I matematici e Dio
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L’idea che un personaggio televisivo come Piergiorgio Odifreddi (un
ex seminarista convertito al comunismo e all’ateismo militante, senza
alcun vero merito scientifico) può far passare, è che tra matematica e
religione ci sia una perfetta incomunicabilità. Di qua i numeri, da
un’altra parte Dio. La storia della matematica è però lì a dirci il
contrario.
Partiamo da Pitagora, il celebre filosofo greco al cui nome è
associato il teorema forse più famoso di tutti i tempi, sempre citato al
principio di ogni storia della matematica (magari insieme ad
Archimede).
Pitagora aveva le idee molto chiare: la matematica non è una
invenzione dell’uomo, ma una scoperta. E’ la realtà stessa ad essere
intessuta di matematica, fondata sul numero. La filosofia greca coglie
l’ordine, la razionalità dell’universo; la filosofia di Pitagora
identifica il numero come fonte di questa razionalità. Scrive
l’astrofisico italiano Mario Livio nel suo “Dio è un matematico”: “I
pitagorici radicavano letteralmente l’universo nella matematica. In
effetti per loro Dio non era un matematico ma la matematica era Dio”.
Ciò significa che i Pitagorici coglievano come vera sostanza della
realtà qualcosa di intangibile, di invisibile; qualcosa che precede la
realtà materiale, che la supera e la informa.
Sarà poi Platone, con la sua metafisica, a dare alla matematica un
ruolo fondamentale nella conoscenza umana, ritenendo l’esistenza delle
realtà matematiche “un fatto oggettivo tanto quanto l’esistenza
dell’universo stesso”[1].
Fatto: l’universo fisico esiste, non è capriccioso e caotico, ma ordinato.
Riflessione filosofica: la matematica, immateriale, ne rappresenta il
fondamento, la sostanza. Si vede bene che siamo, benchè in epoca ancora
pagana, sulla strada di una concezione teista, che non pone il mondo “a
caso”, ma al contrario, ne riconosce l’ intelligenza, l’armonia, la
matematicità.
Da dove viene questa armonia? Per Platone dal mondo metafisico delle idee, e, tramite esse, dall’opera del Demiurgo.
Prima dunque che Galileo scriva che “la matematica è l’alfabeto col
quale Dio ha scritto l’universo”; prima che il grande pisano definisca
la natura come “il libro…scritto in lingua matematica”- alludendo molto
chiaramente, quanto all’autore del libro, ad un Dio Creatore- è evidente
a chi affronti questa disciplina che la matematica nasce da un atto di
fede nella non assurdità del mondo; da un atto di stupore di fronte al
fatto che ciò che ci circonda non è regolato dal capriccio, ma dall’
intuizione, per dirla con Platone, che “Dio geometrizza sempre”.
Scriverà in pieno Novecento il grande matematico cattolico Ennio De Giorgi: “il
mondo è fatto di cose visibili e invisibili e la matematica ha forse
una capacità, unica tra le altre scienze, di passare dall’osservazione
delle cose visibili all’immaginazione delle cose invisibili”.
La matematica dunque ci mette di fronte ad un fatto: l’universo si presenta come qualcosa di intelleggibile alla nostra ragione.
Non è un dato scontato. Per Einstein “il mistero più grande è che il mondo sia comprensibile”, cioè che il pensiero sia in grado di fornire un ordine alle esperienze sensoriali.
Per il premio Nobel L. De Broglie invece “noi non ci meravigliamo
abbastanza del fatto che una scienza sia possibile, cioè che la nostra
ragione ci fornisca i mezzi per comprendere almeno certi aspetti di ciò
che accade attorno a noi”[2].
Non ci meravigliamo abbastanza, si potrebbe chiosare, del fatto che
una sola creatura si ponga anzitutto domande che vanno ben al di là dei
bisogni primari, delle esigenze che evoluzionisticamente sarebbero
necessarie alla sopravvivenza, e che sia in grado di andare al fondo
della realtà, a ciò che la regola e la fonda.
