CARO GALIMBERTI, S’INFORMI (prima di scrivere): PLATONE VA D’ACCORDO COL PAPA E SCOLA, NON CON BERSANI E VENDOLA
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22 luglio 2012 / In News
L’Italia – si dice – è sull’orlo
della bancarotta economica e il Pd in che modo si candida a governarla?
Azzuffandosi sulle “nozze gay”. Se questa torrida estate non fosse tragica,
sarebbe comica.
Perché perfino l’incolpevole
Platone viene trascinato a sproposito nell’infuocata querelle che in queste ore
ha visto polemizzare la Bindi, Bersani, la Concia e Casini.
E’ capitato ieri sulle pagine di
“D”, il magazine di “Repubblica”. Nella sua consueta rubrica, Umberto
Galimberti critica il fatto che scienza, psicoanalisi, religione e diritto – a
suo avviso – discriminano l’omosessualità considerandola “esclusivamente sul
piano sessuale” (a differenza dell’eterosessualità).
A questo punto Galimberti sostiene
che Platone combatté proprio questo “pregiudizio negativo nei confronti degli
omosessuali” e per dimostrarlo si lancia in un’azzardata escursione nel
“Simposio”.
Da cui cita un passo dove - a
suo avviso – “Platone lega opportunamente la condanna dell’omosessualità a un
problema di democrazia, a cui forse noi, a causa del perdurare dei pregiudizi,
non siamo ancora giunti”.
Ora, fare di Platone un teorico e
paladino della “democrazia” (oltretutto una democrazia moderna e libertaria) è
– a dir poco – surreale. Per sorriderne non occorre neanche aver letto Karl
Popper (o il libro di Franco Ferrari, “Platone. Contro la democrazia”,
Rizzoli).
Ma ancora più sconcertante è vedere
attribuito a Platone un pensiero che nel “Simposio” è espresso da Pausania.
Si deve infatti sapere che in
questo dialogo vari personaggi intervengono esprimendo il loro diverso punto di
vista su Eros.
La voce con cui si identifica
Platone ovviamente non è affatto quella di Pausania o quelle di Aristofane e di
Agatone, ma – come di consueto – quella di Socrate che interviene dopo tutti
gli altri e che demolisce tutti i discorsi che lo hanno preceduto.
In sostanza Socrate
guida gli ascoltatori a scoprire che l’amore non è ciò che loro credevano, ma
piuttosto l’attrazione che l’anima umana ha per la perfezione e per l’Assoluto
(qui si capisce perché il cristianesimo dialogò subito, non con le religioni,
ma con la filosofia greca, che vedeva pervasa dell’attesa del Logos divino).
Se poi consideriamo l’intervento di
Pausania – quello che Galimberti erroneamente presenta come pensiero platonico
– è assai dubbio che si occupi di omosessualità, ma di certo si può dire che è
il discorso più misogino che lì risuoni perché attribuisce l’amore per le donne
all’Eros dell’ “Afrodite volgare” (e lo depreca), mentre l’ Eros dell’
“Afrodite celeste” è esclusiva dei maschi.
E’ davvero esilarante
che su un magazine femminile quale è “D” venga citato come esemplare,
edificante e “democratico” un discorso di quel tenore dove Pausania esalta il
genere maschile perché “per natura più forte e più dotato di cervello”.
Se poi volessimo sapere cosa
veramente Platone pensava e cosa ha scritto sulla pratica omosessuale,
scopriremmo pagine che oggi, sulle colonne del giornale di Scalfari e
Galimberti, verrebbero subito condannate come terribilmente “omofobe”.
Infatti nelle “Leggi”,
Platone critica quanti hanno “corrotto la norma antica e secondo natura
relativa ai piaceri sessuali non solo degli esseri umani, ma anche degli
animali”.
E spiega:
“bisogna considerare
che, a quanto pare, il piacere sessuale fu assegnato secondo natura tanto alle
femmine quanto ai maschi affinché si accoppiassero al fine di procreare, mentre
la relazione erotica dei maschi con i maschi e delle femmine con le femmine è
contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il
piacere”.
Come si vede qui Platone è
perfino più “rigorista” della Chiesa per quanto riguarda l’unione dell’uomo e
della donna al cui congiungimento fisico la teologia cattolica riconosce anche
il fondamentale valore unitivo, cioè dell’amore fra i coniugi.
