter Higgs
postulò su pura base matematica, per la consistenza della teoria
standard della fisica, l’esistenza di quel primevo campo e della sua
particella-messaggero, mai prima osservati. Nei mesi scorsi il Cern è riuscito a tracciarli e l’apparizione a Ginevra d’una particella
dalle caratteristiche previste, alle energie previste, seppure per il
brevissimo lasso di tempo (previsto) della durata della sua vita, ha
rivelato la realtà del campo di Higgs, responsabile
della massa delle particelle massive: neutroni, protoni ed elettroni
compresi, e quindi dei 92 tipi di atomi di cui si compone tutta la
materia inanimata ed animata del mondo. In un articolo del marzo scorso dedicato all’efficacia inspiegabile della matematica in fisica citavo le predizioni delle onde elettromagnetiche, dei pianeti Nettuno e Plutone, dell’antimateria: tutti oggetti prima usciti come soluzioni di equazioni e dopo osservati in esperimenti in cui la teoria ha guidato l’empiria. Commentando l’articolo un lettore scrisse: “Personalmente ci metterei anche il bosone di Higgs”. Oggi gli devo dare ragione!
Ma cos’è la massa? La definizione dei dizionari (“quantità di materia indistinta”)
è circolare: e la materia cos’è? In fisica, la massa d’un oggetto si
definisce operativamente in 2 modi distinti: o misurandone l’inerzia a mutare il suo stato di moto sotto l’azione di una forza, o misurando l’attrazione
che quell’oggetto subisce da un altro. Da Newton ad Einstein, per due
secoli, nessuno poté spiegarsi perché le due procedure dessero lo stesso
risultato. Con la teoria della relatività, il mistero è stato elegantemente risolto e due succose, strabilianti ciliegine si sono aggiunte alla torta: l’equazione E = mc2, che dà l’equivalenza della massa all’energia e l’esistenza di una particella senza massa, il fotone.
Dopo la massa, però, si apre un altro interrogativo: come si spiegano gli infiniti aspetti
in cui le cose ci appaiono? che cosa provoca la differenza – che ci sta
sotto gli occhi, il tatto e il palato – di 1 litro d’acqua da 8
ettolitri d’aria o da 5 centilitri d’oro, che hanno tutti la stessa massa di 1 kg? Qual è la struttura più profonda della materia? Sono 2.600 anni, dalla scuola jonica di Mileto, che il pensiero occidentale si arrovella intorno a questa domanda sui fondamenti. È un unico principio che dà origine alla cornucopia del mondo? magari una sostanza come l’aria (Anassimene), l’acqua (Talete), o piuttosto una forza che pervade tutto lo spazio (“ápeiron”, Anassimandro)? O, invece, i primi costituenti delle cose sono infiniti e consistono in particelle indivisibili, gli “atomi”, come si proclamò sulla sponda opposta dell’Egeo, ad Abdera (Leucippo, Democrito)?
Quando incontrai la prima volta questi pensatori, alle lezioni liceali
di filosofia, il loro mi parve un fantasticare ozioso ed arbitrario: acqua? e perché no un’altra sostanza? Ápeiron? puah! Atomi? beh, meglio, ma siamo sempre nell’ambito del mito. Così pensavo allora. Da bambino.
L’irrisione verso i filosofi
presocratici si sarebbe rovesciata in ammirazione con gli anni, in
parallelo allo studio della fisica. Già l’anno successivo, insieme ai
miei compagni vidi per la prima volta gli atomi ed il vuoto fisico
con la mente: ci aprì gli “occhi” l’insegnante di chimica un giorno in
cui ci guidò nell’aula di mineralogia ad osservare delle pietre. Mi
colpì per la sua bellezza un cristallo di rocca, incolore e trasparente.
Il prisma esagonale perfetto non era stato intagliato
da un artigiano, ma era cresciuto naturalmente strato su strato in
milioni di anni: osservai le 6 facce piane, quelle opposte parallele,
quelle adiacenti ad angoli di 120° come le celle d’un alveare. Nel corso
della sua crescita, come può la faccia del cristallo – ci chiese la prof fissandoci negli occhi – conoscere l’orientamento della faccia opposta e disporsi in un piano perfettamente parallelo?