Il mistero dell’intelleggibilità del cosmo fa il paio con il
mistero di una creatura, e solo quella, che vuole e sa leggere tale
intelleggibilità.
A dimostrazione, ne dedurrebbe un credente, che entrambe le ragioni,
quella di Dio che fonda l’universo, e quella dell’uomo, fatto “a
immagine e somiglianza di Dio”, che lo interpreta e lo penetra, hanno
una origine comune.
Sono ben comprensibili, allora, non soltanto la divinizzazione del
numero di Pitagora e la metafisica di Platone, ma anche il linguaggio
biblico, così spesso ripetuto nell’epoca delle cattedrali: Dio ha fatto
l’universo “secondo numero peso e misura” (Sap.11, 20).
Quest’idea appartiene anche alla storia del pensiero medievale, in
particolare di quello francescano, tutto intento nello scorgere nella
natura, nella sua bellezza, non un ammasso informe, non una materia
principio del male, ma i segni della Ragione e della Bontà creatrice.
Di qui l’idea di un grande antenato della scienza moderna, il medievale Roberto Grossatesta, per cui Dio è il “Numerator et Mensurator primus”;
oppure il pensiero di san Bonaventura, il quale scriveva: “tutte le
cose sono dunque belle e in certo modo dilettevoli; e non vi sono
bellezza e diletto senza proporzione, e la proporzione si trova in primo
luogo nei numeri: è necessario che tutte le cose abbiano una
proporzione numerica e, di conseguenza, il numero è il modello
principale nella mente del Creatore e il principale vestigio che, nelle
cose, conduce alla Sapienza”[3].
Giovanni Keplero, scopritore delle leggi del moto
dei pianeti, non argomenterà in modo dissimile la sua fiducia nella
bontà e bellezza della creazione. La sua intuizione di fondo fu infatti
che la matematica è “la struttura ontologica dell’Universo”.
Da ciò svilupperà “il suo intero lavoro di astronomo, in cui
ritroveremo strettamente intrecciate fra loro l’esplicita ripresa di
antiche dottrine pitagoriche e neoplatoniche e una fervente fede
cristiana”. Infatti, “certo del fatto che l’intera creazione
dipenda da un disegno divino perfetto, Keplero crede di averne trovato
il segreto nell’idea che l’Universo sia costruito sulla base di figure
geometriche note sin dalla geometria antica con il nome di ‘solidi
regolari’…Dietro una tale rappresentazione dell’universo vi è una
concezione metafisica ben precisa. Keplero è convinto, infatti, che la
stessa mente di Dio sia costituita da idee geometriche originarie di cui
la mente dell’uomo diviene partecipe”. “Non è un caso che poi Keplero
interpreti in senso trinitario l’intera struttura del cosmo…Ciò che
anima Keplero, è utile ricordarlo, non è tanto la convinzione di un
meccanicismo originario, quanto l’idea che l’Universo sia pervaso da una
armonia matematica divina”[4].
Al punto che Keplero scriveva: “La geometria precede l’origine
delle cose, è coeterna alla mente di Dio, è Dio in persona (cosa c’è in
Dio che non sia Dio?); la geometria ha fornito a Dio gli archetipi della
creazione e fu impiantata nell’uomo contemporaneamente alla somiglianza
di Dio”[5].
Sulla stessa scia di Keplero e degli altri grandi pensatori citati,
si colloca a ben vedere tutto il pensiero matematico e in generale
scientifico, per secoli e secoli, a partire dalle origini.
Sempre la matematica è vista come una scoperta dell’uomo, non come
una sua invenzione. Si ritiene cioè che il linguaggio matematico sia
efficace, funzioni, non per caso, ma perché coglie l’oggettività di un
ordine, l’esistenza di leggi universali: ordine e leggi universali che
richiedono un Legislatore supremo. Un Dio “dell’ordine e non della
confusione” (“God of order and not of confusion”), come ebbe a dire un altro dei più grandi matematici della storia, Isaac Newton.