In altri passi delle “Leggi”,
Platone condanna di nuovo i rapporti sessuali diversi da quelli fra uomo e
donna adulti, invitando ad attenersi alle leggi di natura e a cercare sempre e
solo l’acquisizione delle virtù.
Il filosofo greco sembra
considerare perfino come un “pericolo”, per l’ordine sociale, gli “amori di
donne al posto di uomini e uomini al posto di donne” perché “innumerevoli
conseguenze sono derivate agli uomini privatamente e a intere città”.
Del resto Platone – decisamente
lontano e opposto alla mentalità epicurea – indicando l’esempio di un
famoso atleta, Icco tarantino, che per vincere alle Olimpiadi si astenne da
tutti i piaceri durante il lungo allenamento, invita a incitare i giovani a
fare altrettanto e a “tener duro in vista di una vittoria molto più bella”
ovvero: “la vittoria sui piaceri”.
Platone – con buona pace di coloro
che fantasticano di un’antica Grecia libertaria e accusano la Chiesa Cattolica
di aver portato illiberalità e sessuofobia – arriva addirittura a chiedere alle
leggi di prescrivere la virtù:
“la nostra legge deve
assolutamente procedere dicendo che i nostri cittadini non devono essere
peggiori degli uccelli e di molte altre bestie che, nati in grandi gruppi,
vivono fino alla procreazione non accoppiati, integri e puri da unioni sessuali,
ma quando giungono a questa età, congiuntisi per proprio piacere il maschio
alla femmina e la femmina al maschio, vivono il resto del tempo in modo santo e
corretto, attenendosi e saldamente ai primi patti d’amore; dunque essi (i
cittadini) devono essere migliori delle bestie”.
Questa la prima legge (dove, come
si vede, si condannano anche i rapporti prematrimoniali e l’adulterio). E
“qualora (i cittadini) vengano corrotti”, aggiunge Platone, bisogna escogitare
“una seconda legge per loro”. Ovvero, se proprio alcuni non resistono
all’attrazione dei piaceri senza legge “sia presso di loro cosa bella compiere
di nascosto questi atti (…), mentre sia turpe il non farli di nascosto”.
Questo è il Platone vero, quello
che racchiude le leggi nell’ “ossequio agli dèi, l’amore pe gli onori e il
fatto che non ci sia desiderio dei corpi, ma dei bei costumi dell’anima”.
Dell’altro Platone, quello di
Galimberti, non si trova notizia sui suoi testi.
Voglio aggiungere che siccome a
quel tempo sotto la categoria di amore – che non aveva un’accezione romantica
moderna – andava anche il rapporto fra maestro e discepolo, e siccome questo
rapporto poteva scadere (e scadeva) nella pederastia, c’è un passo di Platone
(nella Repubblica, il dialogo filosofico, non il giornale) in cui si legge la
condanna di questa degenerazione possibile:
“tu stabilirai una legge nella
città che stiamo fondando, in base alla quale chi prova affetto (erastés) per
il suo ragazzo affezionato (ta paidikà), lo ami e lo accompagni e lo tocchi
come farebbe un padre con il figlio; con il suo consenso e avendo come fine la
contemplazione e la conoscenza del bello. Mai dunque dovrà accadere o sembrare
che si vada oltre questi limiti”.
Qualcuno potrà
sorprendersi di scoprire questo Platone, perché da tempo si è diffuso il luogo
comune che la famiglia eterosessuale (come fondamento della civiltà) e la legge
naturale siano un’invenzione del cristianesimo.
In realtà la famiglia
fra uomo e donna è stata il fondamento istituzionale esclusivo di tutte le
civiltà precedenti il cristianesimo e di tutti i popoli. Da sempre.
E la legge naturale ben
prima del cristianesimo è stata il fondamento della riflessione morale, in modo
speciale nell’antica Grecia.
Un formidabile saggio di Francesco
Colafemmina, “Il matrimonio nella Grecia classica” vuole dimostrare tutto
questo con ricchezza di citazioni (sorprendenti) e brillante scrittura.
Il libro di Colafemmina (a cui devo
tante preziose indicazioni) intende ribaltare “le mistificazioni contemporanee”
e ricostruisce “un’etica matrimoniale condivisa fra ellenismo e cristianesimo”.
Una lettura preziosa in questi tempi di confusione e di ideologia. Una lettura
da consigliare a tutti i nostri spensierati politici.
Antonio Socci
Da “Libero”, 22 luglio 2012
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