L’unica spiegazione – rispose a fronte del nostro tonto mutismo – è che
la sostanza di cui è fatto non sia omogenea e infinitamente divisibile,
ma un’intelaiatura di particelle disposte ad intervalli regolari in un
reticolo geometrico. Idem per il solfuro di piombo che è cubico, o per
lo spato d’Islanda, romboedrico. E la forma di ogni cristallo – proseguì
con logica martellante – si deve alla forma degli atomi, che varia per
ogni sostanza e fa sì che il loro insieme aggregandosi formi una
geometria diversa. Non servono ultra-microscopi per vedere gli atomi,
basta usare il “cervello in zucca”! La prof ci fece anche “vedere” che gli atomi sono vuoti,
di fatto. Ci bastò osservare un quarzo contenente rutilo al suo
interno. I cristalli di rutilo formavano prismi diritti, sottili come
spilli, orientati casualmente in ogni direzione all’interno del quarzo:
questo e quelli erano cresciuti negli evi senza disturbarsi. Come sono cresciuti gli aghi di rutilo senza mai scontrarsi con gli atomi del quarzo? senza piegarsi, né deformarsi? – c’incalzò la megera –. Il nostro silenzio, divenuto di ghiaccio, fu interrotto dalla sua trionfante sortita: “Il solido di quarzo è… vuoto!” Solo le “fette di lardo”
che avevamo sugli occhi ci avevano impedito di vederlo prima. Ed il
vero problema, allora, non è quello di Newton di capire perché la mela
cada per terra – concluse imperterrita nella sua manovra per il KO
finale –, ma all’opposto perché “le vostre zampe di somari non sprofondino in un pianeta vuoto!”.
E – scimmiotto io per traumatizzare voi lettori – il vero problema è
perché il pc su cui scrivo non attraversi la scrivania dirigendosi verso
il centro della Terra e non la trapassi, come fanno tutti i giorni i
neutrini di origine stellare anche senza l’uso di tunnel governativi…
Come ho fatto, meditai avvilito, a non “vedere” da solo il “vuoto”
attraverso cui le frecce di rutilo passano indisturbate tra un nucleo e
l’altro degli atomi del quarzo? che l’impenetrabilità della pietra è
solo una manifestazione del campo elettromagnetico presente nel vuoto fisico
(che non è quindi, attento lettore!, un vero nulla), respingente la
corteccia elettronica del cristallo da quella che circonda il
polpastrello? Possiamo scoprire molte verità nascoste col solo uso della ragione…
La scienza sperimentale trova i dettagli quantitativi, calcola oggi che
del volume di un atomo solo una parte su un milione di miliardi è
occupata dalla materia, mentre il resto, in pratica tutto, è spazio vuoto.
Però era stato un filosofo greco, riconobbi, ad intuire 2.600 anni fa
la necessità dell’esistenza degli atomi. Per riparare alla mia
presunzione, avrei scelto poi come tesina di diploma il “De rerum novarum” di Lucrezio, dove m’innamorai del “clinamen” degli atomi nello spazio vuoto…
Già, lo spazio vuoto: qui si sbagliavano gli atomisti di Abdera a confondere il vuoto con il nulla,
ma essi erano almeno in buona fede, a differenza di certi fisici dei
nostri giorni che, pur conoscendo bene le proprietà fisiche del vuoto,
lo chiamano nulla nei libri di divulgazione: “per una scelta di marketing”, si giustificano,
senza accorgersi di abbassare così la scienza alla ciarlataneria! Chi
di tutti i filosofi antichi è andato più vicino ad intuire il vuoto
fisico, oggi non ho dubbi, fu il miletese Anassimandro con l’ápeiron. Nella fisica moderna il vuoto è una struttura spazio-temporale colma di proprietà geometriche e permeata di campi di forza dove l’energia ha il valore minimo consentito dalla teoria dei quanti. A causa dell’oscillazione in infiniti modi indipendenti dei campi, l’energia totale del vuoto fisico non è sempre zero e può essere anche infinita!