Ha scritto il fisico contemporaneo Paul Davies: “Come avviene che
le leggi dell’universo siano tali da favorire l’emergenza di menti a
loro volta capaci di riflettere e modellare accuratamente queste stesse
leggi matematiche? Come è successo che il cervello dell’uomo, che è il
sistema fisico più complesso e sviluppato che conosciamo, abbia prodotto
tra le sue funzioni più avanzate qualcosa come la matematica, capace di
spiegare con tanto successo i sistemi più basilari della realtà fìsica?
Perché la mente, che si colloca al culmine dello sviluppo, si ripiega
su se stessa e si collega con il livello base dell’esistenza, cioè con
l’ordine retto da leggi su cui l’universo è costruito? A mio avviso
questo strano loop suggerisce che la mente è qualcosa che è legata ai
più fondamentali aspetti della realtà fisica, sicché se vi è un
significato o un fine all’esistenza fisica, allora noi, esseri
coscienti, siamo di sicuro una parte profonda ed essenziale di questo
fine”[6].
Eric T. Bell, autore del celebre volume “I grandi matematici”, inizia la sua narrazione partendo dai filosofi greci, per passare quasi subito a Cartesio (1596-1650) e Pascal
(1623-1662). Bell ricorda, di entrambi, la fede esplicita in un Dio
Creatore, e il rapporto privilegiato con il celebre matematico padre
Mersenne, intorno al quale nasceva in quegli anni l’Accademia Francese
di Scienze. Si potrebbero anche ricordare la dimostrazione a priori
dell’esistenza di Dio di Cartesio, convinto che “le verità matematiche che voi chiamate eterne sono state stabilite da Dio e ne dipendono interamente”,
e la visione profondamente religiosa del matematico Pascal, inventore,
tra le altre cose, della prima “calcolatrice”, la “pascalina”.
Costui, perfettamente in linea con la teologia medievale, sosteneva da un lato che “la natura ha perfezioni per mostrare che è l’immagine di Dio, e difetti per mostrare che ne è solamente l’immagine” (Pensieri, 580), dall’altro specificava così la sua visione del rapporto tra scienza e fede: “Il
Dio dei Cristiani non è un Dio solamente autore delle verità
geometriche e dell’ordine degli elementi, come la pensavano i pagani e
gli Epicurei. [...] il Dio dei Cristiani è un Dio di amore e di
consolazione, è un Dio che riempie l’anima e il cuore di cui Egli s’è
impossessato, è un Dio che fa internamente sentire a ognuno la propria
miseria e la Sua misericordia infinita, che si unisce con l’intimo della
loro anima, che la inonda di umiltà, di gioia, di confidenza, di amore,
che li rende incapaci d’avere altro fine che Lui stesso” (Pensieri, 556).
Dopo Cartesio e Pascal, nella lista dei grandi matematici della storia, Bell pone il già citato Newton, e, dopo di lui, Leibniz
(1646-1717): siamo sempre di fronte ad un filosofo, metafisico,
giurista, fisico e matematico, che oltre a perfezionare il calcolatore
già inventato da Pascal e ad offrire un importante contributo al calcolo
infinitesimale, era fermamente convinto, sino a dimostrarla a priori,
dell’esistenza di Dio, visto come “soggetto di tutte le perfezioni, cioè
l’essere perfettissimo”.
Dopo Leibniz, che già a ventun anni aveva scritto un trattatello intitolato “Testimonianza della natura contro gli atei”, Bell ricorda il grande Leonardo Eulero
(1707-1783), definito “il matematico più prolifico della storia”: siamo
nell’età della nascente miscredenza, degli atei materialisti francesi,
alla d’Holbach e alla Diderot.
