ho cominciato a rendermi conto di quel che significasse l’affermazione del Vangelo: "Il Verbo si è fatto carne". Sento riecheggiare ancora le parole di don Gaetano: " giustizia, la verità, la bellezza, si è fatta carne"; nel mio animo – nell’animo di un ragazzo di 16 anni, sufficientemente assetato di queste parole – fu un’illuminazione improvvisa. Non ricordo nell’intera mia vita un momento più decisivo. Con stupore mi ritrovai così a scoprire i nessi fra quell’annuncio e tutte le cose; ad esempio il nesso con la passione che fin dalla terza ginnasio avevo nutrito per la poesia di Giacomo Leopardi (che studiai tutto a memoria). Soprattutto tornavo continuamente a ripetermi il canto Alla sua donna, che è un inno alla bellezza, intuendovi la profezia di quello che il Signore aveva già compiuto: in fondo l’aspirazione di Leopardi era di vedere con gli occhi, e toccare con le mani la Bellezza fatta carne
ALLA SUA DONNA
Cara beltá, che amore
lunge m’inspiri o nascondendo il viso,
fuor se nel sonno il core
ombra diva mi scuoti,
5o ne’ campi ove splenda
piú vago il giorno e di natura il riso;
forse tu l’innocente
secol beasti che dall’oro ha nome,
or leve intra la gente
10anima voli? o te la sorte avara,
ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara?
Viva mirarti omai
nulla speme m’avanza;
s’allor non fosse, allor che ignudo e solo
15per novo calle a peregrina stanza
verrá lo spirto mio. Giá sul novello
aprir di mia giornata incerta e bruna,
te viatrice in questo arido suolo
io mi pensai. Ma non è cosa in terra
20che ti somigli; e s’anco pari alcuna
ti fosse al volto, agli atti, alla favella,
saría, cosí conforme, assai men bella.
Fra cotanto dolore
quanto all’umana etá propose il fato,
25se, vera e quale il mio pensier ti pinge,
alcun t’amasse in terra, a lui pur fôra
questo viver beato:
e ben chiaro vegg’io siccome ancora
seguir loda e virtú qual ne’ prim’anni
30l’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse
il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
e teco la mortal vita saría
simile a quella che nel cielo indía.
Per le valli, ove suona
35del faticoso agricoltore il canto,
ed io seggo e mi lagno
del giovanile error che m’abbandona;
e per li poggi, ov’io rimembro e piagno
i perduti desiri e la perduta
40speme de’ giorni miei; di te pensando,
a palpitar mi sveglio. E potess’io,
nel secol tetro e in questo aer nefando,
l’alta specie serbar; ché dell’imago,
poi che del ver m’è tolto, assai m’appago.
45Se dell’eterne idee
l’una sei tu, cui di sensibil forma
sdegni l’eterno senno esser vestita,
e fra caduche spoglie
provar gli affanni di funerea vita;
50o s’altra terra ne’ superni giri
fra’ mondi innumerabili t’accoglie,
e piú vaga del sol prossima stella
t’irraggia, e piú benigno etere spiri;
di qua, dove son gli anni infausti e brevi,
55questo d’ignoto amante inno ricevi
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