Noi non possiamo però estrarre energia dal vuoto perché ciò
provocherebbe la transizione ad uno stato di energia inferiore che, per
definizione di vuoto fisico, non esiste. Il vuoto è lo stato cui tende
ogni sistema fisico lasciato a se stesso; è il punto di partenza e di
arrivo di ogni esperimento, e noi abbiamo una teoria capace di
descrivere un fenomeno subatomico quando conosciamo i campi che lo
interessano e sappiamo calcolare, con una matematica che non è standard
ma un’arte, l’energia del vuoto, da cui ripartire per ricalcolare tutte le altre energie in gioco. Nella fisica, insomma, il vuoto è tutto e ciò solo mostra quanto sia scientificamente errata la concezione materialistica e meccanicistica del chimico Peter Atkins che nel bosone di Higgs, in quanto responsabile della massa, ha visto “un altro chiodo battuto sulla bara della religione”: ma donde deriva la massa del bosone stesso e delle altre particelle se non dall’equivalente (E = mc2!)
energia del vuoto del campo di Higgs? e, prima ancora, come si spiega
la matematica d’un campo a spin zero, doppietto in SU(2) e con
ipercarica U(1), privo di colore? e la matematica affatto diversa di
ognuno degli altri 4 campi?
Nello scientismo c’è
anche un errore di sistema: la scienza sperimentale moderna vi è vista
come una corsa a termine verso un traguardo finito, piuttosto che come
un progresso indefinito sempre migliorabile, ma mai concluso. Con
l’esperimento di Ginevra la ragione umana ha fatto un passo in avanti
nella conoscenza della struttura della materia: ora conosciamo un’altra
particella elementare, causa della massa delle altre ed abbiamo
un’ulteriore conferma della solidità della teoria standard. Restano però
molti problemi ancora aperti, a cominciare dalla ricerca di una Grande Teoria Unificata
che spieghi la fisica dell’Universo dei primi istanti, prima che
elettromagnetismo, forza nucleare debole e nucleare forte si
scindessero; e di una Teoria del Tutto che incorpori
anche il campo gravitazionale, ora oggetto di una teoria a parte, la
Relatività Generale. Avanzare in scienza non significa avvicinarsi al
traguardo di una conoscenza perfetta, ma semmai allontanarvisi sempre di
più, perché ad ogni progresso si allarga l’orizzonte di ciò che apprendiamo esserci ignoto. Con umiltà Fabiola Gianotti, capo del progetto Cern responsabile della ricerca del bosone di Higgs, ha detto: “Abbiamo scoperto una goccia che ci ha aperto un nuovo oceano”. Ciò mi ha richiamato un passo dei “Pensieri” di Pascal,
in cui il grande scienziato e filosofo francese mostra la specificità
dell’uomo rispetto al resto della Natura nel sentimento della propria
piccolezza di fronte all’Universo, ma allo stesso tempo nella propria
autocoscienza e nella comprensione di un Universo inconscio: “Quando
l’uomo, considerando la pluralità dei mondi, si sente essere
infinitesima parte di un globo, ch’è minima parte d’uno degli infiniti
sistemi che compongono il mondo, e in questo pensiero si stupisce della
sua piccolezza, e profondamente sentendola e intensamente riguardandola
si confonde quasi col nulla, e perde quasi se stesso nel pensiero
dell’immensità delle cose, e si trova come smarrito nella vastità
incomprensibile dell’esistenza; allora, con questo atto e con questo
pensiero, egli dà la maggior prova possibile della sua nobiltà, della
forza e dell’immensa capacità della sua mente, la quale, rinchiusa in sì
piccolo essere, è potuta pervenire a conoscere e intendere cose tanto
superiori alla natura di lui, e può abbracciare e contener col pensiero
questa immensità dell’esistenza e delle cose”.
Non comprendo chi non distingue l’abisso tra una particella elementare che non sa di esistere e la scintilla divina della mente umana che arriva a ri-crearla! “In principio era la ragione, e la ragione era presso Dio e la ragione era Dio. […] tutto è stato fatto per mezzo di essa e senza di essa nulla è stato fatto di ciò che esiste” (Vangelo di S. Giovanni). Dall’altro lato, “poiché gli esseri umani sono stati creati ad immagine di Dio nel senso che hanno una natura che include la ragione, […] essi possono imitare Dio. […] Soltanto
nelle creature razionali c’è questa somiglianza con Dio. Esse possono
raggiungere l’imitazione di Dio non solo nel fatto di essere e vivere,
ma specialmente nel fatto di capire” (Tommaso, “Summa Theologiae”). Sono allibito davanti a chi mischia il nome santo di Dio ad una fluttuazione d’onda nata dopo il Big Bang e perdurante
un millesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo. Cosa c’entra
una particella elementare con Dio? Tutto e nulla, come vale per la
relazione d’ogni creatura al suo Creatore.
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