Eulero, invece, è un fervente protestante che ogni sera raduna la
famiglia per leggere insieme brani della Bibbia. Leggiamo un aneddoto
curioso su di lui: “Invitato dalla grande Caterina a visitare la sua
corte, Diderot consacrava i suoi ozi a convertire i cortigiani
all’ateismo; avvertita, l’imperatrice incaricò Eulero di mettere la
museruola al frivolo filosofo. Era una missione facile, perché parlare
di matematica a Diderot, era come parlargli cinese…Diderot fu avvertito
che un matematico d’ingegno possedeva una dimostrazione algebrica
dell’esistenza di Dio e che l’avrebbe esposta davanti a tutta la corte,
se avesse desiderato ascoltarla; Diderot accettò con piacere…Eulero si
avanzò verso Diderot e gli disse gravemente e con un tono di perfetta
convinzione: ‘Signore, a+b alla n, fratto n, uguale a x: dunque Dio
esiste: rispondete’.
Questo discorso aveva l’aria di essere sensato agli orecchi di
Diderot. Umiliato dalle pazze risate che accolsero il suo silenzio
imbarazzato, il povero filosofo domandò a Caterina il permesso di
tornare in Francia…”. Sappiamo che Eulero si era limitato a fare un
po’ di commedia, in quell’occasione, ma anche che in seguito provò a
fornire “due solenni dimostrazioni dell’esistenza di Dio e
dell’immortalità dell’anima”[7].
Non interessa qui sapere quanto quelle dimostrazioni siano veramente
efficaci, quanto notare che anche Eulero non trasse dai suoi studi
matematici motivi per la miscredenza, al contrario! Anche il grande
matematico italiano Paolo Ruffini, cattolico fervente,
scriveva pochi anni dopo Eulero, nel 1806, una dimostrazione matematica
dell’esistenza dell’anima, mentre il matematico napoletano Vincenzo
Flauti cercò di dimostrare Dio per via matematica nella sua “Teoria dei
miracoli”. Imitato in questo tentativo ardito da George Boole
(1818-1864), pioniere della logica matematica, nel suo “Leggi del
pensiero” e da uno dei più grandi geni della matematica e della logica
di tutti i tempi, Kurt Gödel (1906-1978), il quale tra
gli anni ’40 e gli anni ’70 del Novecento, intento com’era “ricondurre
il mondo ad unità razionale”, scrisse pagine fitte di formule tese a
dimostrare l’esistenza di un Dio non solo come Ente Razionale ma con gli
attributi del Dio cristiano[8].
Gödel era filosoficamente un realista, credeva cioè nella matematica
come scoperta (“le leggi della natura sono a priori”, non una “creazione
umana”); criticava fortemente lo “spirito dei tempi” suoi, improntato
al materialismo ed al meccanicismo; da battista luterano qual’era, e da
matematico, professava la fede in un Dio trascendente, “nel solco di
Leibnitz più che di Spinoza”; sosteneva l’irriducibilità della mente al
cervello, dei processi psichici a spiegazioni solamente meccaniche, e
affermava che “il cervello è un calcolatore connesso a uno spirito”
individuale ed immortale; riteneva “confutabile” l’idea che il cervello
umano “sia venuto nel modo darwiniano”, per cause puramente meccaniche e
casuali e rifletteva sul fatto che il mondo, dal momento che “ha avuto
un inizio e molto probabilmente avrà una fine nel nulla”, non si
giustifica da se stesso[9].
Si potrebbe continuare a lungo, nella lista dei grandi matematici credenti, citando Carl Friedrich Gauss (1777-1855), considerato
da molti “il principe dei matematici”, che fu un uomo dalla natura
profondamente religiosa, abituato a leggere il Nuovo Testamento in
lingua greca, convinto che “il mondo sarebbe un non senso, l’intera
creazione una assurdità, senza immortalità” dell’anima e senza Dio[10]; il cecoslovacco Bernad Bolzano
(1781-1848), sacerdote cattolico, che diede importanti contributi alla
matematica, anticipando alcune idee di Cantor; il norvegese Niels Henrik
Abel (1802-1829), figlio e nipote di ecclesiastici protestanti; il
tedesco Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897),
un matematico tedesco, spesso chiamato “padre dell’analisi moderna”, di
cui portano il nome teoremi, teorie e oggetti matematici, figlio di un
protestante convertito al cattolicesimo e cattolico anch’egli (tanto da
insegnare in varie scuole cattoliche)[11]; il tedesco Bernhard Riemann
(1826-1866), considerato uno dei massimi matematici di sempre,
anch’egli figlio di un pastore protestante, che fu sempre spirito
“religiosissimo” e devoto[12]…
Oppure potremmo citare il grande Georg Cantor
(1845-1918), figlio di padre luterano e di madre cattolica, grande
appassionato di filosofia e teologia medievale, così simpatizzante per
la Chiesa cattolica da desiderare il consenso alla autorità cattolica
romana riguardo alle sue speculazioni sui numeri infiniti (speculazioni
che confinavano, diciamo così, con la metafisica e la teologia)…
Da: Francesco Agnoli, Scienziati dunque credenti, parte del cap. VIII, Cantagalli, Siena, 2012.
[1] Mario Livio, “Dio è un matematico”, Rizzoli, Milano, 2009, p.48, 49.
[2] L. De Broglie, “Fisica e Metafisica”, Einaudi, Torino, 1950, p.216.
[3] Citato in Stefano Zecchi, “Storia dell’estetica”, vol.I, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 159.
[4] Costantino Esposito, Pasquale Porro, “Filosofia moderna”, Laterza, Bari, 2009, p. 67-69.
[5] Citato in R. Timossi, “Dio e la scienza moderna”, Mondadori, Milano, 1999, p.41.
[7] E. Bell, “I grandi matematici”, Sansoni, Firenze, 1966, p.147-148.
[8]
R. G. Timossi, “Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a
Kurt Gödel. Storia critica degli argomenti ontologici”, Marietti 1820,
Genova Milano, 2005.
[9]
Gabriele Lolli, “Sotto il segno di Gödel”, Il Mulino, Bologna, 2007, in
particolare cap. VIII. Lolli ricorda anche quattro lettere scritte da
Gödel alla madre, nel 1961, per esprimere “le sue ragioni per credere in
un’altra vita”, mentre ad un amico malato, Gödel scriveva:
“L’affermazione che il nostro ego consiste di molecole di proteine mi
sembra una delle più ridicole mai sentite…”.
[10] G. Waldo Dunnington, “Carl Friedrich Gauss: Titan of Science”, The Mathematical Association of America, 2004, pp. 298-311. Dunnington riporta questa frase di Gauss: “Ci
sono domande le cui risposte io porrei ad un valore infinitamente più
alto che quello della matematica, per esempio quelle riguardanti
l’etica, o il nostro rapporto con Dio, il nostro destino ed il nostro
futuro; ma la loro soluzione resta irraggiungibile sopra di noi, fuori
dall’area di competenza della scienza”. Inoltre nota il biografo che il
grande matematico amava moltissimo il seguente passo di James Thomson:
“Padre di luce e vita! Dio Supremo!/Il Bene insegnami, insegnami
Te!/Salvami da follia, vanità e vizi,/da ogni ricerca vana; nutri
l’anima/di sapienza, di pace e di virtù -Sacra, carnale, eterna
beatitudine!”.
[11] Félix Klein, Róbert Hermann, “Development of mathematics in the 19th century”, Math Sci Press, 1979, p.260.
[12]
John Derbyshire, “Prime obsession: Bernhard Riemann and the greatest
unsolved problem on mathematics”, J. Nenry Press, 2003: viene riportata
anche la lapide posta sulla sua tomba, in cui si legge “Qui riposa in
Dio Bernhard Riemann…”, e in conclusione una frase di san Paolo: “Tutto
concorre al bene di coloro che amano Dio”.
1 commento:
Bellissimo questo approfondimento. Come sempre sei interessato alla realtà a 360 gradi. Ciao.
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